Jean Klein: Essere una cosa sola con l’accettare.

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Essere una cosa sola con l’accettare.

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“Generalmente noi conosciamo noi stessi soltanto nelle percezioni, negli stati. Conosciamo soltanto la coscienza di qualcosa, ascoltiamo un qualcosa, e così via. Non conosciamo la pura coscienza priva di oggetto.

[…] Poiché il percipiente non può mai essere percepito, nel momento in cui un pensiero o una percezione ritornano verso colui che percepisce, essi conducono al silenzio, al puro essere, alla coscienza senza oggetto. […]

Osservi che, dalla mattina alla sera, lei è costantemente in cerca di una localizzazione. Lei ha bisogno di localizzarsi da qualche parte, sia in una sensazione corporale che in un’emozione o in un’idea. Ma quando lei accetta che non è possibile trovare se stesso, il suo vero Sé, dentro una percezione, il processo produttivo cessa. Lei smette di creare delle idee, delle immagini e delle situazioni.

Lei deve vivere nell’apertura senza alcuna memoria. Questo significa che lei è allora completamente aperto alla vita, a tutto ciò che può accadere. E poiché in questa apertura non vi è memoria né reazione, lei è completamente attento, in ogni istante, alla freschezza e alla novità della vita. Non vi è più ripetizione. […]

Quando voi avete veramente accettato voi stessi […] percepirete uno spazio tra la vostra posizione di accettazione e qualsiasi cosa accettiate. […] Accettando tutto ciò che appare, voi siete liberi da ciò che appare. All’inizio vi sentite liberi da ciò che accettate, in seguito troverete voi stessi nell’accettazione. […]

Poniamo che lei sia consapevole di una particolare sensazione del corpo. […] Nel momento in cui è consapevole di una percezione, è automaticamente fuori di essa, intendendo con ciò che non vi è più coinvolgimento o identificazione con il percepito. In questo stato di non coinvolgimento o di «lasciar essere» può diventare consapevole del silenzio. Ma questo stato vuoto, questa assenza di pensiero, è ancora un oggetto del quale lei è consapevole.

Allora può sorgere la domanda: «A chi appartiene questo stato vuoto?». Quando questa domanda sorge, vi è un arresto. E si produce spontaneamente una commutazione dell’accento, uno spostamento dallo stato vuoto, l’oggetto, a colui che percepisce, il soggetto. Poiché il percepiente è privo di immagine, e non può mai essere percepito, lei non trova nulla a cui riferirsi. Lei è completamente aperto, aperto ad una risposta. Si trova adesso sulla soglia dell’essere.

L’accento è sulla consapevolezza in se stesso, e l’oggetto, lo stato vuoto, si dissolve nella consapevolezza. Non vi è più un soggetto, un osservatore, né uno stato osservato, un oggetto. Perché questo accada deve essere presente un’osservazione non qualificata, un’osservazione libera da ogni reazione. […] Allora ciò che chiamiamo osservatore perde i suoi attributi in quanto osservatore, ed è puro essere.

[…] All’inizio, nella meditazione, lei è consapevole di qualcosa. Per esempio dei suoi pensieri, delle sue emozioni e del suo corpo. Può osservare di non essere completamente a contatto con il corpo, e scoprirsi invece a contatto con una proiezione, con uno schema iscritto nella sua mente. Osserva inoltre di essere colui che produce lo schema. Con questa visione, la produzione cessa.

Possiamo parlare di meditazione del momento di non-interferenza in cui vediamo quanto siamo affezionati al produrre sensazioni, pur di fornire un punto d’appoggio all’«Io» (pp. 101-107).

Tratto da: “La naturalezza dell’essere”, di Jean Klein.

Fonte del Post: http://www.lameditazionecomevia.it/klein7.htm

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