Il valore del Tempo.

Terra x Blog + Nero 2015

L’esigenza di restituire il giusto valore al tempo della vita.

Ogni essere vivente possiede una certa quantità d’un bene scarso per eccellenza, che potremmo senza dubbio annoverare tra i più preziosi. Si tratta d’una dimensione in grado di contrarsi o di dilatarsi, ma che pur sempre sarà finita per ogni essere umano. Possiamo intenderla come una variabile fondamentale della nostra percezione della realtà, accompagnata da un’intrinseca incertezza sulla sua futura disponibilità: si tratta del tempo della vita.

Alcuni affermano che il tempo sia denaro, eppure io non riesco a togliermi dalla mente che prima di tutto il tempo significhi vita. Bisogna riporre molta attenzione su questo aspetto, perché chiunque tenti di fondare una società senza attribuire al tempo il suo vero significato, rischia di commettere dei grossolani errori, che si ripercuoteranno inevitabilmente sulla qualità dell’esistenza degli esseri umani.

Nell’attuale società per poter sopravvivere si deve svolgere un lavoro al fine di procurarsi uno stipendio. Ma ogni ora destinata ad un’attività lavorativa corrisponde anche ad un’ora d’esistenza consumata. Comprendiamo così, che il salario d’un dipendente assume un significato duale di valore del lavoro svolto e del valore del tempo della vita. Il fatto che in Italia lo stipendio medio sia di 1.330 € al mese, equivale ad affermare che la vita d’un essere umano vale esattamente 8,31 €/h, perlomeno se si tratta d’un operaio. La stima infatti può salire fino a quota 2.077 € all’ora, nel caso di un amministratore delegato di fama o ancora più su per alcuni miliardari, sottolineando che all’interno dell’attuale società il valore dell’esistenza non è per tutti uguale, come se alcuni individui fossero più umani degli altri. Il tempo d’un ora di vita si avvicina al suo valore reale solo per una sparuta minoranza, l’élite, mentre per la maggioranza della popolazione tende ad essere prossimo allo zero. La vita d’un operaio polacco vale 3,95 €/h, quella di uno rumeno 2,16 €/h. Ma come si può anche solo pensare di far corrispondere al tempo della vita un così infimo equivalente monetario?

L’assegnazione d’un valore per la cessione d’una quota della propria esistenza, è una delle aberrazioni della visione del mondo, che scaturisce dalla distorsione del reale significato del tempo esistenziale, dove tutto diventa merce, persino l’inestimabile tempo dell’esistenza d’un essere umano. Anche la tipica equazione tempo uguale denaro è un chiaro riflesso delle esigenze di un mondo malato di profitto, dove gli individui hanno ceduto la propria dimensione umana in luogo di quella economica, smarrendo il senso stesso della loro vita.

A giudicare dal valore attribuito dall’attuale sistema economico al tempo della vita, l’insieme dei lavoratori non sembra essere composto da umani, ma appare piuttosto simile ad un agglomerato di macchine, la cui esistenza da meri oggetti esanimi, è effettivamente del tutto priva di valore, e quindi anche legittimamente sacrificabile. Peccato però che quei lavoratori siano esseri pensanti, in grado di provare sentimenti ed emozioni, nonostante il valore esistenziale ad essi attribuito dal sistema tenda ad affermare il contrario, assimilando l’uomo ad un’automazione.

Eppure chiunque riesca a comprendere che quell’ora di lavoro umana corrisponde ad una frazione finita d’un bene che in realtà ha un un valore infinito, potrebbe facilmente intuire che non esiste alcun compenso ammissibile per la cessione della vita, a meno che esso non sia estremamente elevato. In quest’ottica il tempo esistenziale appare un bene così prezioso che non può essere sprecato. Al contrario, quando l’esistenza assume un valore monetario finito tendente allo zero, allora diventa sacrificabile. Il capitale trova così la legittimazione necessaria affinché la massa venga asservita alle sue necessità, in virtù d’un errata valutazione sulla scala dei valori umani, dove il profitto prevarica la vita e la felicità.

Eppure è evidente che vivere non dovrebbe significare assecondare le dinamiche necessarie a generare profitto, riducendo il significato dell’esistenza di gran parte degli esseri umani al pari di quella d’una macchina. Ogni essere umano dovrebbe invece sperimentare la propria, unica, esistenza all’interno d’una società che sia in grado di garantire il massimo del tempo libero per svolgere le attività che lo rendono felice, perché il vero scopo dell’esistenza in fondo è “vivere la vita” con serenità, in una condizione di reale libertà.

Attualmente l’attività principale che monopolizza le giornate degli esseri umani è senza dubbio quella lavorativa. Tra spostamenti e pausa pranzo miliardi d’individui sacrificano 10-12 ore al giorno per il lavoro. Ma lavorare forzosamente per sopravvivere non significa “vivere la vita”. Servire il sistema sotto l’azione coercitiva d’un ricatto economico, corrisponde piuttosto all’annullamento del senso stesso dell’esistenza. Il lavoro non è libertà, semmai la sua negazione perché in una società a misura d’uomo, gli individui dovrebbero lavorare per vivere e non vivere per lavorare.

Oggi per la stragrande maggioranza degli esseri umani il lavoro non è una questione di volontà ma una costrizione. Il lavoro è un obbligo travestito da necessità sociale, che induce le persone a lavorare per un orario eccessivo, svolgendo troppo spesso mansioni contro la propria volontà. Le persone infatti, non scelgono il proprio lavoro, ma pur di sopravvivere si adattano a ciò che il sistema mette a disposizione per loro. Il tutto si traduce in una palese forma di violenza. L’attività lavorativa ruba tempo ed energie psicofisiche che non vengono impiegate per vivere la vita, ma per inseguire fini di profitto. Le azioni necessarie al capitale non collimano con le vere esigenze dell’esistenza d’un essere umano, né tanto meno sono state concepite per essere piacevoli o per contribuire al benessere psicofisico di una persona.

Rinchiudersi quotidianamente all’interno d’un ufficio per smaltire futili scartoffie burocratiche, equivale ad una carcerazione temporanea, con l’ulteriore aggravio di svolgere forzosamente mansioni indesiderabili. La stessa cosa, sussiste per un qualsiasi operaio d’una catena di montaggio, ma anche per un architetto o per un progettista perché svolgere forzosamente un’attività per 8-10-12 ore al giorno per 40 anni della propria esistenza al fine di poter sopravvivere, rappresenta di per sé una vera e propria tortura per ogni essere umano. Una lunga giornata di lavoro assorbe completamente vitalità e vigore fisico, e così un lavoratore non solo non ha più tempo, ma neanche volontà e forza necessarie per dedicarsi ai propri interessi, alle relazioni umane o a tutto ciò che potrebbe contribuire realmente a renderlo felice.

Lavorare per tutto il giorno significa non avere tempo per vedere crescere i propri figli, che devono essere parcheggiati in una scuola, fin dalla tenera età. Lavorare significa stravolgere i naturali ritmi esistenziali, che non riflettono più le reali esigenze del singolo, ma che devono forzosamente adeguarsi a quelle richieste della proprio attività lavorativa. Anche il tempo del divertimento subisce una distorsione, perché così come ci sono giorni nei quali si deve lavorare, ve ne sono altri nei quali si è obbligati a divertirsi.

Sacrificando la propria esistenza per il lavoro, la vita scorre veloce, tra rinunce e costrizioni, e quando finalmente arriva la pensione, l’essere umano realizza che è troppo tardi per vivere la vita, perché deve dedicarsi a rimediare ai danni d’una esistenza fatta di lavoro. Non a caso questo meccanismo di costrizione ad un lavoro eccessivo e coatto è da sempre causa di stress, nevrosi e tensioni sociali, perché qualunque mansione svolta per un elevato numero di ore diventa totalizzante, inducendo in qualche misura ripercussioni psicofisiche negative sull’essere umano.

L’ideale massimale che l’impostazione economica capitalistica è riuscita a concepire per la società, è fatta di esseri umani che gettano via la propria unica esistenza svolgendo forzosamente mansioni ripetitive, logoranti e alienanti al fine di produrre merci per realizzare il profitto d’una élite. Senza contare che chi non riesce ad annullare la propria esistenza lavorando, è costretto a sperimentare fame e miseria. Una visione del mondo che solo un malato di mente avrebbe il coraggio di prospettare all’umanità. Eppure tutto ciò è il destino che oggi, nell’indifferenza generale, il sistema economico a stampo capitalistico ha messo in serbo per miliardi di esseri umani, inducendo la massa a pensare di dover essere addirittura grata di avere la possibilità di sacrificare la propria unica esistenza sull’altare del lavoro.

Il tempo dell’esistenza di ogni essere umano è troppo importante per essere impiegato per svolgere mansioni che sono in contrasto con la sua volontà. Per costruire una società a misura d’uomo, è importante che l’attività lavorativa non assuma una forma totalizzare, al contrario, è bene che sia minimizzata e che venga legata ad una connotazione di volontà. Nella giusta ottica, ridurre il tempo del lavoro significa aumentare la libertà, restituire il tempo alla vera esistenza. Affinché oggi le persone possano vivere in modo pieno la propria vita, è necessario che la dimensione economica venga ridotta, svincolandosi dalle attuali gabbie di pensiero indotte dall’esigenze del profitto.

La verità taciuta alle masse è che stiamo costringendo miliardi di esseri umani a gettare via il preziosissimo tempo della propria, unica, esistenza per lavorare per conto d’una élite di personaggi dediti al profitto, quando tutto questo è evitabile ma non tra un secolo, non tra un decennio… oggi, qui e subito! Ho già discusso qui e qui su come sia possibile minimizzare l’attività lavorativa rendendo al tempo stesso accessibili beni e servizi di elevata qualità all’intera umanità. Ribadisco che un simile scopo, che i più ameranno definire con il termine di utopia, grazie alla conoscenza scientifico-tecnologica che abbiamo a disposizione, oggi è solo una questione di volontà. Le soluzioni esistono, basta volerle applicare.

Di certo, condannare gli esseri umani ad un destino fatto di sopravvivenza dovuto alla totale dedizione all’attività lavorativa, è un’aberrante follia sociale, figlia esclusiva delle logiche di profitto. Se non comprenderemo l’importanza di restituire il giusto ed inestimabile valore all’esistenza di ogni essere umano, non riusciremo neanche a ribellarci innanzi a questa ignobile ingiustizia, e mancheremo ancora una volta l’appuntamento con l’ambizioso obiettivo dell’Utopia Razionale.

Fonte del Post: http://utopiarazionale.blogspot.it/2014/10/lesigenza-di-restituire-il-giusto.html

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