Il salto nell’infinito.

Il salto nell’infinito.

A Castel del Monte, il misterioso maniero di Federico II in Puglia, all’ultimo piano vi è scolpita su un muro, una scaletta in pietra. Ad un certo punto questa si interrompe, vi è uno spazio, un salto e poi essa continua molto più in alto, perdendosi nel sottotetto.

Mi è parso di vedere in questo simbolo che, per vivere l’infinito, lo si può fare solo con un salto nel vuoto. Il vuoto di concetti, interpretazioni, pensieri.

Il finito (ossia la definizione) non può comprendere l’infinito (inconoscibile e senza limiti di parole). Si deve lasciare ogni certezza e solidità.

L’infinito è un cerchio, senza inizio nè fine. Un punto immaginario, quindi inventato, non reale, che crea una linea circolare, altrettanto immaginaria. Lo stesso vale per la cosiddetta nascita dell’uomo.

Dal vuoto inconcepibile appare una misteriosa informazione, un ovulo microscopico incontra un altrettanto microscopico spermatozoo (ma sono sempre definizioni, quindi fittizie) e si crea un embrione che, immerso nell’acqua materna, ove tutto è lui stesso, senza alcuna separazione, diventerà un”neonato” e, giustamente, vedrà poi il mondo delle sensazioni e percezioni come la continuazione di se stesso.

In seguito, invece, gli insegnano che vi sono distinzioni, che si chiama Mario o Concetta, che là “fuori” c’è una “mam-ma” o un “ca-ne” e attraverso il linguaggio e le sue azioni cercherà poi, invano, di colmare quel vuoto che fa paura e a cui ora crede, poiché ha perso di vista come stanno realmente le cose. A questo si aggiunge la costruzione spazio-temporale che iI bimbo (in seguito non è più nè un embrione nè un”feto”) impara poco a poco, nei primissimi anni di vita e che accentua il senso di divisione.

Se lo spazio-tempo si rivela un’illusione, uno stato ipnotico indotto dopo la nascita, come può sussistere un corpo-mondo “reale”? Esso farà parte del teatro magico che Herman Hesse descrive bene alla fine del romanzo “Il lupo delle steppe”.

Il feto nel ventre materno è dunque ancora immerso nella “non-località”, scoperta poi dai fisici come base del manifesto. Cresce e ora lo chiamano “uomo”, ma la “non-località”, in realtà, non cambia, anche se gli fanno credere il contrario!

In seguito, col passare del tempo (apparente)… la goccia del concepimento arriva al finale… è un sacchetto di polvere e, infine, nemeno più quella. Lo spazio-tempo sparisce effettivamente: il cerchio è chiuso. Chi è nato e che cosa? Una cellula, un embrione, un feto? O non è mai successo nulla??

In realtà non c’è “corpo”, tranne che nel linguaggio, il quale rende statico un insieme sempre mutevole. Tutte le nostre paure, quindi, vengono da un’unica origine: l’identificazione ad un “qualcosa” di immaginario, che si rivela un turbine di elettroni e poi di vuoto.

Se questa identificazione collassa, il resto si presenterà come un film a cui partecipiamo, certo, ma senza incollarci agli avvenimenti del personaggio, che sono come “uncini” ormai inutili. Sono questi invisibili “uncini”, i cosiddetti attaccamenti e le identificazioni ad essi connesse, che creano paura e sofferenza.

Se siamo oltre quelli (o meglio prima), il salto è evidente, senza effettuarlo nè intellettualmente nè fisicamente. Se non c’è identificazione ad alcun concetto ogni paura sparisce. Se sei “prima” o fuori da ogni identificazione apparente, il resto non ti riguarda o al massimo – come dice Ranjit Maharaj – è come se fosse un tuo vicino di casa ad avere un problema.

Abbiamo solo paura dei nostri uncini verbali. Vi sono solo sensazioni, percezioni simili, senza “nessuno” che li percepisca o ne faccia insiemi e memorie.

Questo senso di separazione fittizio, che si crea solo nei primi anni di vita, si cercherà poi di colmarlo con possessi, droghe, amori e infine con maestri e guru che, forse, gli riveleranno che… “Tutto è te stesso, anzi, in te stesso”. Il cerchio si chiude.

Ora l’uomo (ancora identificato ad un’entità) è felice, ma rimane ancora nel cerchio e non va oltre. Non è mai cambiato nulla. “Oltre” è quello che è sempre stato, ma “prima” del concepimento, di qualunque concepimento, anche verbale: è la scala che continua, dopo… il salto!

Tuttavia, anche in fisica, quando si parla di “salto quantico” in realtà non c’ è nessun salto, poiché l’elettrone rimane allo stesso posto. Quando lo spazio-tempo si dimostra irreale e si scopre la “non-località”, anche il “salto” si dimostra solo un’apparenza, per dimostrare che si salta solo… in un vuoto di concetti. Lo si può dipingere come un vuoto “pieno di potenzialità”, ma è ancora un’oggettivazione immaginifica. Anche il “vuoto” non esiste, è ancora una definizione o interpretazione di un oggetto. Passiamo il tempo ad oggettivare e ci perdiamo nel labirinto delle parole.

“Oltre la coscienza vi è un mondo reale”. Non è Nisargadatta Maharaj a pronunciarla, ma Niels Bohr un fisico del ‘900.

In realtà, quindi, non ci sono “corpi, individui, altri o mondi là fuori”- i quali, come già detto, sono “insiemi”- ma solo percezioni e poi immagini di ognuno di noi che si sono raggruppate e fissate in concetti, interpretazioni, abitudini, che si accavallano, nel gioco costante dei 5 elementi e danno l’impressione di avere sostanza. Sono provenienti dall’ “Io-sono”, che a sua volta è un’emanazione del corpo-mente e non si può separare, come il profumo della rosa dalla rosa stessa.

L’”io-sono è solo un’insieme di funzioni che creano un campo e che dipendono dall’organismo in vita. Assume un potere divino, ma è solo un trampolino, ed invece crea solo un circolo vizioso, molto vizioso.

Il tutto è apparso come un ologramma faceto che all’improvviso può sparire, come è venuto. E’ l’ipnosi collettiva che agisce in ognuno di noi.

Se possediamo un potente microscopio elettronico, possiamo vedere atomi, particelle, e, via via, fino ad arrivare al vuoto, dato che in definitiva stiamo solo osservando… noi stessi.

Senza l’osservatore, l’atomo è un fantasma – dicono i fisici. Il cerchio è perfetto. E’ il gatto che si morde la coda o, più elegantemente, l’Ourobouros degli antichi. Siamo rimasti al limite della scala di Castel del Monte. La scala continua, ma ci vuole un salto. Significa lasciare tutto, ovvero qualunque concetto possiamo avere, che sia sublime o orrido.

In realtà, tuttavia, siamo ancora nel ventre materno, che sembra allargato fino alle galassie, dove ci pare di incontrare angeli o dèmoni con cui ci rallegriamo o ci battiamo, in cui cerchiamo protezione attraverso conoscenze, relazioni, denaro e successo, in un girotondo costante di desideri, di appagamenti o di frustrazioni, ma rimane sempre un grembo materno. Facciamo tutto da soli. Sogniamo.

Se non penso, scompare qualunque oggettivazione, scompare il mondo e, soprattutto, l’ “Io-sono-esisto” che è il prestidigitatore più scaltro che esista. L’ “Io-sono” dunque è solo un pannello pubblicitario vuoto su cui, man mano, si incollano pubblicità di ogni genere. Ogni tanto la pubblicità cambia e il pannello rimane per poterne ospitare altre di continuo. Noi ci identifichiamo non solo con la pubblicità, ma anche col pannello. Entrambi sono illusioni ottiche.

Da bambina, prima di cascare nelle istruzioni del catechismo, ero solita ritirarmi in un “luogo segreto” su una collinetta, dove c’era una piccola cappella e una madonnina. Non ne sapevo molto di religione, tranne che Gesù Bambino mi portava i regali a Natale, Dio ci aveva creati e bisognava essere buoni se no ci castigava. In quel luogo però le cose cambiavano totalmente.

Lì, tutto “era Dio“ ed ”io”… non c’ero. Non era la madonnina ad ispirarlo. Forse la cima della collinetta? “Fuori” non c’era … nessuno. Era una certezza inequivocabile e mi sentivo appagata e felice. A volte sentivo che era quasi insopportabile e dicevo: ”è troppo!” Mi resi conto, poi, che era ancora un’esperienza.

Il problema sorse dopo il catechismo, poiché m’insegnarono il contrario di quanto, per me, era un’evidenza. Comunque anch’esso era già contenuto nel mio programma-ologramma. Questo mi provocò non pochi problemi psicosomatici, che durarono anni, poiché giammai avrei rivelato la mia convinzione, ma i sensi di colpa per i miei dubbi furono enormi.

Finalmente, durante l’adolescenza, (anni cinquanta) strani ricordi mi fecero volgere l’attenzione alla sagezza dei buddisti tibetani che considerai come un ritorno a casa. All’epoca nessuno mi aveva mai parlato, nè ci si occupava di eresie del genere, soprattutto in un clima così cattolico.

Per me non si trattava di reincarnazioni o di memorie personali, solo di un allargamento di coscienza che includeva il conosciuto, in risonanza con quello che ero. Il conosciuto conteneva tutto lo spazio-tempo in quell’istante. Osservai, in seguito, come io potessi essere cosciente solo delle “mie reazioni”- sempre molto simili – a situazioni o persone e che, in fondo, erano solo “detonatori”, per scatenare ciò che già stava in me.

Per molti anni feci incontri imprevedibili, come se il mio interno ”chiamasse” le risposte attraverso persone sagge, dotate di una compassione vera, senza limiti. Ma non mi soffermai mai, sapevo che dovevo andare “oltre”.

Fu poi l’astrologia transpersonale a confermarmi che tutto era già contenuto nel tema natale, come una trama già tessuta, di cui l’apparente spazio-tempo ne tirava il filo, elastico, illuminato da vari riflettori (i transiti) e, soprattutto, che quanto sembrava accadermi era “dentro” al mio tema-ologramma, non fuori.

Osservando il cielo, leggevo in me stessa. Non essendone cosciente, li proiettavo attorno a me, ma erano solo le mie percezioni: parenti, amici e situazioni erano solo le pubblicità del pannello che m’invitavano a guardare dentro di me.

Anche solo un pensiero “distruttore inconsapevole” poteva creare un dramma immenso. Lo stesso dicasi per situazioni gioiose, che portavano alla luce sensazioni del buon grembo materno e accogliente.

I pianeti sono solo energie presenti ovunque e se una di queste energie è in conflitto fin dalla nascita (o dal concepimento, ma è difficile individuarlo correttamente) con un’altra, attirerò problemi in molti settori della vita, sempre gli stessi, anche se li proietto su persone e cose, finché non avrò compreso come accettare e trasformare queste forze innate.

Scoprii anche che i cinque elementi del sistema orientale ed i pianeti del metodo astrologico erano solo energie che non appartenevano al singolo, ma erano ovunque, dall’individuo alla natura, alle galassie. Ognuno di noi si rivelava un ologramma che conteneva tutte le informazioni. “Siamo fatti della stessa sostanza delle stelle”.

In questa visione “verticale” o meglio circolare e non-lineare, ad esempio, se vedo che nel tema di nascita il pianeta (energia) Giove – che rappresenta per tutti la religione, o meglio l’espansione (in natura e altrove) – è in conflitto con un’altra energia, questo determinerà, anche fisicamente oltre che emotivamente, uno squilibrio, sia nelle relazioni che nel corpo.

L’espansione non vissuta si può sperimentare anche attraverso proliferazioni o incremento esagerato in qualche parte del corpo. Per la vità è lo stesso, non fa distinzioni. Se ne siamo coscienti e l’accettiamo possiamo trasformarlo, in modo da elevare il nostro livello di coscienza. Siamo d’accordo che anche questo fa parte del gioco cosmico, ma serve per non rimanere incastrati in falsi schemi e ad andare oltre.

In definitiva, quindi, l’informazione intera (passato e futuro s’incontrano!) è già nel DNA, sono gli stessi identici elementi per tutto il cosmo, in combinazioni diverse. Andando più in profondità si scopre che anch’essi sono solo simboli, come le parole e quindi lo è ogni situazione o persona con cui interferiamo. Siamo in un mondo virtuale, che crea altri mondi virtuali.

Non a caso quindi i cinesi affermano che la madre o la matrix è il “pensiero”, da cui tutto sembra aver origine.

Tutto ciò mi fu confermato in altro modo dall’omeopatia unicista. Questa scienza, che ora pare volgarizzata e applicata solo a sintomi fisici o psichici superficiali, è in realtà la prova che quanto scritto sopra è una realtà.

Si tratta di scoprire il fulcro del condizionamento percettivo dell’individuo. I sintomi possono essere i più disparati, ma la cosiddetta ”falsa percezione” che soggiace a qualunque azione o avvenimento è riducibile ad un solo rimedio, unico, che potrà riorganizzare psiche e fisico. Agisce in modo olografico, naturalmente a livello vibrazionale, quantico. I detrattori dicono che non c’è “materia”, quindi non può curare che per suggestione. Strano, ma si curano anche ignari cani e cavalli in modo ottimale.

Se la mia “falsa percezione ” abituale è la stessa, precisa, corrispondente ad un dato rimedio e se si manifesta in ogni situazione della mia vita, allora quel rimedio agirà in ogni strato psico-fisico e, per alcuni, potrà essere istantaneo, quasi un miracolo e potrà rivelarsi un ottimo trampolino allo smantellamento dei condizionamenti più dolorosi e ad un’apertura di coscienza, in alcuni casi preparatoria al risveglio.

Il processo è lo stesso: il simile cura il simile, cioè si annulla il processo dualistico di non-accettazione.

Nel mio apparente percorso “circolare” venne l’India, l’Himalaya, Ramana Maharshi e infine Nisargadatta Maharaj, che fu il più bel terremoto che avessi mai immaginato. Lì cominciai a sentire che l’ipnosi era al limite.

In seguito mi misi a curiosare nel mercato spirituale che si stava estendendo a macchia d’olio. Un miscuglio di esoterismo, mistiche adattate e interpretate da menti spesso affaristiche, un po’ come il telegrafo senza fili con cui ci si divertiva da ragazzi. (Ora, coi cellulari, non esiste più). I guru pullulano dalla California all’Europa e con la velocità dei network si moltiplicano come funghi.

Un po’ simiIe al dio Urano (secondo gli antichi greci dio del cielo illimitato, dell’informazione istantanea e quindi ora della tecnologia) che moltiplicava giganti a profusione, finché Saturno non lo castrò e gettò in mare i suoi genitali… da cui nacque Venere, dea dell’Amore. Quindi, ci vorrà qualcosa di simile, ora, perché l’Amore possa risorgere dal mare della coscienza illimitata e inconcepibile.

Tutto si ripete all’infinito. I ben noti corsi e ricorsi storici o cicli o… la ruota che gira su se stessa. In realtà anche questo fa parte del sogno, ora bello ora tragico, in cui siamo avvolti. Adesso.

Anche i grandi avatar, i milioni di anni, gli anni-luce si rivelano alla luce della nuova fisica e della mistica antica, solo nostre produzioni effimere e… presenti ora, ma alcuni rarissimi saggi, pur facendo parte della “maya” imperante, hanno avuto e hanno il potere di scoccare quella freccia che ci può definitivamente svegliare. E questi veri risvegliati, spesso poco conosciuti, i cosiddetti “sat-guru” (quelli che sono totalmente “oltre il cerchio”) non si vendono, non viaggiano in auto lussuose, non organizzano costosi seminari o, al contrario, fingono semplicità, ma con infinite interviste e riunioni, per poter ripetere solo: ”Tu sei Quello, non hai nulla da cercare o fare, sei già Coscienza-Beatitudine, adesso, in ogni momento della vita”… e cose simili.

Costoro si fermano solo all’ “Io-sono-Quello”, che è ancora un’identificazione ad uno stato unitario, beatifico. E’ ancora uno “stato sperimentabile”, quindi un ego sottilissimo e ben mascherato che mantiene “maestro” (anche se non vogliono essere considerati tali) e “discepolo”. Non hanno definitivamente annullato la separazione egoica e mantengono sè e gli “altri” nello statu quo.

Siamo d’accordo che “non c’è nulla da cercare, siamo quello che cerchiamo, la devozione significa rimanere nella dualità”… ma allora, perché interminabili e continui seminari? Perché dire: ”Non serve leggere tanti libri o ascoltare guru, meglio riderci su!” e poi scrivere autobiografie di “Illuminazione”, avere un calendario fitto di incontri, satsang, ritiri con “ricercatori”. Tutto, allora, è come prima e si fa solo del “surplace”. Tuttavia è anche giusto sia così: non potrebbe essere altrimenti, per molti.

L’ego è come il fiammifero acceso, che accende il fuoco e poi va buttato nelle braci, ma è solo da quel fiammifero che si puo’ partire, da che altro?

Se sono convinto (o ipnotizzato) di essere qualcuno è solo da questo “qualcuno”, da questo pronome “io” che posso partire e chiedendomi cos’è, se esiste, senza attendere risposta. Posso, da solo, ma con determinazione, scalfirne il duro cemento illusorio. Non c’è nulla da raggiungere e nulla a cui possa appoggiarmi, nemmeno ad un falso senso di appartenenza in un gruppo neo-advaitin.

Una volta si andava a messa ad ascoltare la predica del parroco, per sentirsi protetti e in pace. Papaji li chiamava “predicatori”. Tutto ha però una ragion d’essere in quel momento.

U.G. si scagliava contro questi guru-mercanti, ma, a mio vedere, si può solo vivere ciò che è nel proprio programma dell’istante, non c’è nulla di male e nulla da cambiare…

E’ avvenuto in molti casi che, dopo una forte depressione o uno stato di morte imminente, il sistema psico-fisico di una persona abbia ricevuto una scossa tale, da svegliarlo dal torpore dell’individualità. Energia forte, senso di grande felicità e bisogno di agire. Tuttavia non è quasi mai stabile e spesso ci sono ricadute che, raramente, uno ammette, dopo aver cominciato subito a predicare che la realizzazione era avvenuta.

Tranne rari casi, come Ma Ananda May e il danese Sorensen o Sunyata, che non furono mai identificati al corpo-coscienza sin dall’infanzia, Ramana Maharshi, dopo la sua esperienza di certezza di morte, accettata in tutta la sua portata, si ritirò per anni in silenzio.

Le pratiche devozionali, (in realtà rivolte al Sè inconoscibile, o nostra Vera Natura) che per molti advaitin moderni sono inutili e considerate un gioco dell’ego, da un lato equilibrano dapprima il sistema psico-fisico e dall’altro sciolgono le memorie che ancora cementano la falsa personalità. Non si tratta di raggiungere un traguardo, nè di aggiungere conoscenze, nè di creare stampelle all’ego, o di illudersi che “Tutto è già qui e vivi il momento presente”, ma di sottrarre, o meglio, di annullare tutto ciò che vela la Realtà sempre presente e non ancora operante. Per non rimanere nel limbo di un falso risveglio, legato alla sola conoscenza intellettuale.

Ranjit Maharaj (che ebbe lo stesso maestro di Nisargadatta Maharaj) affermava che, una volta disperse le nubi dell’ignoranza e sperimentata la Coscienza-conoscenza (sat-chit-ananda), era però necessario dissolvere anche quell’illusione nella Realtà inconoscibile. Inoltre, praticare devozione eliminava i rischi di farsi riprendere poi dall’ipnosi egoica, ancora presente nello stato di coscienza-beatitudine in cui c’è sempre una punta di essere (io-sono).

Dal momento che è ancora un’esperienza, la separazione concettuale è ancora presente. Si conoscono però vari casi dove una troppo violenta e inaspettata intrusione dell’Assoluto ha generato psicosi e pazzia. Questo è avvenuto anche per molti che praticavano rituali troppo forti per il loro sistema nervoso. E’ quindi normale che il “sistema psico-fisico” tenti di difendersi da un’eventuale tsunami psichico, per chi è impreparato.

Come diceva il don Juan di Castaneda: ”è necessario che il tonal (ego) sia forte per poter sopportare il Nagual (Assoluto Inconoscibile). ”La devozione, la totale umiltà e annullamento nel “divino” è risultato un fattore decisivo per rinforzare il sistema e prepararlo ad uscire dal sonno ipnotico.

La comprensione – diceva Ramana Maharshi – deve scendere e rimanere nel cuore.

Un ego debole, che si appoggia a gruccce intellettuali, si illuderà di essere libero, ma agirà incontrollato nel quotidiano, dando solo l’impressione di totale liberazione.

Usiamo la mente per disgregarla fino in fondo, il che poi si rivela un’astrazione. Tuttavia, se essa è ancora operante a molti livelli, non serve comprendere “intellettualmente” che non esistiamo, perché questo significa che ci sta prendendo ancora in giro. Il risultato è che sopprimiamo le reazioni dolorose e ci aggiungiamo una comprensione verbale. Affermiamo “tutto è UNO”, ma nel quotidiano viviamo la separazione non appena qualcosa disturba o affligge.

Steve Jourdain diceva che è necessario sognare bene, prima di uscire dal sogno.

Tutte le pratiche meditative di religioni ufficiali e i “sentieri”, se usati per un traguardo e per “ottenere” qualcosa, si rivelano un mantenimento di un ego spirituale e mantengono nell’illusione: questo è il paradosso. Basta invece chiedersi quotidianamente e in qualunque momento – come consigliava del resto Ramana Maharshi – “Che cosa sono? Chi soffre ?” e la risposta è sempre: ”IO”. Poi si insegue questo IO e si trova che è questo pronome o vocabolo che soffre o gioisce in realtà.

Le neuroscienze hanno “scoperto sperimentalmente” che l’IO è… inventato, immediatamente dopo l’azione.

“Cos’ero prima di essere cosciente?”

Quello che siamo è… al di qua di qualunque pensiero. ”Prima del concepimento o mille anni fa che cos’ero? ”Siamo “inconcepibili”, ma poi ci illudiamo di essere nati.

Quello che “siamo e non sappiamo” è al di qua di questo circo.

L’altro modo di sciogliere i legami di identificazione (corpo-ego) è il vedere che qualunque reazione non viene da un evento “esterno”, ma è solo un condizionamento in cui bisogna entrare a capofitto, in modo che nessun pensiero possa creare separazione.

Se “siamo” l’emozione dolorosa, essa sparisce. In questo modo è un altro cancellino. Non si tratta affatto di diventare indifferenti, ma quando visibilmente “tutto è te stesso” le reazioni non hanno più senso: vi è solo compassione, senza un “io compassionevole che sa di esserlo”.

Lo stesso dicasi per le reazioni di piacere, in cui è facile immergersi, dando il merito ad un evento esterno che si rivelerà transitorio. La felicità vera è appagamento totale in qualunque situazione ci si trovi.

Questo ”lavoro interiore di smantellamento” provoca in molti uno svuotamento della cantina dimenticata, ma sempre un po’… puzzolente e si ha l’impressione di essere ancor più coinvolti in emozioni sgradevoli. Per altri si manifestano le “siddhis” (chiaroveggenza, poteri di guarigione ecc.), ma sono da lasciar perdere, perché sono ancora tentazioni dell’ego che tenta l’ultima battaglia… è solo un passaggio.

Del resto, Cristo e il Buddha hanno vissuto simili esperienze. Se anche avvengono miracoli in seguito, “nessuno” ne reclama la paternità, è ovvio. Tutto avviene spontaneamente e nessuno fa nulla. E non succede nulla.

Sembra un paradosso: lo stato naturale sempre presente è avviluppato da un’edera fitta e parassita e, per tagliarne le radici, non basta volerlo o praticare per qualche tempo intellettualmente. Per scioglienre tutte le possibili ramificazioni (identificazioni) occorre sradicare, fino all’ultimo, ogni possibile aggancio. Poi esso brillerà da sè e non ci sarà bisogno di pubblicizzarlo.

Nisargadatta, Ramana e altri sat-guru hanno attirato naturalmente migliaia di individui che, a loro volta, vedevano solo quanto potevano della loro totale realizzazione. Anche questi esseri totalmente disidentificati, poi, si rivelano proiezioni della nostra mente.

Nel magnifico libro “Mysticism and new physics” di M.Talbot, egli dice che se qualcuno vedesse all’improvviso che tutta la realtà cosiddetta “esterna” è produzione della propria mente, ne uscirebbe sconvolto.

Quest’esperienza la ebbi inaspettatamente, ma per fortuna ero pronta ad assumerla e fu uno stato di grazia che mi accompagnò per lungo tempo.

La verità certo, non ha prezzo, costa solo la propria determinazione a vedere incessantemente, con perseveranza che ogni cosa imparata è solo nel pannello pubblicitario, a volte con qualche pubblicità attraente, a volte vuoto. La “verità”, in definitiva, fa parte anch’essa del bisogno di trovare un’àncora di salvezza. In sostanza rimane anch’essa sempre un’idea.

Nichilismo? Anche questo fa parte del concettuale, effimero e irreale. Ma allora “chi sono”? La risposta più scontata è: “Siamo un mistero”. Quindi continuiamo a cercare… il mistero!! Come alcuni scienziati continuano a cercare la particella ultima. Impossibile! Continuano solo a girare nella giostra, nel cerchio magico in cui sono stregati.

Alcuni, avendo frequentato numerosi seminari o letto molti libri di advaita vedanta, affermano con sicurezza: “Tutto è illusione!” Sono solo parole, purtroppo, che aggiungono sogno al sogno. Rimane… il creatore dell’illusione, cioè l’ego! Se sei convinto totalmente e stabilmente che l’ “Io-sono” è solo una sensazione che ha preso forma ai primi anni di vita, ma che fa già parte dell’inganno iniziale, esso sparisce dal tuo sistema e quindi “ciò che era prima di sapere”, si manifesta a tua insaputa!

L’Assoluto, il Mistero, il vero Silenzio, possiamo solo viverlo senza ”saperlo”, quando tutto quanto era stato “imparato” verrà visto come inconsistente.

“Il creatore dell’illusione è anch’esso illusione”, non è la Realtà finale, perché qui persiste ancora una punta d’essere ( io sono ), mentre nella Realtà non vi è essere”– dice Ranjit Maharaj.

Il costante martellamento del “Chi, che cosa sono io?” o “Chi sta soffrendo ora? Chi è in ansia? Chi ha paura?” senza attendere… nessuna risposta è un buon modo di azzerare ciò che è solo un fantasma – d’accordo – ma si sa, anche i fantasmi, a volte, sono peggio del reale.

Il corpo-mente che proietta il nostro “interno” sullo schermo invisibile del mondo circostante (i fisici quantici lo hanno confermato) sarà visto come… un’ Alice che agisce secondo l’USB o il dischetto caricato al concepimento. Ma “prima del concepimento” cos’ero? Non lo so. Anche questo “prima” poi lo butti nel fuoco. Dov’è andato? Cosa rimane? Suoni un campanello. Dov’era il suono prima? Dov’è andato quando tace?

Anche la spiritualità, ad un certo momento, deve sparire, perché é solo l’altra faccia della materialità, visto che è sempre concettuale e ci irretisce ancor più nei fili invisibili della Maya. Un pò come un nano (ego) che si gonfia fino a toccare le galassie, ma sempre “nano” resterà. A meno che scoppi, una volta per tutte, per vivere davvero l’Inconcepibile, senza ipocrisie spirituali.

Il metodo del koan, usato dai maestri zen, è solo un modo di tagliare alla radice il pensiero concettuale, lineare.

Non c’è nessun mistero, nè l’ ignoto. Lo siamo e quindi ogni definizione oggettivante cade.

La notte sogno eventi complessi, personaggi, storie a non finire e se qualcuno (mentre sogno) mi dicesse: ”Non vedi che stai sognando?” Io direi: “Sei matto, non vedi come sto soffrendo?” oppure: ”Sono così felice, ho appena sposato l’uomo che amo”. Non ci crederei in nessun modo. Solo quando suona la sveglia tutto sparisce in un attimo. Dove sono andate la sofferenza o la beatitudine? Svanite nel nulla.

Il sogno del giorno è lo stesso, anche se sembra continuare, lo si vedrà come un miraggio nel deserto, si continuerà a vedere l’acqua, ma si sarà ormai convinti che c’è solo sabbia… elettroni… vuoto… SILENZIO. E nemmeno quello…

Lo zero è un cerchio che tutto contiene… ma rimane uno zero… nulla… anche se da esso nascono tutte le cifre.*

La Realtà, la Vera Natura è oltre o al di qua dello zero. E’ il salto nell’infinito, senza salto.

>*”cifra” proviene dall’arabo zifr, che significa, appunto, zero.

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Il mantra della Prajnaparamita:

Om Gate, gate, paragate, parasamgate, bodhi, svaha!

«Andato, andato, andato oltre, andato completamente oltre, il Risveglio avvenga!».

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“O mio cuore

Davanti a chi prosternarmi?

A chi dirai: ”O mio guru”?

Egli è là, tutt’attorno a te

E dimora in ogni cosa…

Il Signore è il riso nella ciotola,

il Signore è la passione dell’anima tua,

del tuo cuore che singhiozza

il Signore è le lacrime.

Anonimo – Antico Canto Bâül

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L’IO anteriore.

IO è costruito da labirinti.

Io sono solo il mio essere sconosciuto.
Essere coscienti è forse dimenticanza.

Pensare sarebbe un sogno o un sonno.

E dormire, forse per un momento,

è lo spirito nostro a riprender possesso di se stesso.

Fernando Pessoa

Nella Bhagavad Gita, Sri Krishna ha detto: “Là, da dove le parole tornano indietro, là è il mio stato”

Isabella di Soragna

Fonte: http://isabelladisoragna.com/articoli/il-salto-nellinfinito/

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