Charlotte Joko Beck: Noi e la Vita.

Terra x Blog + Nero 2015

Sul filo del rasoio.

La vita si sposta laggiù mentre io sono qua e ci penso sopra. Non costituisco più un tutt’uno con la vita; laggiù si è prodotto un evento spiacevole e io, qua, ci penso per trovare una via di fuga dalla mia sofferenza.

Abbiamo creato una separazione: la vita di là e io di qua. Equivale alla cacciata biblica dal paradiso terrestre, che simboleggia l’unità naturale della vita. Ma, di tanto in tanto, lo incontriamo di nuovo. Può succedere che, dopo una sessione, l’unità della vita sia ovvia, e per qualche giorno percepiamo la sua non problematicità. Per la maggior parte del tempo, invece, culliamo l’illusione che ci sia, dall’altra parte, la vita che sottopone un problema a noi, da quest’altra parte. L’unità indivisibile è spezzata (o almeno, così sembra). Siamo divorati dalle domande: “Chi sono io? Cos’è la vita? Come sistemare le cose per stare meglio?”.

Sembriamo circondati da persone e situazioni che dobbiamo controllare e rimettere a posto poiché ce ne sentiamo separati. Analizzare la vita, rifletterci, interrogarci e preoccuparci su di essa, tentare di essere uno con essa, sono soluzioni artificiali. In realtà, da sempre, non c’è nulla che debba essere risolto. Non vediamo la perfezione dell’unità, perché il senso di separazione la nasconde. Perfetta, la nostra vita? Chi mai lo crederebbe!

Siamo immersi nella vita (poiché non siamo altro che il pensare, vedere, udire, odorare, toccare) ma vi aggiungiamo considerazioni egoistiche sugli aspetti che ‘non mi vanno’. Ecco che non siamo più consapevoli dell’unità con la vita. Abbiamo aggiunto qualcosa, la reazione personale, col risultato di costruire ansia e tensione. Non passa minuto che non sovrapponiamo alla vita la nostra reazione. Non precisamente un bel quadro…

Perché il titolo: “Il filo del rasoio”? Per riunire le due parti illusoriamente separate dobbiamo camminare sul filo del rasoio. Cosa vuol dire?

La pratica vuol dire comprendere il filo del rasoio e lavorarci su. Viviamo nell’illusione della separazione, che noi stessi abbiamo creato. Se ci sentiamo minacciati, se un aspetto della vita non ci piace, si avvia la preoccupazione e l’esame delle possibili soluzioni per cavarcela. È la reazione comune. Non abbiamo intenzione di essere con la vita così com’è perché può esserci sofferenza, che è inaccettabile. Da una malattia grave alla più insignificante contrarietà, non siamo disposti ad accettare. Non vogliamo sopportare, non vogliamo essere la sofferenza, se ci si offre anche una minima via di scampo. Vogliamo risolvere il problema, superarlo, eliminarlo. È qui che dobbiamo comprendere la pratica di camminare sul filo del rasoio, ogni volta che iniziamo a sentirci irritati, arrabbiati, risentiti o scontenti.

Per prima cosa, dobbiamo sapere di essere irritati. Molti non lo sanno neppure. Quindi, passo numero uno: consapevolezza dell’irritazione nascente. In zazen, quando cominciamo a conoscere la nostra mente e le nostre reazioni, acquistiamo la consapevolezza: “Sì, sono irritato”. Ma il primo passo non ci porta ancora sul filo del rasoio. Siamo ancora divisi, ma almeno lo sappiamo. Come rimettere insieme le due parti?

Camminare sul filo del rasoio significa appunto essere di nuovo ciò che intrinsecamente siamo: vedere, toccare, udire, odorare. Significa sperimentare qualunque espressione della vita, in questo preciso momento. Siamo irritati, e facciamo esperienza dell’irritazione. Abbiamo paura, e facciamo esperienza della paura. Siamo competitivi, e facciamo esperienza della competitività. Nella pratica, l’esperienza è fisica; non si occupa delle costruzioni mentali sovrapposte all’esperienza.

Fare esperienza non verbale, cioè essere il momento presente: ecco il filo del rasoio. Lì, sul filo, si riuniscono le due strazianti metà. La riunificazione forse non è la felicità, ma ci dà gioia. Capire il filo del rasoio, anzi, camminarci, è la pratica dello Zen. La sua difficoltà nasce dal fatto che non siamo disposti a farlo. Al contrario, siamo dispostissimi a scappare.

Se mi sento offesa, voglio aderire ai pensieri che alimento sull’offesa; voglio aumentare la mia separazione; mi compiaccio di cuocermi in focose idee di lesa maestà. Ma le idee, i pensieri sono una barriera che erigo per non sentire il dolore. Più la mia pratica si affina e più rapidamente mi rendo conto del trucco, ritornando alla nuda esperienza del dolore, il filo del rasoio. Dove, un tempo, sarei rimasta amareggiata per due anni, ora la ferita mi brucia per due mesi, due settimane, due minuti. Una buona pratica mi consente di fare l’esperienza del dolore alla sua comparsa, di salire immediatamente sul filo del rasoio.

Lo stato illuminato consiste nel camminare sempre sul filo del rasoio. Forse non sempre, ma nella maggior parte delle situazioni. Ed è una gioia. Ripeto ancora: bisogna partire dal riconoscimento che non abbiamo nessuna intenzione di salire sul filo del rasoio, che soddisfazione, eppure preferiamo una vita incompleta a un’esperienza diretta della vita, quando ci sembra dolorosa e sgradevole.

Le difficoltà nei rapporti, in famiglia come sul lavoro, nascono dal desiderio di separatezza: strategia su cui contiamo per sentirci realmente esistenti nella nostra separata individualità, per sentirci ‘più’ importanti. Camminando sul filo del rasoio smettiamo di essere un ‘più’: siamo un non-io immerso nella vita. Ci fa paura, anche se vivere il non sé è pura gioia. La paura ci mantiene ‘da questa parte’, nella nostra isolata alterigia. È un paradosso: solo camminando sul filo del rasoio, solo sperimentando direttamente la paura, possiamo conoscere la non paura.

So che è impossibile capirlo di primo acchito, e peggio ancora farlo. A volte balziamo sul filo e subito schizziamo via, come una goccia d’acqua caduta su una padella rovente. Forse è tutto ciò che riusciamo a fare all’inizio, ma va bene lo stesso. Poi, continuando a praticare, ci sentiamo sempre più a nostro agio sul filo. Scopriamo che solo lì è possibile essere in pace.

Molti, tra coloro che vengono al Centro, dicono: “Cerco la pace”, pur non sapendo come trovarla. Il modo è di camminare sul filo del rasoio. Nessuno vuole sentirlo, preferiamo che un altro si incarichi di liberarci dalla paura e ci prometta la felicità. Nessuno vuole sentire la verità, e non la sentiremo finché non saremo pronti.

Sul filo del rasoio, immersi nella vita, non c’è né ‘io’ né ‘tu’. Questa pratica è di beneficio per tutti gli esseri senzienti e, naturalmente, è il nocciolo dello Zen: la mia vita e la vostra vita che crescono in saggezza e compassione.

Preferiamo continuare a stare separati. Vogliamo avvoltolarci nella sterile soddisfazione che dice: ‘Io ho ragione’. È una misera soddisfazione, eppure preferiamo una vita incompleta a un’esperienza diretta della vita, quando ci sembra dolorosa e sgradevole.

Charlotte Joko Beck

Tratto dal Libro: “Zen quotidiano”, di Charlotte Joko Beck.

Fonte del Post: http://unlungosogno.blogspot.it/2015/04/sul-filo-del-rasoio.html

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