Le pratiche esperienziali.

Terra x Blog + Nero 2015

Efficacia delle pratiche esperienziali.

CHI SONO

Le più potenti pratiche esperienziali, per quanto efficaci, non possono essere la panacea dei problemi umani. Qualunque metodo funziona soltanto se applicato correttamente. In questo brano cerco chiarire il motivo che determina la liberazione o l’autoinganno.

Le tecniche di respirazione sono il metodo naturale più efficace per la soluzione dell’ansia e di molti disturbi. Sciogliere i blocchi della corazza psicosomatica e ottenere una respirazione libera e naturale è d’importanza cruciale per la salute olistica. Non mi soffermo sugli aspetti propriamente terapeutici, che ho già trattato in molti scritti e sui quali c’è già un’ampia letteratura. Oltre alla risoluzione dei disturbi psicofisici queste tecniche possono aprire alla conoscenza di Sé ed è questo l’aspetto più importante per l’autorealizzazione. Nell’uomo, infatti, è innato un anelito alla libertà interiore e alla conoscenza.

L’uomo, una volta che ha soddisfatto i bisogni primari, ha più che mai necessità di dare senso all’esistenza. Di fronte al problema della morte e del non essere che lo attende, ha bisogno di trovare ciò che in lui non è nato né muore, per affrontare con coraggio il vivere ed esprimere in spontaneità il suo potenziale. Per entrare in sintonia con la vita e con la morte e coglierne il senso è necessaria una profonda ricerca interiore. Poiché è la conoscenza della natura universale del Sé che libera dalla sofferenza e recide alla base le radici della paura.

L’ego insegue esperienze piacevoli, che non possono durare, mentre il Sé testimonia la natura profonda dell’Essere. Per questo non c’è tecnica, anche tra le più efficaci, con cui si possa risolvere il mal di vivere, se il praticante non ha compreso con quale prospettiva impostare la ricerca. Qualunque metodo funziona solo se è applicato nel modo giusto e, per far buon uso delle tecniche esperienziali, bisogna avere la giusta prospettiva e soprattutto evitare l’autosuggestione e gli inganni dell’ego, che confondono anche i ricercatori avanzati.

Tecniche di respirazione intensa, come il Rebirthing Transpersonale o la Respirazione Olotropica di Stanislav Grof, praticate con l’atteggiamento opportuno, sono straordinariamente efficaci per esplorare se stessi, per catarsi liberatorie, per l’autoguarigione e il risveglio, tanto che, spesso, poche sedute sono sufficienti per realizzare una stabile chiarezza e serenità interiore. Tuttavia, se non si è stati istruiti correttamente e si dirige l’esperienza secondo delle aspettative preconcette, la stessa pratica diventa una via di fuga e un autoinganno, anziché un’espansione della consapevolezza. Il medesimo metodo che può rapidamente condurre al risveglio, se è mal applicato, può amplificare l’egotismo. Questo vale anche per la meditazione e le pratiche psicospirituali in genere.

Come dice Elemire Zolla: “Ciò che s’impara dipende dal perché si vuole imparare” e, naturalmente, c’è un’enorme differenza tra il cercare esperienze gratificanti e il cercare “colui che sta cercando”.

E’ necessaria totale sincerità con se stessi, il coraggio di stare con le sensazioni e accogliere l’ombra e l’ignoto. La conoscenza del Sé è elusiva, poiché è oltre la mente e riguarda uno Stato dell’Essere e non un pensiero. Il Sé (o consapevolezza impersonale) è un abisso che contiene l’universo, fa paura perché è la morte dell’ego. Il mondo è dentro di noi, ma noi immaginiamo di essere in lui. Il risveglio è un ribaltamento di questa prospettiva, in cui sperimentiamo l’identificazione con il Tutto.

Conosci te stesso e conoscerai l’Universo e gli Dei.

I saggi insegnano che il corpo-mente, con cui l’uomo s’identifica, è solo un oggetto che appare e scompare nel Sé, che è consapevolezza senza confini ed è il nostro vero essere profondo. Ciò che è mutevole e temporaneo non è reale; la consapevolezza è oltre il tempo e lo spazio, è la realtà che non muta, il substrato di ogni realtà. La tecnica di respirazione in sé è semplicissima e intuitiva, tuttavia l’intuizione rivelatrice del risveglio non può essere di facile portata, senza la giusta predisposizione. Come ho detto, sono necessarie indicazioni corrette e l’atteggiamento opportuno. Per trarne benefici profondi è basilare dirigere l’attenzione oltre il piano mentale, al sentire immediato senza alternative, perché è da questa prospettiva transegoica della consapevolezza che il respiro può condurre alle dimensioni più profonde della coscienza, dove si risolve definitivamente il problema dell’ansia e del timore.

L’ansia è un disturbo talmente diffuso che, per le persone “normali”, la serenità e la chiarezza mentale sono una condizione rara e passeggera. Siamo in un’epoca in cui l’alienazione è una patologia endemica. Per spiegare questa condizione di separazione dal proprio sé dell’uomo contemporaneo, trovo appropriata la nota metafora della carrozza con cavalli, auriga e il padrone all’interno, a indicare i piani fisico (la struttura della carrozza), vitale (i cavalli), mentale (il nocchiere) e spirituale (il padrone all’interno).

Se la mente (il nocchiere) non è in contatto con il signore che siede all’interno della carrozza (il Sé transpersonale), i cavalli (l’energia vitale) non vanno dove dovrebbero. Se la mente è confusa – cioè il nocchiere, vittima di illusioni e conflitti interiori – è probabile che ci siano incidenti di percorso e che il corpo subisca dei danni. Quando si è perduto contatto con il Sé, il viaggio è insicuro, non ha direzione e scopo e una vita priva di senso è deprimente.

Il “Sé”, ovviamente, non è un individuo superiore latente in noi; è piuttosto l’intelligenza intrinseca della natura, che governa la danza degli atomi e delle molecole. E’ il mistero della consapevolezza: il testimone della sensazione di Essere. Qualcosa che il pensiero non può afferrare, perché è a monte del pensiero stesso.

La metafora della carrozza è molto antica, Platone, nel Fedro, descrive una carrozza tirata da due cavalli, uno bianco e uno nero, che rappresentano forze opposte. Se l’auriga è in contatto con l’Iperuranio (mondo delle idee, al di là del cielo) il cavallo bianco lo conduce verso l’alto. Se l’auriga non è in grado di contemplare il mondo superiore, il cavallo nero prevarrà su quello bianco e lo trascinerà fuori strada verso il basso.

Nella Bhagavad Gita, Krishna (il Sé) guida il carro su cui combatte il trepidante Arjuna (l’io) e lo sprona ad affrontare con coraggio la battaglia, agendo secondo quanto il momento richiede. Non entro qui nel magnifico e illuminante capolavoro della Filosofia indiana, che è un tema troppo vasto e profondo per essere trattato in poche righe, ma voglio ricordare che i maestri insegnano che Yoga è Coraggio e il termine coraggio deriva da cuore, cioè suggerisce l’azione ispirata dal cuore e non dalla mente. Il Sé, dicono i saggi, risiede nel cuore.

Il coraggio di vedere le cose come sono.

Le forme popolari delle religioni rinforzano l’idea che la guida sia fuori di noi, ma è in noi che dobbiamo trovare la guida, poiché l’aderire a una fede e dipendere da autorità esterne inibisce la ricerca della verità. D’altra parte, il razionalismo e la prospettiva egocentrica condivisa evitano con cura di avvicinarsi all’ignoto e a tutto ciò che non può spiegare e ridurre in parole e pensieri. Di certo l’autoindagine è scoraggiata in una società materialista, dominata da interessi economici disumanizzanti, prigioniera di una visione ristretta, impegnata in uno sviluppo tecnologico che non ha riguardo per la natura e i valori umani.

L’uomo che ha perduto il contatto con se stesso cerca nel pensiero una guida, si aggrappa a mappe obsolete o si conforma alla massa e segue altri, che sono sperduti come lui. Non sapendo ascoltare il Sé profondo, egli cerca nella mente una soluzione al senso di smarrimento che la mente stessa ha creato. Solo quando egli riconosce la sua impotenza e sa di non sapere e quindi si arrende alla realtà, può iniziare a sentire l’ispirazione e l’intuizione, che sono la sola guida sicura.

Solo se la mente è serena può arrendersi al Sé impersonale, che è vita-morte, essere e non-essere, nella spontaneità dell’attimo, mentre l’intelletto svolge le funzioni che gli competono, senza interferire. La presenza senza alternative di fronte alla realtà di una mente libera da condizionamenti è la fine del divenire e dell’ansia. Ma non è una condizione comune, perché le parole tutti possono ripeterle, mentre vedere con chiarezza la realtà e realizzare nel vissuto ciò che si è compreso è cosa totalmente diversa, come sentire il silenzio dietro a ogni suono…

La guida interiore non si trova nel campo del pensiero.

Riconoscere il nostro vero Essere, ritrovare spontaneità e pienezza non è affare che il pensiero possa risolvere; è necessario aver avuto accesso a uno stato di coscienza non ordinario per superare l’identificazione con la mente. La respirazione intensa è un metodo rapido e privo di controindicazioni per entrare in contatto con queste dimensioni esperienziali che la mente e il pensiero non possono raggiungere. Yoga è la fine delle fluttuazioni della mente. Solo quando il lago è perfettamente calmo la sua superficie riflette senza deformazioni.

Ma abbiamo visto che la mente non può calmare la mente, anzi, quando cerca di calmarla si agita anche di più, perché si dissocia da se stessa. Attraverso il respiro possiamo andare oltre la mente e trovare la sorgente dell’“Io Sono” e immergerci nel Sé, l’invisibile, impensabile, privo di attributi che permea e dirige ogni cosa. Una volta che, attraverso la respirazione, si è in contatto con il Sé e si riconosce la natura dell’ego, si è in armonia con la Vita e liberi dall’ansia e dalla paura. Direi meglio: non si ha paura della paura e non si è ansiosi di fronte all’ansia, perché non si tratta di liberazione nell’indifferenza, ma di vivere con pienezza e partecipare alle gioie e ai dolori come a una rappresentazione, integrando gli opposti nell’Unità e arrendendoci al potere del Sé che ci agisce.

Così la vita sarà sempre una continua esperienza di crescita interiore e non più un problema da risolvere.

Filippo Falzoni Gallerani

Dice Sri Nisargadatta Maharaj: “Ciò che può essere descritto dall’intelletto fa parte del conosciuto, che non può aver nulla a che fare con la Realtà”.

Fonte del Post: http://www.filippofalzoni.com/2016/04/09/riflessioni-sullefficacia-delle-pratiche-esperienziali/

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