Isabella Di Soragna: Il Risveglio.

Terra x Blog + Nero 2015

Il Risveglio di Isabella Di Soragna.

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Questo libro è dedicato a tutti coloro che si sono resi conto di aver girato a vuoto nel dedalo di una ricerca spirituale che li elude, invece di ravvicinarli alla meta.

Tutti i saggi di qualunque cultura o razza, che hanno oltrepassato qualsiasi credo religioso, dicono unanimi: «Svegliati, ciò che cerchi con tanta passione è semplicemente colui che sta cercando». 

Disperatamente, senza sosta e per tutta la vita cerchiamo l’Amore, la Libertà, l’Unione, attraverso il sentiero sbagliato dei concetti che continuano ad illuderci. In realtà tutto ciò è già in noi, e ha un solo nome: c o n s a p e vo l e z z a.

La coscienza contiene queste aspirazioni, le incarna: Libertà è consapevolezza, Amore è consapevolezza. Noi ci attacchiamo agli scampoli colorati, sparsi qua e là sulla terra, dimenticando la nostra vera veste regale. Non potendo evidentemente afferrare la nostra vera identità, come non possiamo vedere il nostro viso, né esprimere il sapore della bocca, o come l’occhio non può vedere se stesso, ci affanniamo in un girotondo senza fine.

Il girotondo non ha meta, è la meta.

Il nostro “volto originale” non ha né inizio né fine. Non potremo trovarlo né attraverso l’edonismo, né attraverso rituali, né discipline. Le pratiche, in realtà, aiutano solo a mantenersi nel qui e ora e a distinguersi dall’immagine di sé. Possiamo solo retrocedere e poi, quando tutti i nomi, le idee, le congetture si saranno dileguate, come fata morgana nel deserto, allora ecco … ciò che siamo veramente potrà rivelarsi.

E così, tutto ciò che consideravamo “altro” e che ci spaventava – anche se fingevamo di amarlo – potrà riprendere il suo vero posto: quale nostra veste o meglio una seconda pelle.

Allora questo mondo, che ci appare così solido e che vogliamo afferrare per paura che ci distrugga, sarà tutt’uno con i nostri pensieri, di cui anche il nostro corpo è il frutto – ombra fuggevole di un’altrettanto labile memoria.

L’universo che ci circonda, ridiventa veramente vivo, amico e pulsa con noi; anche il nostro nemico lo vediamo come parte integrante del nostro io, proiezione delle nostre paure, specchio di qualche inibizione o tabù che non possiamo vedere altrimenti.

Da parecchi decenni poi, la fisica quantistica da Einstein a Bohm, parla d’interdipendenza dei fenomeni, di relatività di tempo-spazio – è sempre ora e qualsiasi posto è qui – e di partecipazione fra osservatore e osservato. La scienza degli elettroni e degli adroni scopre che il mondo non esiste in sé, ma è totalmente legato alla presenza cosciente. La vera separazione tra noi e l’ambiente – dicono – è la descrizione del mondo in cui ci chiudiamo.

Le convenzioni ci strangolano. Lo spazio – tempo è una convenzione del pensiero.

Heisenberg – noto fisico moderno – già più di cinquant’anni fa enunciava il principio d’Indeterminazione, come base dei fenomeni della vita. La coscienza appare ora piuttosto come un ologramma: ogni essere è una centrale d’informazione che contiene tutte le informazioni. Gli antichi testi vedantici dicono che la misura è maya – illusione – la cui radice sanscrita è matr – come madre o Maria. L’Immacolata Concezione del dogma cristiano è la maya che crea il mondo, pur restando vergine e pura.

Non dobbiamo però confondere di nuovo la Realtà, ciò che siamo profondamente, il nostro fondo – senza-fondo – con le parafrasi dei fisici che ancora descrivono qualche cosa, pur comprendendo la natura inafferrabile di ciò che osservano, poiché in effetti continuano ad esaminare … se stessi. Non possono eliminare la loro coscienza dall’osservazione e quindi seguitano ad oggettivare quello che in realtà è l’osservatore.

Il serpente che si mangia la coda. Il loro merito è di avvicinarsi al “gran salto” di cui parlano i mistici di tutti i tempi. Ma esiste poi questo salto? Il famoso “salto quantico”, di cui tanto si parla, non è un vero salto perché l’elettrone non cambia la sua orbita. Ciò dimostra che c’è qualcosa d’immutabile nel continuo apparente movimento della vita.

L’IO, quello vero, non legato alla persona e inesprimibile a parole, che pur si manifesta durante tutta la creazione spontanea della vita – non muta mai, dalla nascita alla morte: anche durante il sogno notturno vi è sempre un indefinibile senso di essere, in cui tutto compare e scompare, come un temporale su un cielo azzurro. Del sonno profondo non abbiamo un ricordo preciso, poiché in quel momento non c’è più identificazione con il corpo o ad uno stato mentale: siamo come annegati in noi stessi. Eppure c’è una vaga reminiscenza di benessere totale, non di un buco nero in cui regolarmente cadiamo. La forma corporea dunque è vista come proiezione mentale, cui ci attacchiamo nello stato di veglia e che c’imprigiona nel concetto centrale “io sono il corpo”. Quando si dorme, non siamo forse incorporei?

Si parla tanto di compassione, ma in questa nuova luce, essa diventa una parola senza senso, dal momento che si scopre che non ci sono “altri”, che la nostra povertà totale è la nostra più grande ricchezza. Non siamo niente. Siamo tutto. Nulla e tutto si fondono nello schioccar delle dita: sono identici.

Questa vita che appare e scompare in un lampo, di cui anche i fisici moderni constatano l’imprevedibilità di base, l’incertezza ed i mistici la spontaneità, l’impermanenza, non è forse un mondo di sogno? Nei sogni notturni i personaggi ed i paesaggi sono nostre creazioni e quando ci svegliamo diciamo: “era solo un sogno.”

Ci svegliamo e continuiamo a sognare con gli occhi aperti, ma non ce ne rendiamo conto, tranne al momento in cui ci risvegliamo completamente.

Tutti i cosiddetti Risvegliati affermano che è possibile, facilissimo, basta solo che lasciamo andare le nostre convinzioni più care e cerchiamo di guardare attraverso lo specchio, come Alice. Come Alice dobbiamo attraversare effettivamente lo specchio, lasciare ciò che la mente costantemente ci suggerisce: memorie, opinioni, concetti. Non possiamo restare a metà strada. Non è possibile vivere la Realtà rimanendo legati al mondo di sogno, alla descrizione delle cose.

Anche il risveglio, l’illuminazione si rivela poi la più grande delle illusioni.

Chi è illuminato? Chi è risvegliato? Nessuno. L’individuo non potrà mai sperimentare la propria origine, che è già, da sempre, perché quello che egli può concepire od oggettivare è arbitrario, uno sdoppiamento o un riflesso, dovuto al sistema percettivo-conoscitivo. La nostra immagine nello specchio ci rimanda un altro, ma in realtà è una sola persona.

Abbiamo paura, infine. Paura di che cosa, di chi? Di noi stessi, del nostro vero volto, della libertà, che è amore. Abbiamo paura dell’ignoto. D’accordo. Cos’è l’ignoto? E’ un falso problema che deriva dalla nostra identificazione alle abitudini e alle memorie che non vogliamo accantonare nemmeno per un istante. Abbiamo paura di perdere la nozione delle cose e di lasciare i nostri beneamati concetti. Come lo scienziato che cerca l’origine della vita e deve nominare quello che scopre per esorcizzare ciò che non ha nome. Qualcosa che egli stesso crea. Mentre s’illude di trovare qualcosa di nuovo, scopre in realtà quello che la sua coscienza gli fa apparire, dunque se stesso sotto forme diverse.

«L’ignoto – dice U.G. Krishnamurti – è ciò che siamo!» I biologi moderni affermano: «Siamo il ramo su cui siamo seduti.»

Ognuno di noi, per così dire, possiede – anzi è – tutto l’oro del mondo, però si identifica con qualche briciola, o qualche ornamento di poco prezzo.

E le guerre, le carestie, la miseria? Ci sono, come c’è la pace, l’abbondanza, la ricchezza. Può l’uno esistere senza l’altro? Avete mai visto un compratore senza un venditore? L’uno e l’altro si alternano, come la nascita e la morte, la creazione e la distruzione: fanno parte dell’ologramma. Nel nostro corpo, nella nostra mente non ci sono forse continue lotte, accompagnate da momenti di tranquillità? Mille morti in guerra e mille sepolti da un terremoto sono identici.

La differenza sta nell’arroganza di credere che siamo stati noi ad uccidere, quando invece era solo il momento giusto. Chi dirige la nostra vita? Un fascio di condizionamenti che noi chiamiamo “volontà”.

Ma tu chi sei? Dove sei? Questa è la sola domanda da farsi. Poi, in questo momento forse, il chi e il dove possono sparire, mentre rimane solo l’e s s e r e che è coscienza e beatitudine.

Osserviamo il film e lasciamo che la vita segua il suo corso. Ciò non significa affatto passività, anzi. Richiede una vigilanza appassionata; seguire la corrente tumultuosa di una rapida non richiede forse grande destrezza? Tutto dipende anche dal programma che incarniamo, le nostre tendenze innate e niente di più: tuttavia faremo più facilmente e spontaneamente quello per cui siamo apparsi alla luce, senza fatica né apprensione.

Questo apparato psicosomatico è sorto senza il consenso del piccolo cervello, in realtà ci è accaduto – corpo, mente e mondo – e così sparirà com’è venuto. Ciò che sei realmente, assiste ed è ciò che osserva: questo è il paradosso dell’apparente dualismo. Il mondo ci appare immenso e costante, quando in realtà è il nostro computer interno che lo forma: un uomo, sotto influsso di una droga, un’ape o un marziano lo vedrebbe ben diversamente.

“E’ allucinazione collettiva” – diceva Nisargadatta e ce l’ha confermato il noto fisico Schrodinger. Uomini che sono considerati mentalmente lucidi.

I concetti dunque sono utili, ma solo come una spina che si usa per togliere definitivamente la spina che ci fa male in un piede: una volta usata, si butta via l’una assieme all’altra. Alcuni però riescono persino a conservarle entrambe.

Ma il pensiero potrà avvicinarsi al vero Silenzio: quando la mente non ha più risorse, come il drago vinto dall’arcangelo, sarà sconfitta e la vera comprensione potrà accadere.

“Né questo né quello”, “trasparenza”, “vuoto di concetti, ma pieno di ciò che è”: ecco le parole usate da questi personaggi a secoli e a migliaia di chilometri di distanza – senza uso di telefoni – che si consideravano inesistenti, ma che vivevano tranquillamente la loro vita. Realizzare la propria vera natura non è né la ricerca di estasi, o di poteri soprannaturali, né un denigrare la vita terrena: è però un capovolgimento totale di ottica, per poi continuare a vivere una vita più ricca e serena.

Coloro che si sono lanciati alla ricerca del Sé, sono un po’ come i cavalieri del Graal. E’ necessaria una grande determinazione, una passione che non deriva certo dal piccolo ego condizionato. Tutta la nostra attenzione sarà costantemente rivolta a Quello, come l’amante perdutamente innamorato non può distogliere il pensiero dall’amato bene. Non è necessario mortificarsi, intraprendere viaggi pericolosi, ma semplicemente tener viva la fiamma di questa passione. Ciò farà maturare il frutto, col calore del sole dell’attenzione, che è “l’io sono”, il senso dell’essere presente.

Poco alla volta, o repentinamente, esso scioglierà queste incrostazioni di giudizi e concetti, questi cadaveri ideologici che ci impediscono di penetrare il mondo vero di Alice. E’ l’innocenza dal pensiero concettuale che ci fa conquistare il Graal.

«L’unica innocenza è quella di non pensare», dice il noto poeta portoghese Pessoa.

L’ultimo passo da fare in quella che si vuole chiamare “la via senza via” è vedere, senza ombra di dubbio, intuitivamente, che noi siamo prima dell’apparizione della coscienza corporea: essa è ancora un oggetto, un nome.

La coscienza è l’ultima corda che ci lega alla misura, all’illusione.

Il cosiddetto stato non-mentale, non è quello di un ritardato mentale – benché anch’egli goda inconsapevolmente di questa libertà – è piuttosto uno stato di pienezza che le parole non possono penetrare. Se si vive quello stato, i pensieri veramente utili rimangono e possono essere più efficaci, se sappiamo distinguere la mente funzionale da quella pensante, che crea continuamente immagini legate al passato e quindi anticipazioni del futuro.

Al di qua, prima ancora del respiro, “più vicino ancora della vena giugulare”, ecco rivelarsi l’Ineffabile “volto originale” che ci accomuna. Come un genitore affettuoso, sempre disponibile, pazientemente ci attende: la parabola del figliol prodigo ce lo racconta.

Molti si chiederanno come “mantenere” questo stato di grazia che hanno repentinamente riscoperto: questo senso di spazio che sposa ogni forma, senza dimensioni, ci attirerà sempre di più, spontaneamente verso di sé. E’ la consapevolezza la regista dello spettacolo, lei sola tira invisibili fili: quando sarà l’ora giusta, la sveglia suonerà, adesso forse. Allora il fervore della contemplazione si manterrà costante da solo. In quest’assenza di dimensioni, di misura, dunque, la motivazione stessa è Consapevolezza, Libertà, Amore. Se la barriera dentro-fuori sparisce, dove sono i confini dell’ego? L’ego si dileguerà nel tutto ciò che è.

E quando il ricercatore scompare, chi cerca ancora e che cosa?

Tratto da: “Il libro del Risveglio”, di Isabella Di Soragna

Fonte del Post: http://www.centroparadesha.it/ude/articoli/381-157-il-risveglio-di-isabella-di-soragna

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