La vita è un’ombra che cammina.

Terra x Blog + Nero 2015

La vita è solo un’ombra che cammina…

La vita è solo un’ombra che cammina, un povero commediante che si pavoneggia e si dimena per un’ora sulla scena e poi cade nell’oblio: la storia raccontata da un idiota, piena di frastuono e di foga, e che non significa nulla.- Shakespeare (Macbeth atto 5, scena 5):

Diogene viveva nudo in una botte e cercava l’uomo con una lanterna: non lo trovava! Alessandro il Grande gli disse che poteva chiedergli che cosa poteva fargli come dono e lui rispose: Levati dal sole perché mi fai ombra!

Un napoletano povero povero è seduto a prendere il sole; un americano ricco sfondato gli dice che se invece di starsene lì a far niente si mettesse a lavorare, potrebbe un giorno comprarsi tante cose. Al che il napoletano gli domanda: E poi?
– Poi ti puoi comprare cose ancora più splendide. –
– E poi?-
– Poi, poi poi…- Non sapendo più cosa dire l‘americano sbotta: Poi ti potrai finalmente riposare al sole e non far nulla!
– È proprio quello che già sto facendo ora!, risponde placido il napoletano.

Tutto questo mostra che la miglior soluzione a tutti i nostri mali è quella di non desiderare più nulla, ovvero la totale soddisfazione di tutti i desideri. Alcuni lo vivono naturalmente, la maggior parte non può.

Desiderio significa voler cambiare ciò che é presente ora. È un movimento verso l’esterno, che ci allontana dal nostro stato naturale, eternamente pieno e soddisfatto. Solo quando il pensiero è assente, al momento in cui si é immersi nello stato d’animo presente, che sia doloroso, pauroso (o più facilmente gioioso) – vi può essere una dissoluzione di un nodo concettuale, di un conflitto, di un problema e quindi apertura a ciò che è senza opposti.

Si può anche affermare che la soluzione ed il problema sono, in fondo, la stessa cosa, ma é l’atteggiamento a dover cambiare ed é questo il solvente; ogni soluzione cercata intellettualmente è un inganno. Si scopre quindi che non c’é un vero problema, solo un diniego. È come se dicessi: “Voglio solo il giorno e non la notte! “

Per questo il lavorare su se stessi, le lotte, le pratiche che mirano ad uno scopo, anche alla liberazıone sono illusioni. “Ama e fa quel che vuoi!” (S. Agostino), ossia: “Sii in unità viscerale (non mentale) con qualunque cosa ti capiti e poi non importa ciò che fai, in quello stato non vi è più pensiero, quindi nessun agente”.

Come detto prima, anche le lotte, gli sforzi e le pratiche fanno comunque parte del programma di nascita e, ad un certo punto, la visione giusta annullerà quel movimento che – apparentemente – fa uscire dall’immobilità del Presente Assoluto. La libertà vera non potrà mai essere sperimentata: stingerà solo nelle azioni compiute in uno stato di sogno e non più considerate frutto della volontà di un io.

I neo-advaitin ed altre correnti spirituali si esprimono contro una terapia psicologica che miri a migliorare o a cambiare la “persona”, l’individuo. Vediamo come stanno le cose.

La terapia psicologica, come la spiritualità, esercitate come metodo per arrivare a un traguardo che ci immaginiamo beatifico, non devono essere intese come mezzi, per migliorare ciò che si rivela come un gioco di particelle, ma solo un modo per poter effettivamente constatare che tutto quel che avviene e sembra succedere a “qualcuno” , fa parte effettivamente di un organismo o sistema nervoso che si rivela, poi, un ologramma transitorio e fluttuante, riflesso di altrettanti ologrammi, a loro volta specchi dell’apparente cosmo.

Una sola candela posta in un palazzo ove vi siano solo specchi, quante candele sembrano esserci?, diceva un saggio cinese.

Ciò che rifiutiamo o ciò che amiamo è il prodotto del nostro bio-computer, che si rivela essere un’appendice del nostro senso di essere vivi e che assume qualunque forma. Infine si può realizzare che questa unità mondo-corpo che ci appare quando siamo svegli la mattina, è un caleidoscopio fatto di poche pietruzze che danno l’impressione di una miriade di figure, mentre quello che siamo veramente è prima di qualunque possibile percezione. Quando la percezione si affaccia al momento del risveglio… siamo già in trappola. Vi sono solo movimenti di energia e sensazioni a cui diamo un nome, ma a cui ci identifichiamo, creando così separazione e sofferenza.

Psicologia significa “studio della psiche”. La psiche é legata ad un individuo che, alla fine, si rivela inesistente. In questo senso è giusto ragionare come i neo-advaitin. Ma che dire della massa di memorie che ostruiscono la chiara visione e rischiano di far rimanere fermi ad una visione intellettuale della Realtà assoluta?

Il fatto di “saperlo” non basta a sbloccare l’ingorgo mentale in un baleno. Come conciliare le due cose? Investigando si vede che il corpo è un’idea e così le emozioni. Le paure ed i traumi sono legate alla memoria, di per sé labile ed inaffidabile, poiché legata alla percezione soggettiva dei fatti, spesso deformati. Tutto ciò fa parte del meccanismo mentale. Ma soprattutto che cos’é la mente che la psicologia studia? Intanto esiste? È questo che dobbiamo scoprire. Le psicanalisi e le terapie che parlano di problemi col padre o con la madre o di traumi infantili irrisolti da guarire, non servono alla Realizzazione e nemmeno al vero miglioramento della vita. Voler “cambiare o migliorare“ uno stato, si rivela come mettere un cerotto sopra una profonda ferita. I traumi possono solo essere usati come esche per andare a “sentire profondamente” il dolore che mantiene l’infezione, anche se continua a cambiar nome e forma. Il “sentire” é lo stesso negli anni, che sia la madre o la fidanzata o il capufficio che ne siano i portavoce: il problema – si sa – rimane lo stesso. Yoko Beck una maestra zen diceva che le era stato utile il comportamento della figlia per vedere il proprio problema e le era toccato “sentire “ l’irritazione che le provocava anche mille volte al giorno, prima che tutto fosse veramente annullato! (“Zen quotidiano” – Ubaldini ed.)

I problemi non nascono dalla memoria di un fatto – che é neutrale – ma dall’attaccamento, anche involontario, all’emozione che vi é legata. L’attaccamento può anche provenire dal bisogno di avere un oggetto (persona o altro) che sembra poter contribuire alla nostra felicità e pienezza, quanto dal nodo doloroso a cui siamo, nostro malgrado, legati o meglio identificati. Se la nostra abitudine per ottenere protezione è quella di soffrire, continueremo a farlo perché é l’unico modo con cui otteniamo protezione. Di qui l’identificazione e l’attaccamento. È necessario smantellare i concetti che ci hanno creato questo miraggio.

C’é un altro fattore da prendere in considerazione, ossia vederlo sotto un altro punto di vista. Il fatto di voler cambiare quello che ci accade fa parte della fede in un mondo considerato reale e di una “persona” separata dal resto del mondo. Può sembrare di modificare o di migliorare una situazione o modo di vivere non soddisfacente, ma in realtà:

Non siamo individui confınati ad un corpo, ma solo idee di essere un corpo.
Nel sogno di veglia tutto é cambiamento, che avviene senza la nostra volontà.
Si crede di poter agire o intervenire sul programma, ma il cambiamento che crediamo di provocare é già nel programma. Il non volersi migliorare o non poterlo fare è anch’esso già nel programma.

Ci sembra di cambiare ma, come in un caleidoscopio vi sono solo alcune pietruzze che danno l’impressione di creare immagini diverse, così nel mondo i cinque elementi creano scenari meravigliosi o tremendi, ingrandimenti e riproduzioni con varianti di un’unica sensazione, avuta al momento della nascita. Il problema è di credere di poter agire con volontà propria per infinite opere, mentre le cose avvengono invece spontaneamente ed, in fondo, sempre le stesse, con sceneggiature diverse. Ognuno trova infine quello che crede di trovare. È quello che i fisici odierni, che sono rimasti nel ragionare causale, tentano invano di trovare con sempre più sofisticati, costosi macchinari: troveranno solo quello che ‘sanno’. L’origine della vita non la troveranno mai in quel modo, troveranno solo le loro ipotesi.

Come si sa, il presunto individuo che sta male o vede i propri desideri non realizzabili, inizia a percorrere il cammino a ritroso. Quindi, arrivato alla disperazione, invece di continuare a cercare fuori la soluzione, inizia a cercarla dentro. Trova ancora un mondo oggettivo separato, con un osservatore ed un osservato. Tuttavıa, se l’investigazione è sincera e l’aiuto che si trova in una terapia o altro è valida, si inizia un percorso di pacificazione e di accettazione incondizionata di ogni aspetto della propria vita e le proiezioni che si fanno sugli “altri” scompaiono.

Alex Smit, un olandese che frequentava Nisargadatta Maharj scriveva:

“Che cosa c’é, a parte il quotidiano? Perché mettere tutte quelle separazionı nella tua vita: teoria, pratica, vita quotidiana?… ciò nasce dal credersi un’entità o che vi sia un agente. Chi c’é che possa fare qualcosa? Una volta visto che non c’é nessuno ad agire, se questo é visto totalmente, non come idea ma come realtà di fatto, allora e solo allora tutto succederà naturalmente. Allora, ogni pensiero, ogni sentimento o gesto sarà un’espressione, una traduzione di quella verità che avrai realizzato nel più profondo di te stesso. Se non sarà veramente integrata, sarà un jnana (realizzazione ultima) “da poltrona”. Non credere che, se questo ti capita, non respirerai più o che non ti piacerà più la torta al cioccolato.” (Tratto da: “Consciousness”, di Alexander Smit)

Questo, a mio avviso, avviene in ogni modo e sempre – visto che l’agente non é mai esistito, ma lo si credeva soltanto: la realtà non cambia, muta solo la visione. È come se si spezzasse il vetro che pareva separarci dal resto del panorama. Eppure quel vetro non è MAI apparso! Inoltre non c’entra il fatto di fare il muratore o il ministro, ma é l’identifıcazione al personaggio che crea il problema. Solo quella. Il sapere di fare qualcosa o di essere qualcosa di definito, ossia l’autocoscienza, crea solo paura e i problemi che conosciamo.

L’ego, se si guarda bene, é un concetto basato sulla memoria di una serie di sensazioni e abitudini. Esso usurpa la posizione della realtà che lo mantiene in vita. È come un mendicante che ha rubato le vesti ad un re e che crede di esserlo. Una volta smascherato e messo al vaglio, l’inganno perde forza e potere e l’origine luminosa e inconcepibile potrà brillare come il sole senza nuvole. Gli atti quotidiani continueranno, ma non saremo più vampirizzati da un parassita.

Viene qui il momento di parlare del cosiddetto inconscio. In realtà non si tratta di inconscio dell’individuo, con l’etichetta di ignoto o misterioso, esso è invece visibilissimo, se solo ci si dà la pena di guardare come stanno le cose. Basta osservare la malattia, le situazioni, le persone che adoriamo o detestiamo – che sono invece solo parti di noi proiettate sullo schermo della coscienza – proprio come un proiettore che illumina il fılm negativo, ingrandendo le immagini che possiamo osservare sulla tela. Come faremmo a vederle senza proiettore e senza tela? Sarebbero solo presenti potenzialmente – come confermano anche i fısici attuali, parlando delle particelle o dei tachioni.

L’inconscio collettivo è un altro concetto da sfatare. Se in ultima analisi io sono un ologramma in cui tutto si riflette – ecco che il collettivo e il personale perdono sostanza. Oppure si può dire che siamo il collettivo che si riflette interamente nel nostro organismo. In un grano di sabbia vi è il mondo intero. Le onde sono anche tutto l’oceano. Perché ci stupiamo della perfezione sincronistica della natura? Perché tutto avviene da sé senza che nemmeno un moscerino decida di non voler fare questo o quello. E, anche se crediamo di decidere qualcosa, la vita ce lo fa supporre, ma siamo proprio degli ingenui se ci caschiamo!

Un altro fattore che smantella automaticamente questa fede nel mondo “là fuori” sono le esperienze che, generalmente, passano inosservate o tutt’al più ci sembrano solo degne di un “Oh! Che strano!” Sembrerà una barzelletta se dico che quando un’ape ci punge, come mai – (confrontandola con agopuntura e i meridianı cinesi) – il punto corrisponde ad un tragitto preciso da regolare e di cui avevamo bisogno in quel momento? E questo non una volta, ma praticamente sempre, se un insetto ci stuzzica o ci sloghiamo una caviglia o soffriamo di qualche altro trauma fisico. Basta osservarlo.

La psicologia, da Carl Gustav Jung in poi, parla dell’ “archetipo” – che, in fondo, corrispondeva al dio dei Greci o dei Tibetani (solo per citarne alcuni) – che é solo un’energia insita in ognuno, ovunque nell’universo, che riunisce in sé i due poli opposti ed é non-locale, come direbbero i fisici moderni. Lo stesso dicasi per tutti gli altri archetipi, che siano divinità o pianeti: é solo il loro tipo di energia che conta. (v. Articolo su Astrologia transpersonale pubblicato anche su www.riflessioni.it) Anche se si parla di archetipi universali, la faccenda é la stessa, sono intimi nella mia forma come in quella di qualunque altra persona o oggetto creato dai sensi. Ad esempio, Giove il dio dei cieli é anche l’espansione, il senso religioso, la legge, la fede ed anche l’organo del fegato. Quindi é reperibile in svariati regni, nell’universo intero, ma in senso verticale o sincronistico e non lineare di spazio tempo o causale. Questa é di nuovo la dimostrazione che il tempo é inventato e la causalità è un’apparenza. Si può dire che esso é legato al nostro cervello sinistro, in cui definizioni e influenze, sviluppi e cicli, reincarnazioni e civiltà passate sono fabbricate, ma hanno un valore relativo e apparente.

Se il tempo-spazio esiste solo nell’immaginazione, allora é necessario vedere che qualunque cosa succede nel cosiddetto collettivo, succede allo stesso tempo qui ora. “Se tagli un filo d’erba lo sente l’universo intero”.

In un primo tempo, possono essere utili alcuni strumenti per verificare e accettare le due facce della “medaglia cosmica”, le discipline come l’astrologia, la numerologia, alcune medicine alternative, o terapie serie come l’omeopatia unicista, cioè quelle che propongono di “riunire”, piuttosto che frantumare la realtà cosciente. Si rivelano utili per smantellare l’apparente separazione.

Il passato è memoria “attuale”, il futuro aspettativa attuale, basata sulla memoria, quindi è anch’esso… passato e andando più in fondo, tutto é già successo interamente o… non é mai successo nulla! Gli archetipi, dunque, servono solo come passaggio al fattore non-duale che essi manifestano e potranno poi essere dimenticati, se l’investigazione procede oltre, come si é visto.

Avendo scoperto che la psicologia, anche del profondo, non ha più un valore essenziale, torniamo ora alle proiezioni; non parlo di giudizi positivi o negativi, ma di quello che mi tocca, della mia profonda percezione di un fatto. Se, ad esempio, parlo ad una madre apprensiva e la porto a sperimentare il vero sentire a proposito di un eventuale pericolo per il figlio, arriverà ad ammettere e a provare, anche fisicamente, la paura sì, di perdere il figlio, ma poi, andando oltre, vedrà che la vera paura é rivolta alla propria paura di morire! Ci sono poi tutte le sottili varianti da sperimentare, accettare e poi far sparire nel vuoto da cui sono venute. Unica arma necessaria, la saggezza discriminante che si acquista quando nell’accogliere un’emozione si entra in essa, senza nominarla o immaginarla: questa si scioglie nel profondo sentire e diventa tutt’uno con ciò che é! È dunque una variante del famoso ”Chi sono io?” “Chi prova questo?” consigliato da Ramana Maharshi o altri saggi. In modo che, tra soggetto e oggetto, non possa più sussistere alcuna differenza o divario. Vi é un azzeramento dei concetti e quindi della separazione fittizia. Fino a scoprire, come un’evidenza, che tutto quanto ci circonda è solo un’unica proiezione di questo o quell’apparato psicosomatico condizionato che si riflette ovunque.

Quando qualcuno invoca l’educazione dei genitori, dei maestri di scuola o l’influsso della società o dei tempi che cosa sottintende? Di nuovo il proprio programma di nascita, il proprio USB o DNA, che, riflettendosi nello specchio della coscienza, crea un apparente “altro” il quale, ad esempio, ci reprime e limita o al contrario si mantiene distaccato e lontano, indifferente a noi. Ma a chi succede tutto questo? A colui che lo percepisce e interpreta. Alle nostre “idee” di noi stessi. Gli “altri” sono solo grilletti o detonatori di quanto é già nel programma! A che serve dire in una bella giornata o dopo una profonda meditazıone: ”Tutto é me stesso” e, qualche minuto dopo, non smettere di ruminare rancori o rammaricarsi per un evento indesiderato? Per questo – pur invocando la necessità di vedere con costanza che nessuno é mai esistito – credo sia necessario investigare nel nostro pacco mentale, non con l’intenzione di migliorare o cambiare, ma per accogliere incondizionatamente e con pazienza i punti dolorosi che affiorano come bolle dallo stagno della mente. Solo così possiamo volatilizzare i concetti incollati all’idea principale “Io sono”. Sapere non é Essere. Sapere indica dividere il soggetto dall’oggetto. Indica memoria e… paura. Abbiamo solo paura di quello che conosciamo, non dell’ignoto, come sembra. Temiamo solo di perdere quel che conosciamo. Ecco perché temiamo la morte ed il futuro. Gli alchimisti del rinascimento ben sapevano queste cose. Il loro atteggiamento era appunto quello di accettare la “nigredo”, le feci, le parti considerate ignobili ed oscure, per trasformarle in oro. Era un processo doloroso, uno sprofondare nella parte sconosciuta e abbandonare gli inutili orpelli dell’identità fasulla. Questo per ritrovare ”L’Unio mystica” che equivale alla Realizzazione degli orientali.

Esaminiamo ora gli stati che si alternano incessanti nel nostro quotidiano vivere. Sogno, sonno profondo e veglia.

Nel sonno profondo non c’é memoria, negli altri due stati la memoria crea la sensazione di tempo e continuità, nel sonno profondo siamo immersi in noi stessi. In questo stato il tempo (passato presente e futuro) non sono necessari, non esistono, ma si riaccendono appena durante il sogno e totalmente al momento del risveglio, creando la sensazione del prima e del dopo e di un continuum. Quando si parla del vivere qui ed ora del saggio é semplicemente un rendersi conto, anche nella veglia, che il tempo é memoria e, automaticamente, si vive nell’assenza di tempo pur svolgendo le normali attività. È quel che si dice del realizzato che “dorme profondamente, pur muovendosi naturalmente nel quotidiano”. Non é più handicappato dalle trappole del passato né dall’ansia del futuro – pur facendo progetti e ricordandosi di quando andava all’asilo. Lì ogni conflitto si dissolve, si torna come bambini che vivono spontaneamente ogni emozione. Ma é sempre qui ed ora comunque. Non ci siamo mai mossi di una virgola, non é cambiato niente e non é mai successo nulla. Il caleidoscopio si é solo divertito un po’!!

Isabella di Soragna

Fonte del Post: http://www.isabelladisoragna.eu/site/articolo.php?news=53&lang=italiano&menu=12#top

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