L’attaccamento: Upadana. Parte 2 di 2.

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L’ attaccamento: Upadana. Seconda parte.

Danza, Buddha, Signore, Thailandia, Donna, Bambino

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1.5 I cinque aggregati [soggetti ad] attaccamento.

La valenza di upadana in relazione ai cinque aggregati è rispecchiata dalla classica definizione della prima nobile verità, secondo la quale la verità di dukkha si riassume nei cinque aggregati [soggetti ad] attaccamento. Tanto è vero che in un testo si tralasciano le consuete specifiche di dukkha (nascita, vecchiaia, morte, eccetera). Invece di elencare questi fenomeni, nel discorso si afferma semplicemente che i cinque aggregati [soggetti ad attaccamento] sono la prima nobile verità.

Il ruolo determinante dell’attaccamento si riflette anche in alcune versioni abbreviate della formulazione dell’origine dipendente che iniziano direttamente con upadana, tralasciando i primi otto anelli, e proseguono la sequenza con gli altri anelli della catena.

Il Culavedalla-sutta chiarisce che l’attaccamento non coincide con i cinque aggregati [soggetti ad] attaccamento, né è una cosa a sé stante. L’attaccamento, invece, consiste nell’investirli di desiderio e passione. Un altro discorso presenta i cinque aggregati come ‘qualcosa che può essere afferrato’, precisando inoltre che in questo contesto il termine ‘attaccamento’ sta per desiderio e passione. Se ne può concludere che l’espressione pañc’ upadanakkhandha si riferisce ai cinque aggregati in quanto oggetto di attaccamento. Infatti, un aggregato come il corpo non sarebbe, di per sé, capace di afferrare o attaccarsi: di qui la mia scelta di rendere l’espressione pañc’ upadanakkhandha con ‘i cinque aggregati [soggetti ad] attaccamento’.

Senza l’attaccamento, restano solo i cinque aggregati puri. Il Khandha-sutta [SN 22.48] del Samyutta-nikaya spiega che ‘i cinque aggregati’ e ‘i cinque aggregati [soggetti ad] attaccamento’ abbracciano la stessa dimensione, cioè ogni tipo di forma corporea, di sensazione, di percezione, di volizione e di coscienza. La differenza sta solo nell’assenza o nella presenza di attaccamento.

Si potrebbe concludere che i cinque aggregati di un arahant, in cui si è spento ogni attaccamento o impulso ad aggrapparsi, siano aggregati puri, poiché l’individuo non se ne appropria più.

Una obiezione a questa interpretazione si potrebbe ravvisare in un discorso del Samyutta-nikaya, secondo cui tanto la persona comune che le quattro classi di individui nobili devono intraprendere una forma di contemplazione che esamini i cinque aggregati [soggetti ad] attaccamento da diversi punti di vista, come l’impermanenza, e via dicendo. L’istruzione che viene data in tutti i casi, compreso quello dell’arahant, esorta a contemplare i cinque aggregati [soggetti ad] attaccamento. Ciò farebbe pensare che anche quelli di un arahant siano i cinque aggregati [soggetti ad] attaccamento, e non gli aggregati puri (Bodhi 1976:94).

Tuttavia, l’istruzione parla di “questi” cinque aggregati [soggetti ad] attaccamento, senza un diretto riferimento grammaticale alle diverse classi di individui nobili. Di conseguenza, sarebbe forse più facile interpretare il passo in riferimento ai cinque aggregati [soggetti ad] attaccamento del monaco a cui il discorso si rivolge in risposta alla sua richiesta di consiglio sulla pratica. Ossia, nulla ci obbliga a interpretarlo come se contraddicesse l’idea che un arahant ha solo i cinque aggregati puri, in quanto ha eliminato l’attaccamento o la tendenza ad aggrapparsi a essi.

1.6 L’ attaccamento e il nibbana.

Un altro passo pertinente al tema dell’attaccamento e della condizione dell’arahant si trova nell’Itivuttaka, che distingue fra “elemento del nibbana con residuo”, sa-upadisesa nibbana-dhatu, e “elemento del nibbana senza residuo” (Iti 38). L’‘elemento del nibbana con residuo’ allude all’arahant ancora vivente; l’‘elemento del nibbana senza residuo’, invece, alla sua dipartita. Ciò si deduce dai versi che accompagnano il discorso, in cui la seconda espressione si riferisce al futuro, quando ogni forma di esistenza sarà cessata.

Per capire le implicazioni della distinzione operata in questo discorso occorre tener presente che il termine upadana può anche significare ‘base’, ‘sostrato’, oppure ‘alimento’,‘combustibile’. Questo secondo significato viene evidenziato da una similitudine con il fuoco presente in un discorso del Samyutta-nikaya, secondo la quale il fuoco brucia finché dispone di combustibile, sa-upadana, non già in assenza di combustibile, anupadana. Il paragone è calzante, in quanto è proprio ‘aggrappandosi’ al suo upadana, al suo combustibile, che il fuoco continua a bruciare.

Un significato analogo dell’espressione sa-upadisesa si evince dalla similitudine del medico che cura la ferita inferta da una freccia avvelenata. Qui sa-upadisesa allude al ‘residuo’ di veleno rimasto nella ferita.

Nel caso del brano citato dell’Itivuttaka, l’espressione sa-upadisesa nibbana-dhatu, “elemento del nibbana con residuo”, suggerisce che il residuo dei cinque aggregati esiste ancora. Per quanto prodotto da un precedente attaccamento, questo residuo continua a esistere anche dopo l’estinzione dell’attaccamento. Questa particolare accezione è quindi diversa da quella dell’aggettivo sa-upadisesa applicato a qualcuno che ha raggiunto il non-ritorno, dove allude effettivamente alla presenza di attaccamento residuo.

1.7 La libertà dall’ attaccamento.

Un’importante metodo per coltivare la libertà dall’attaccamento ha come oggetto i cinque aggregati [soggetti ad] attaccamento. Questa forma di contemplazione verte in particolare sul loro carattere impermanente, cioè sul sorgere e svanire. L’esercizio induce a un graduale abbandono della tendenza innata ad afferrarli.

La contemplazione del sorgere e svanire dei cinque aggregati è esaltata nei discorsi come una forma di meditazione che conduce al risveglio (Gethin 1992:56). Può essere per questo che gli insegnamenti su questa pratica vengono definiti ‘il ruggito leonino’ del Buddha. Questa stessa contemplazione è poi annoverata fra le pratiche di presenza mentale del Satipatthana-sutta [DN 22].

Secondo l’Aggivacchagotta-sutta [MN 72], l’indifferenza alle opinioni (ditthi) manifestata dal Buddha è una diretta conseguenza dell’aver visto (dittham) il sorgere e svanire dei cinque aggregati [soggetti ad] attaccamento. Anche il Buddha precedente, Vipassi, aveva raggiunto il risveglio contemplando il sorgere e svanire dei cinque aggregati [soggetti ad] attaccamento.

Il potenziale di questa pratica si deve al suo minare direttamente l’attaccamento al senso dell’io. Allorché l’impressione di un ‘io’ che si cela dietro ai cinque aggregati [soggetti ad] attaccamento è stata pienamente compresa e abbandonata, gli aggregati restano, per così dire, con le radici tagliate. La radice altro non è che il desiderio rivolto a essi.

Viceversa, cercare l’appagamento in qualcosa che si può afferrare o che può essere oggetto di attaccamento stimola la crescita della brama. È una conseguenza puramente naturale, come per il fuoco che continua a bruciare se si aggiunge altro combustibile, o l’albero che cresce se viene nutrito tramite le radici. In breve, chi si attacca viene auto- maticamente intrappolato da Mara.

Aggrapparsi a un mondo che è solo un prodotto dei sensi espone all’afflizione. L’attaccamento è una condizione del divenire, e quindi della perpetuazione di dukkha. Solo chi ha capito che l’attaccamento è temibile si emancipa in virtù della non-dipendenza, godendo della libertà interiore che deriva dalla completa estinzione dell’attaccamento. Per porre fine a ogni dipendenza bisogna lasciar andare anche le esperienze sublimi come lo stato di né-percezione-né-non-percezione, che si può considerare il più elevato oggetto di attaccamento.

Perciò, quando si pratica la presenza mentale si dovrebbe dimorare liberi da ogni dipendenza, senza aggrapparsi a nulla. Soprattutto in punto di morte è essenziale non attaccarsi a nessun aspetto dell’esperienza: alle sei porte sensoriali e ai rispettivi oggetti, a uno qualunque degli elementi, a uno stato meditativo, a questo o a un altro mondo. La libertà dall’attaccamento è la libertà dall’agitazione, e ha la liberazione come frutto. Chi ha conseguito la liberazione finale ha compreso perfettamente la natura dell’attaccamento. In realtà, la completa assenza dell’attaccamento e dell’impulso ad afferrare è, di per sé, l’obiettivo finale:

[Possedere] nulla, aggrapparsi [a nulla] … lo definisco nibbana.

Brani tratti da: “Dall’attaccamento al vuoto”, escursioni nel pensiero del buddhismo antico di Bhikkhu Analayo. Traduzione di Letizia Baglioni e Giuliana Martini. A cura di Giuliana Martini.

Fonte del Post: http://www.canonepali.net/dhamma/attaccamento.htm

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