E’ conformismo o violenza?

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Conformismo o violenza?

Anche se non ci piace ammetterlo, siamo tutti conformisti e imitiamo i modi di vivere e di pensare condivisi dalla maggior parte delle persone con cui veniamo in contatto, prendendoci a modello gli uni con gli altri, nel tentativo di sentire un’appartenenza.

Ma che cos’è il conformismo?

Si chiama conformismo la tendenza ad adeguare i propri pensieri, atteggiamenti e comportamenti, a quelli del gruppo. Il conformismo soddisfa il bisogno di riconoscimento sociale, consolidando i legami e garantendo la protezione del branco. Il suo opposto, l’anticonformismo, scatena la paura dell’emarginazione e della solitudine che derivano dall’essere considerati diversi.

Il conformismo permea la maggior parte delle nostre scelte e ci fa sentire sicuri, amati e rispettati. Mentre l’anticonformismo ci costringe a fare i conti con i pericoli che derivano dall’autonomia e, spesso, ha delle ripercussioni sulla fiducia in se stessi, sull’autostima e sul senso di efficacia personale.

Per gli esseri umani vivere senza il riconoscimento degli altri è impossibile. Dal punto di vista dell’etologia, l’uomo è un animale da branco e, privato del sostegno e dell’approvazione del gruppo, non può sopravvivere. Ecco perché ognuno di noi deve fare costantemente i conti col bisogno di ricevere l’accettazione e la stima delle persone cui è legato e con la paura di essere disprezzato e abbandonato, quando le idee che professa non incontrano il consenso degli altri.

Il bisogno di appartenenza sottende la maggior parte delle nostre scelte e spesso ci porta ad adeguarci acriticamente alle soluzioni della maggioranza, inibendo la capacità di valutare obiettivamente le situazioni.

Nel 1956 lo psicologo polacco Solomon Asch condusse un esperimento molto interessante per valutare quanto la necessità del consenso sociale possa deformare le percezioni e influenzare la valutazione della realtà.

L’esperimento di Asch prevedeva otto soggetti: sette collaboratori dello sperimentatore e uno ignaro della vera natura dell’esperimento. Tutti i soggetti s’incontravano in un laboratorio, per quello che era stato presentato come un normale esercizio di discriminazione visiva. Lo sperimentatore mostrava a tutti delle schede su cui erano disegnate in ordine decrescente tre linee di diversa lunghezza, e poi li invitava a confrontare ogni scheda con un’altra, dove era disegnata una sola linea, di lunghezza sempre uguale alla prima linea delle altre schede.

Lo sperimentatore domandava ai soggetti, iniziando dai complici, quale fosse la linea corrispondente e uguale nelle due schede.

Dopo un paio di ripetizioni “normali”, alla terza serie di domande i complici iniziavano a rispondere in maniera concorde e palesemente sbagliata. Nella stragrande maggioranza dei casi, il vero soggetto sperimentale, che doveva parlare per ultimo o penultimo, finiva per rispondere anche lui in maniera scorretta, conformandosi alla risposta sbagliata fornita dalle persone che avevano risposto prima di lui.

Asch verificò che, pur sapendo soggettivamente quale fosse la “vera” risposta giusta, il soggetto sperimentale decideva consapevolmente di assumere la stessa posizione esplicitata dalla maggioranza e solo una piccola percentuale si sottraeva alla pressione del gruppo, dichiarando ciò che vedeva realmente.

L’esperimento di Asch mostra con chiarezza quanto il bisogno di appartenenza condizioni le decisioni delle persone, portandole ad alterare la propria percezione della realtà pur di omogeneizzarsi alle scelte della maggioranza.

Le ricerche sul conformismo e sul bisogno di riconoscimento sociale ci spiegano perché è così difficile cambiare la società della violenza in cui viviamo. La sopraffazione è entrata a far parte delle nostre scelte quotidiane e abbandonare il pensiero corrente per seguire vie più etiche e rispettose della vita diventa un’impresa difficilissima per tutti. Anche per le persone più sensibili.

Nel nostro mondo è considerato normale maltrattare qualsiasi essere giudicato inferiore o di una razza diversa. Per soddisfare i piaceri del palato non esitiamo ad allevare e uccidere tante specie animali. La pesca e la caccia sono considerati sport e legittimano l’uccisione in nome del divertimento. Ma uccidere, proclamando il diritto del più forte, autorizza lo sfruttamento. Non soltanto degli animali, ma di chiunque sia giudicato debole.

Ecco quindi: il femminicidio, la pedofilia, il bullismo, il nonnismo… e i tanti mali che affliggono una collettività portata ad affermare con leggerezza la liceità della prepotenza.

Un modo di vivere imbrigliato nel bisogno di appartenenza e di omologazione ci intrappola dentro scelte che non siamo più capaci di mettere in discussione e, poiché “si è sempre fatto così” continuiamo a portare avanti un’etica sempre meno etica, assistendo impotenti al dilagare della brutalità.

Per mettere fine a questo stile di vita disumano è indispensabile rendersi conto di quanto il conformismo distorca le percezioni, fino a farci sorridere davanti al martirio di tante creature colpevoli soltanto della propria debolezza. Animali, bambini, donne, omosessuali, portatori di handicap… chiunque sia considerato fragile, insolito o semplicemente poco intelligente, finisce nel mirino dell’insensibilità che, omologandoci in un modus vivendi stereotipato e indiscutibile, ci spinge a ridere della sofferenza, ignorandone le implicazioni morali e sociali.

Carla Sale Musio

Fonte del Post: http://carlasalemusio.blog.tiscali.it/2016/09/20/conformismo-o-violenza/?doing_wp_cron