Alan Watts: Niente da capire. 2 di 6.

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Non C’è Niente Da Capire. Parte 2.

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Quando ti accorgi di ciò e ti rendi conto che “plus ça change plus c’est la même chose”, come dicono i francesi, che sei davvero un aggregato di quest’unica energia e che non c’è nient’altro, ma che tu sei quello, e che per te continuare ad essere te stesso sarebbe una noia mortale, perciò le cose sono predisposte in modo che, dopo un po’, tu smetta di essere te per ritornare come un altro del tutto diverso… Quando lo scoprirai, sarai ricolmo d’energia e di beatitudine. Come dice Blake: “L’energia è un’eterna beatitudine”.

All’improvviso ti rendi conto di tutta questa commedia. Comprendi di esser Quello — non gli daremo un nome — sei Quello e non potresti essere nient’altro. Cosí ti liberi della tua atavica paura. Ciò non significa che sarai sempre un grande eroe, che non sobbalzerai udendo uno scoppio, che non ti preoccuperai più o che non perderai più le staffe. Significa tuttavia che giù, nel più profondo del profondo di te stesso, sarai capace di essere umano, non un Buddha di pietra. Nello Zen c’è una distinzione di base tra un Buddha vivente e un Buddha di pietra. Se sali fino a un Buddha di pietra e lo percuoti forte sul capo non succede nulla. Ti fai male alla mano oppure spezzi il bastone. Ma se percuoti un Buddha vivente, potrà anche dire “Ahi” e potrà sentire dolore, perché se non sentisse nulla non sarebbe umano. I Buddha sono uomini, non deva, non sono dei. Sono uomini e donne risvegliati. Ma il punto è che non hanno paura d’essere umani, non si tirano indietro di fronte ai dolori e alle difficoltà che sono parte dell’esistenza umana. L’unica differenza è — ed è una differenza difficilmente ravvisabile — che ce ne vuole uno per riconoscerne un altro. Come dice una poesia Zen, “Quando due maestri Zen si incontrano per la via, non hanno bisogno di presentazioni. Quando gli amici s’incontrano, si riconoscono l’un l’altro all’istante”. Perciò una persona che ha un’eccellente comprensione dello Zen non va in giro a dire: “Ehi, io capisco lo Zen, ho ottenuto questo conseguimento” perché, se lo dicesse sarebbe un segno sicuro che, invece, non ha capito proprio niente. L’uomo perfetto usa la propria mente come uno specchio. Non afferra nulla, non rifiuta nulla.

Una poesia dello Zenrin esprime il medesimo concetto con la metafora delle oche selvatiche in volo sopra un lago:

“Le oche selvatiche non intendono proiettare il loro riflesso; l’acqua non ha intenzione di ricevere la loro immagine”.

In altre parole ciò equivale ad essere, per dirlo in lingua corrente, a vivere senza appigli. La parola “appigli” sta qui in luogo del giapponese bonnô o del sanscrito klesa, parole che di solito vengono tradotte con “attaccamenti” o “contaminazioni”. Ma questi concetti suonano un po’ “religiosi”, sapete quel che voglio dire… Nello Zen si dice che “puzzano”. Perciò diciamo che occorre non avere appigli, ossia essere capaci di procedere come una nuvola e di fluire come l’acqua, vedendo che la vita intera è una magnifica illusione, un piano d’energia e che non c’è assolutamente nulla da temere.

In realtà in superficie avrete ancora paura. Paura di mettere la mano sul fuoco, di ammalarvi ecc. Ma non avrete paura della paura. La paura vi attraverserà la mente come una nuvola nera viene riflessa da uno specchio. Ma lo specchio non è una similitudine calzante, il cielo è migliore: come una nuvola nera attraversa il cielo senza lasciar tracce. Proprio come le stelle non lasciano alcuna scia. Questo è quel che nel buddismo vien chiamato “vuoto”. Ciò non significa vuoto nel senso di nulla. Vuol dire vuoto nel senso che è la cosa più “reale” che esista, ma che nessuno può concepirlo.

È pressoché lo stesso rapporto che c’è tra un altoparlante della radio e la varietà di suoni che esso produce. Dall’altoparlante si possono udire voci umane, ogni tipo di strumento musicale, clacson, rumori del traffico, spari ecc. eppure tutta quest’immensa gamma di suoni non deriva altro che dalle vibrazioni di un unico diaframma. Ma è una cosa sottintesa, che non vien mai detta. L’annunciatore, all’inizio delle trasmissioni, non dice: “Signore e signori, tutti i suoni che udrete nel corso della giornata sono soltanto vibrazioni del diaframma dell’altoparlante, non prendeteli per reali”. La radio non svela il modo in cui funziona, mi capite? Nello stesso modo, voi non sarete mai in grado di far della vostra mente un oggetto, di esaminarla, proprio come non potete guardarvi dritto negli occhi senza uno specchio, oppure mordervi un dente; perché voi siete ciò, e non potete trovarlo se lo cercate, o farne qualcosa da possedere. Questa è, a ben vedere, mancanza di fiducia e dimostra che, in verità, voi non lo conoscete. Perché se voi lo foste non avreste alcun bisogno di farne nulla. Non ci sarebbe nulla da cercare.

Fate la prova: state ancora cercando? Intendo dire, non come una cosa da possedere, non come una nozione imparata a scuola, non come una laurea, come “ho imparato il contenuto di questi libri e lo ricordo”. Nella conoscenza dello Zen non c’è nulla da ricordare, nulla da formulare. E il momento in cui lo conoscete meglio è quello in cui dite: “Non lo so”. Perché ciò significa: “Non sto cercando un appiglio, non mi sto afferrando ad alcun concetto”, perché non c’è necessità alcuna di farlo. Ciò, infatti, sarebbe, nel linguaggio dello Zen, mettere le zampe a un serpente o la barba a un eunuco. Insomma, sciupare la perfezione con inutili ornamenti, come farebbe chi volesse indorare un giglio.

Ora direte: “Beh, tutto ciò sembra molto facile. Vuoi dire che non dobbiamo far altro che rilassarci? Che non dobbiamo più andare in giro in cerca di niente? Che abbandoniamo la religione, abbandoniamo la meditazione, abbandoniamo questo e quello e poi viviamo tirando avanti alla giornata?”. Come un bambinetto che continua a chiedere “Perché? Perché? Perché? Perché? Perché? Perché? Perché Dio creò l’universo? Chi ha creato Dio? Perché gli alberi sono verdi?” e via dicendo, finché il padre non gli dice: “Uffa! Zitto e mosca!”? Beh, non è proprio cosí, perché quelli che cercano di realizzare lo Zen senza far niente, stanno ancora disperatamente cercando di trovarlo, perciò sono sulla strada sbagliata. Fine Parte 2.

Alan Watts

Fonte del Post: http://www.crescitainteriore.com/?p=571

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