Mauro Bergonzi: La trappola dell’ “io sono”.

La trappola dell’io sono.

Domanda: Le esperienze che ho vissuto e le letture fatte mi hanno portato alla convinzione che sia possibile vivere una vita diversa da quella ordinaria.

Penso ci sia un confine invisibile, una specie di spazio in cui posso essere qui e al di là nello stesso tempo, viva e già morta; oppure morta, ma sempre viva.

Vorrei potermene andare definitivamente in quello spazio: un po’ ci sono già. Se non ci fossero i miei cari, penso che nulla mi fermerebbe.

Non so se riesco a rendere comprensibile ciò che voglio dire: non sto parlando di una rinuncia alla vita, ma della scelta di una esistenza nella vita ordinaria che, però, di ordinario non avrebbe più nulla, se non le azioni come nutrirsi, lavorare, leggere, suonare… Un’esistenza nel ‘non io’, nel silenzio, al di fuori di tutte le convenzioni che la società ci impone come regole e che ci separano sempre più dalla vita, ma anche dalla morte.

Crediamo di essere vivi, ma non lo siamo; crediamo di dover morire, ma non moriamo. La vita è un’altra cosa e anche la morte: entrambe sono reali soltanto lì dove coincidono, lì dove non siamo mai nati e dove mai moriremo.

Mauro: La nostra mente traccia, con i pensieri e le parole, infinite linee di confine, come fa il ragno quando trae fuori da se stesso la tela. Divide il lungo dal corto, l’alto dal basso, il bene dal male, la vincita dalla perdita, il piacere dal dolore, la salita dalla discesa, la vita dalla morte.

Terrorizzata di essere in caduta libera in uno spazio sconfinato, senza fondo e senza punti di riferimento, traccia un’immaginaria linea di confine che divide lo spazio in due: nasce così l’apparente contrapposizione fra un ‘aldiqua’ e un ‘aldilà’, fra la vita e la morte, fra la prosaica e noiosa esistenza ordinaria e la misteriosa dimensione del sacro.

Poi, dimentica di essere stata lei a farlo e crede che veramente ci siano due realtà separate. A questo punto sente il disagio della separazione e nasce il problema di come uscire dalla vita profana per entrare in quella sacra, o di come unificare le due dimensioni.

Tuttavia, ogni sforzo per superare il confine non fa che rafforzarlo, perché, se mi sforzo di superarlo, do per scontato che esista, che sia reale. Così, la mente prima crea l’illusione che ci siano due dimensioni diverse, poi si pone il falso problema di riunificarle e infine, attraverso i suoi sforzi, non fa che confermare l’illusoria divisione da lei stessa prodotta.

Ma lo spazio sconfinato può veramente essere diviso in due?

La società, con tutte le sue regole e convenzioni, non ha alcun potere di separarci da Ciò che è, perché anch’essa ne fa parte. Siamo sempre in caduta libera nell’Ignoto e la vita ordinaria, con tutte le sue apparenti divisioni e costrizioni, non è separata dal nostro volo: io e non-io coincidono nella luce della Presenza che siamo.

D: Ti ringrazio tanto per la chiarissima risposta. Leggendola, mi sono resa conto di quanto io mi impicci nelle parole: infatti sento profondamente che non vi è alcuna divisione, ma – nel momento in cui cerco di comunicare questo sentire – con le mie parole la creo. Per questo non le amo. Per questo non amo il modo di muoversi della mente. Perché siamo condannati ad usare le parole?

Perché il nostro pensiero le formula continuamente e non si limita a calarsi in ciò che è ? Non sono le parole, non è la nostra mente (per come funziona) a produrre il grande equivoco?

Già soltanto la piccola parola più usata, ‘io’, porta a dividere , a separare, a non essere nella realtà . Come si fa ad essere la luce della Presenza senza rinunciare ai pensieri e alle parole?

Mauro: Parte dell’inganno è credere che il pensiero abbia il potere di formulare le parole e che debba rinunciarvi per calarsi in Ciò che è. Non esiste un pensiero a parte che produca le parole.

‘Pensiero’ è semplicemente un’altra parola, un termine collettivo che usiamo per indicare tutte le parole che costantemente appaiono e scompaiono nella coscienza. Le parole non hanno il potere di fare alcunché. Una parola può forse pensare? Può forse produrre altre parole?

L’unica azione che i pensieri possono compiere è apparire e scomparire spontaneamente nello spazio senziente della Presenza. Il ‘grande equivoco’ generato dal pensiero non è che un altro pensiero che appare e scompare, come un miraggio.

Tu mi chiedi: “Come si fa ad essere la luce della Presenza senza rinunciare ai pensieri e alle parole?” Ma la vera domanda è: Chi cerca di essere la luce della Presenza? Chi dovrebbe rinunciare o non rinunciare ai pensieri?

La questione è molto più semplice. Noi siamo la luce della Presenza (l’unica cosa reale) e non abbiamo alcun bisogno di cercare di esserla, di rinunciare o non rinunciare ai pensieri.
La Presenza manifesta la sua luce sotto forma di coscienza: ecco ciò che siamo.

Quando appaiono i pensieri, le parole e l’illusione dell’io, noi ce ne accorgiamo, ne siamo coscienti (altrimenti non apparirebbero). Quando scompaiono i pensieri, le parole e l’illusione dell’io (per esempio in qualche stato meditativo), noi ce ne accorgiamo, ne siamo coscienti. Dunque, parole, pensieri e illusione dell’io appaiono e scompaiono, mentre la nostra Presenza consapevole resta sempre qui, sempre adesso.

Non si tratta di una speciale ‘supercoscienza cosmica’, raggiungibile solo in certe condizioni: è proprio la umile, semplice coscienza ordinaria, quotidiana, quella che ci fa accorgere di ogni più prosaico dettaglio della nostra giornata, per esempio la coscienza che adesso sta leggendo queste parole.

Il pensiero “Io sono un’entità separata” appare e scompare. Il pensiero “E’ vero, ci credo”, appare e scompare. Il pensiero “No, si tratta di un inganno” appare e scompare. Ma la coscienza che osserva tutto questo non viene mai ingannata, perché anche l’inganno non è altro che un pensiero, un semplice oggetto di cui la coscienza si accorge.

La coscienza si accorge di quando ci sono le illusioni del pensiero e di quando non ci sono: dunque i pensieri e le illusioni non hanno alcun potere di offuscarne o alterarne l’essenza. Ecco Ciò che siamo.

D: Quindi è questo l’‘io sono’ di cui parla Nisargadatta? Semplicemente Essere ?

Mauro: Il fatto di esistere e sapere di esistere (essere-consapevolezza) è l’unica vera certezza che abbiamo.

Se ti chiedo “Esisti?”, la risposta è un “Si” immediato. Non c’è bisogno di pensarci, è un fatto evidente, che viene prima di ogni pensiero. Persino negare la mia esistenza non fa che confermarla, perché per negare qualcosa devo prima esserci. La nostra presenza consapevole non è un pensiero, ma un sentire immediato e intuitivo, che poi la mente traduce nel pensiero “Io sono”.

Quando, però, si crea il concetto di me come ‘io sono’, ecco che da questo seme di consapevolezza si sprigiona un intero universo di forme: allora ‘io sono’ diventa ‘io sono qualcosa’ (una mente e un corpo, maschio o femmina, vecchio o giovane, allegro o triste, ecc.).

Non appena appare ‘io sono qualcosa’ (per esempio un corpo-mente individuale), automaticamente nasce ‘io non sono qualcos’altro’ (il mondo esterno), ed eccoci perduti nell’illusorio labirinto della separazione.

L”io sono’ è il primo seme luminoso di esistenza-coscienza (pura e semplice consapevolezza di esserci), la condizione indispensabile per l’apparizione di ogni ‘questo’. Quando però i due si manifestano come ‘io sono questo’, tutta la nostra attenzione viene assorbita dal ‘questo’, come in una ipnosi.

Quando pensiamo, per esempio, “Io sono felice/infelice, bello/brutto, sano/malato, vecchio/giovane”, è il ‘questo’ che richiama tutto il nostro interesse: ciò che più conta per noi è essere belli e non brutti, felici e non infelici, sani e non malati, e così l”io sono’ viene dimenticato. Eppure, senza prima esserci, nessun ‘questo’ potrebbe manifestarsi.

L”io sono’ apre l’orizzonte di ogni ‘questo’. Ogni ‘questo’ (processi fisici e psichici, emozioni, sensazioni, percezioni, pensieri) nasce e muore, mentre l”io sono’ resta. Quando al mattino ci svegliamo dopo un profondo sonno ristoratore, la prima cosa che emerge è ‘io’, poi ‘io sono’, poi ‘Io sono ora’ (tempo), poi ‘Io sono qui’ (spazio), e man mano tutto l’universo della nostra vita comincia a manifestarsi di nuovo.

Dunque l”io sono’ è il primo seme luminoso di esistenza-coscienza, da cui si dispiega l’intero universo della nostra esperienza. Nessun suono, colore, odore, sapore, sensazione, percezione, pensiero potrebbe manifestarsi se prima non ci fossi io a percepirlo come esistenza-coscienza. Senza l”io sono’, l’intero universo sparisce.

D.: Allora l’’io sono’ è il mio vero Sé?

Mauro: No. L’identificazione con l”Io sono’ è l’ultima trappola dell’illusione.

D.: Questo esserci e sapere di esserci è eterno? C’è sempre?

Mauro: Quando sveniamo o quando ci immergiamo nel sonno profondo, sappiamo ancora di esserci? Siamo consapevoli di esserci? No. Ma continuiamo ad esserci? Certamente.

Dunque quello che veramente siamo è puro Essere, così perfetto, completo, profondo e indisturbato che non ha alcun bisogno di dividersi in due parti separate, una che è e una che sa di esserci.

Questo siamo prima di nascere, questo siamo dopo la morte, questo siamo nel sonno profondo e questo siamo anche adesso: lo Sfondo Ignoto su cui l’’io sono’ continua a tessere l’universo percepibile.

Nisargadatta ha detto:

Prima di ogni inizio, dopo ogni fine, Io sono. Ogni cosa ha il suo essere in me, nell’’io sono’ che brilla in ogni essere vivente. […] Il mio luogo è l’Assoluto. Nel puro Essere sorge la coscienza, nella coscienza appare e scompare il mondo. Tutto è in me. Io non nego il mondo: lo vedo solo come un’apparizione nella coscienza, che è la totalità del conosciuto, nell’immensità dell’Ignoto.

Mauro Bergonzi

Fonte: https://sites.google.com/site/ilsorrisodellessere/home
WooshDe7Torna Su