Andrew Cohen: Risveglio impersonale. 1 di 2.

Terra x Blog + Nero 2015

Il Risveglio impersonale. Prima parte.

Renata de Veste, della rivista 3ème Millénaire, intervista A. Cohen.

Dopo aver insegnato il risveglio nella prospettiva dell’Advaita Vedanta, Andrew Cohen mette ora l’accento su ciò che lo preoccupa molto, la condizione del nostro mondo. Considerando infatti che il rischio di devianza egocentrica, legato alla ricerca della liberazione personale, è troppo grande e che “il messaggio dell’Advaita Vedanta non è più capace di rispondere ai veri bisogni della maggior parte dei ricercatori”, preferisce indirizzare quelli che aspirano a questa ricerca verso altri istruttori, per centrarsi su ciò che a lui sembra essenziale: “fare discendere il cielo sulla terra”, che intende non come l’edenizzazione del mondo abitualmente legato alla liberazione personale, ma come la necessità di preoccuparsi dell’interesse generale, insegnando ciò che chiama il “Risveglio impersonale”.

Abbiamo cercato qui di chiarire questo punto, perché questa interpretazione può turbare i ricercatori che, vicini alle differenti tradizioni spirituali, comprendono questa nozione di “Risveglio impersonale” come la liberazione dei limiti della persona per realizzare la propria identità con l’Uno, realizzazione nel corso della quale si ha necessariamente la sparizione dell’illusione, dell’alterità e, di conseguenza, di ogni necessità di azione sul mondo.

D.: Siamo assolutamente d’accordo con ciò che chiamate “la passione per la morte” e aderiamo totalmente a ciò che dite della morte a se stessi, dell’annientamento, cioè la via dell’estinzione, della liberazione. Ma ci sembra che ci sia un altro versante. Quando l’ego, l’individualità, è completamente scomparsa, immediatamente nasce una sensazione di “Io sono” straordinariamente potente, che non ha niente a che vedere con l’individualità, è come una resurrezione che si può chiamare il “Sé”. Ora, voi non ne parlate mai nei vostri libri o nelle interviste. Potreste dirci quale posto ha questa sensazione di “Io sono” nella vostra esperienza?
A. Choen: Ho constatato, negli anni in cui ho insegnato, che l’ego poteva rifugiarsi in tutto, anche nella sensazione “Io sono”. Così, per aiutare i ricercatori a distruggere tutti gli aspetti del me, li incoraggio a vedere che cosa significa non avere alcuna nozione di sé, compresa la nozione “Io sono”. Li incoraggio a scoprire il posto dove non c’è niente a cui potersi aggrappare e niente con cui ci si possa identificare come me stesso. Allora, si vede ciò che succede ed è ciò che si chiama stato di purezza.

D.: Quando parliamo della sensazione di “Io” non c’è nessuna caratteristica, non sono più questo o quello, non c’è nient’altro che “Sono solo”, “Sono tutto” o “Sono Dio”. Certo, questo è pericoloso, perché, se l’ego si appropria di questo, si tratta di una tremenda confusione, che produce un’inflazione dell’ego.
R.: I ricercatori centrati sul Sé non sono certo tutti egocentrici, ma succede molto spesso e più spesso che quelli che non lo sono. E non si tratta solo di un punto di vista pedagogico. E’ più di questo. D’altronde, sembra che abbiate una posizione molto salda nell’Advaita Vedanta.

D.: Ma, tutti hanno delle opinioni, anche voi. Finché siamo degli esseri umani nel piano manifesto, abbiamo delle opinioni; ma quando si tratta del Reale, bisogna abbandonare ogni idea, bisogna trascendere la mente, perché coscienza e pensiero sono incompatibili. Siete d’accordo?
R.: No, non sono d’accordo: coscienza e mente non sono incompatibili.

D.: Però, il sorgere della coscienza di sé non può mai essere il prodotto del pensiero.
R.: Certamente, ma la mente non è necessariamente un ostacolo all’esperienza della coscienza. Questo è un punto molto importante, perché molti ricercatori, per avere un’esperienza del me, fanno grossi sforzi per provare a sbarazzarsi della mente. Ma si può fare in modo diverso, provando ad accettare le cose come sono, senza tentare di cambiare niente, rinunciando all’idea che ci sia qualcosa di male o che manchi qualcosa. Allora, in modo molto naturale, la nostra percezione comincia ad approfondirsi.

D.: Questo corrisponde al vostro consiglio tante volte ripetuto: “lasciate le cose come sono”. Ma in questo caso, perché vi preoccupate dell’evoluzione, dicendo che il risveglio è il compimento dell’evoluzione dell’umanità?
R.: Non comprendiamo questo termine nello stesso modo, non sta sullo stesso piano. Quello che chiamo risveglio personale, la liberazione dell’individuo, questo abbandono fondamentale, deve accadere. Quando parlo di “lasciare le cose come sono”, parlo dell’abbandono assoluto. Questo porta ad una esperienza di liberazione personale, di compimento, di pace, ecc… Ma quando parlo d’evoluzione, parlo di una realizzazione difficile, di qualcosa che succede quando non si è più preoccupati della liberazione personale, della propria condizione, della propria esperienza.

D.: La liberazione personale non è possibile che a partire dal momento in cui si diventa totalmente indifferenti alla propria persona. Nel caso contrario, questo non è possibile; non c’è più la persona, l’io infinito non è più personale nella liberazione.
R.: Sono d’accordo, ma voglio parlare di quello che chiamo risveglio impersonale. La differenza è che la nostra coscienza fondamentale, primordiale, non è quella delle nostre condizioni o della nostra esperienza personale. Quando si sperimenta questa coscienza fondamentale, la nostra coscienza viene assorbita da quella che si potrebbe chiamare la vita in quanto tutto, perché, quando si abbandona la preoccupazione di sé, che può essere anche nella ricerca del risveglio, si trova un interesse spontaneo e naturale per il tutto. Si diventa allora coscienti di un impulso non egocentrico, che ci porta a partecipare e ad agire in modo che la realtà di Dio si manifesti sulla terra, non per nostro beneficio personale, ma perché a questo si deve arrivare. Davanti a ciò, si è passivi, non si può fare niente, si è senza aiuto. E in questa schiavitù, si trova la liberazione personale; ma senza questo tipo di approccio, la propria liberazione non è più l’oggetto centrale. L’idea è di non essere più lì, perché qualcosa di più grande, possa accadere, manifestarsi. Allora la nostra liberazione personale diventa un necessità perché possa compiersi questo bene più grande. La nostra condizione è stata purificata a un punto tale, che non ci sono più motivazioni egocentriche. Si diventa allora un veicolo puro per la manifestazione di questo bene più grande, in questo mondo miserabile.

D.: E’ proprio la purezza assoluta, perché al posto della ricerca della liberazione personale, si mette un altro obbiettivo: il benessere generale, che è ancora un interesse. Ora, la purezza c’è quando non c’è più interesse per niente, anche per il risveglio personale.
R.: E’ molto difficile parlare di una cosa così sottile e delicata. L’esperienza dell’estinzione totale di cui parlate, nell’individuo è il fondamento per il risveglio spirituale.

D.: Ma secondo voi, è possibile che ciò che chiamate risveglio impersonale possa aggiungere qualsiasi cosa al Sé, all’assoluto?
R.: L’assoluto è insieme ciò che è manifesto e ciò che non lo è. Ma, da un ceto punto di vista, si dice che ciò che non è manifesto è l’Assoluto. Così, nel risveglio impersonale, manifestiamo la realtà di ciò che non è manifesto, di ciò che è non-dualità nel mondo della molteplicità. A questo proposito, è molto importante aprirsi a ciò che non si comprende, perché il rischio è il fare una cattiva interpretazione.

Da molto tempo provo a fare certe distinzioni in queste zone di sottigliezze. Per comprendere davvero il risveglio impersonale, dobbiamo tentar di vedere le cose in modo da trascendere il fatto di ottenere qualcosa per noi stessi, compresa la nostra libertà, che viene trascesa anch’essa. In quel momento, si scopre qualcosa che non viene dalla mente, la forza creativa che letteralmente esplode. Il suo desiderio è la manifestazione di se stessa, che è non-dualità, non-separazione, amore perfetto e un solo Sé. Non c’è un perché ed è semplicemente questo. Così, la scoperta del risveglio impersonale è l’abbandono incondizionato a questa scoperta. In quel momento, si può sentire e conoscere direttamente che la non-separazione, la pienezza, senza motivazione personale, l’amore non egocentrico perfetto, può manifestarsi qui su questa terra, in quanto essere umano ed anche in quanto civiltà. Si tratta letteralmente di fare scendere il cielo sulla terra.

Ma questo non succede quasi mai, perché è molto difficile per l’individuo scomparire fino a questo punto. E anche per i ricercatori spirituali è molto difficile che arrivino a lasciare l’attaccamento alla loro propria liberazione, affinché qualcosa di più grande possa accadere. Una delle ragioni per le quali le persone s’impegnano in un cammino spirituale è il turbamento che provano per i conflitti che vedono, dal di fuori, nel mondo. Si tratta di arrivare ad essere il contrario di tutto ciò che non va in questo mondo. E ciò ha molto senso, perché il mondo ne ha un gran bisogno.

D.: Eppure, si può benissimo sperimentare che il mondo così com’è senza alcun cambiamento, è un paradiso. Se si crede che il mondo è brutto e cattivo, siamo noi ad essere chiusi nel nostro ego. Se ci si libera, siamo nel giardino dell’Eden.
R.: Ho conosciuto questa esperienza, ma parlo di qualcosa di diverso.

D.: Però voi parlate di qualcosa che deve migliorare, su questa terra, nel tempo.
R.: Si, infatti, perché mi preoccupo molto della condizione del nostro mondo. Questa è la differenza..

D.: Peraltro voi dite: “noi siamo quello che facciamo”. Non si può negare che ci muoviamo in modo meccanico nei nostri atti, ci sembra dunque di non essere nei nostri atti, ma nella coscienza che ne abbiamo. Non siamo ciò che facciamo o sentiamo o pensiamo. E la forza cosmica che agisce attraverso di noi; siamo dei robot, tranne se diventiamo coscienti di ciò che succede attraverso di noi.
R.: Il nostro grado di coscienza è ciò che noi siamo. Se siamo pienamente coscienti, ciò che facciamo esprime questa profondità di coscienza. Un individuo può dire: “Sono il Sé”, e solo questo individuo può dirlo, perché qualcun’altro che non è così cosciente, non è in diritto di esprimersi così. Con l’attenzione, si può riconoscere il grado di coscienza con il quale agiamo, il nostro grado d’egocentrismo, di impurità. E’ il punto ultimo, dove non c’è più contraddizione tra il solo Sé e l’esperienza dell’individuo che l’ha realizzato. E’ quella che chiamo la non- dualità. Quando c’è contraddizione tra la motivazione della personalità e la realizzazione della non-dualità, c’è separazione, dualità. E il grado di dualità comanderà il grado di egocentrismo e di motivazione impura, espressi nelle azioni della personalità. Siamo quello che facciamo, perché le nostre azioni esprimono il grado a cui siamo soggetti alle domande meccaniche dell’ego. E così, se si comprende che l’evoluzione della specie umana dipende dalla purezza della realizzazione della non-dualità, il grado con cui si manifesta in un individuo sarà il grado con cui il manifesto si manifesta sulla Terra in quell’individuo.

D.: Pensate che questa realizzazione possa estendersi a tutta l’umanità?
R.: No, certo, è una possibilità, ma dipende dal numero di individui coscienti di questa possibilità, e la sua realizzazione presuppone che siano pronti a sacrificare la loro stessa vita. Ma è così delicato e sottile che quello di cui parlo non potrà mai succedere in massa, è impossibile! La condizione evoluta della specie umana non potrebbe sopportalo. Solo un piccolissimo numero sarà capace di realizzarlo. Infatti, è già così difficile, anche per due persone civili ed educate, vivere insieme fidandosi totalmente, che mi sembra impossibile che succeda in massa.

D.: Ma non parliamo più di spiritualità, ma di psicologia o di problemi sciali o relazionali.
R.: Stiamo parlando di spiritualità, perché si tratta di sperimentare la non-dualità sul piano manifesto. La manifestazione sul piano umano è la fiducia. Nell’esperienza della perfetta fiducia, non c’è più paura, non c’è più dubbio. E’ quello di cui sto parlando: qualcosa di molto segreto, di cui non s’é quasi mai sentito parlare.

Fine prima parte.

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Tratto da: 3ème Millénarie n. 42 – Traduzione della Dr.ssa Luciana Scalabrini, prima parte.

Fonte del Post: http://www.sviluppocoscienza.it/Co1.htm

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