L’umiltà, quella vera.

L’umiltà, quella vera, è la capacità di chinarsi per saper ricevere. Psicologia e umiltà.

Umiltà Ricevere

Psicologia dell’umiltà. Questa sconosciuta…

Jung scriveva questo:

“Quando mi si dice che sono un sapiente, o un saggio, mi rifiuto di crederlo. Un uomo una volta immerse un cappello in un fiume e lo ritrasse colmo d’acqua. Che vuole dire? Non sono quel fiume. Sono in riva al fiume, ma non faccio nulla. Altri si trovano sulla riva dello stesso fiume, ma molti di loro pensano di doverlo fare essi stessi. Io non faccio nulla. Non penso mai di essere colui che si debba preoccupare che le ciliege abbiano gambi. Sto lì a guardare e ammiro ciò che la natura sa fare. C’è una bella antica leggenda di un rabbino. Uno studente andò da lui e disse: “Nei tempi passati vi furono uomini che videro Dio in faccia. Perchè questo non succede più?” il rabbino rispose: “Perchè oggi nessuno sa chinarsi tanto”. Bisogna chinarsi un poco, per attingere l’acqua dal fiume.” Carl Gustav Jung: “Ricordi, Sogni, Riflessioni”

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Da questo chinarsi per attingere – senza stare troppo a dilungarsi – si capisce come il senso d’umiltà sia collegato ad una ‘ricchezza’ (attingere l’acqua dal fiume) e come essa porti inevitabilmente a questa ricchezza in termini di ricchezza interiore, ad una capacità di accoglienza unica, che altrimenti resterebbe preclusa. Ma per attingere, ci ricorda Jung, bisogna chinarsi. Sappiamo ancora chinarci? Sappiamo ancora ricevere?

Vediamo insieme alcuni aspetti dell’umiltà! Buona lettura!

L’umiltà è una funzione dell’anima umana!

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Umiltà: poter convivere con l’incertezza

«Dobbiamo prefiggerci come scopo, non di raggiungere la sicurezza, ma di riuscire a sopportare la mancanza di sicurezza.» Erich Fromm

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«Quando siete in grado di vivere nell’incertezza, potete perfino gioirne. Quando vi sentite a vostro agio nell’incertezza, si aprono infinite possibilità nella vostra vita. Significa che la paura non è più un fattore predominante in ciò che fate e non vi impedisce più di intraprendere delle azioni per iniziare il cambiamento. Tacito osserva giustamente che “il desiderio della sicurezza è contro ogni impresa grande e nobile”. Se l’incertezza è per voi inaccettabile, allora si trasforma in paura. Se è perfettamente accettabile si trasforma in vitalità crescente, vigilanza e creatività.» Eckhart Tolle: “Un nuovo Mondo”

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La maggior parte degli individui, oggi, odia restare nell’incertezza, nel dubbio, nel non sapere, nel lasciarsi nell’indeterminato. E’ questa una caratteristica dell’umiltà. Perchè? Perchè poter convivere con l’incertezza è un grande esercizio di umiltà, significa riuscire ad essere così umili da poter azzittire il proprio ego dal dare sempre e incessantemente dei giudizi di valore su questo o quello.

Scriveva Jung, verso la fine della sua vita nella sua meravigliosa autobiografia Ricordi, Sogni, Riflessioni:

“Sono stupito, deluso, compiaciuto di me; sono afflitto, depresso, entusiasta. Sono tutte queste cose insieme, e non so tirare le somme. Sono incapace di stabilire un valore o un non-valore definitivo; non ho un giudizio da dare su me stesso e la mia vita. Non vi è nulla di cui mi senta veramente sicuro. Non ho convinzioni definitive, proprio di nulla. So solo che sono venuto al mondo e che esisto, e mi sembra di esservi stato trasportato. Esisto sul fondamento di qualche cosa che non conosco. Ma, nonostante tutte le incertezze, sento una solidità alla base dell’esistenza e una continuità nel mio modo di essere.”

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La falsa umiltà: una difesa nevrotica.

L’umiltà non significa dover restare in una curva di media standard, nel non esporsi quando si deve o nel non gratificare le proprie abilità, i propri talenti, nel nasconderli per paura di non essere umili, nel non dare valore alle proprie potenzialità anche in contesti lavorativi o accademici. No, questo atteggiamento no ha nulla a che vedere con l’umiltà.

Questo è un modello malato di umiltà, promulgato complessualmente da alcuni tipi di persone che usano spesso questo atteggiamento come un vero e proprio meccanismo di difesa contro possibili frustrazioni. Tali persone amano quella curva di media standard, per paura che qualcun altro dall’esterno rimandi loro le qualità uniche che non hanno sviluppato in se stessi, come a pensare: “Meglio che rimaniamo tutti nella media, almeno tra noi, così non ci resto male se qualcuno dovesse invece emergere naturalmente e apparire migliore di me”.

E’ una paura terrifica, sottesa alla maggior parte degli individui che usano tali meccanismi di difesa. Perciò, in genere, quando sento qualcuno pretendere o paventare umiltà me ne distanzio o scappo via a gambe levate! Questo senso di umiltà deviato che, oggi, spesso sembra essere predominante in una certa cultura, nasconde in realtà una delle peggiori dinamiche psichiche in ombra nell’individuo, una dinamica associabile quasi ad una difesa nevrotica, ma che non porta a nulla, porta anzi ad un restringimento della coscienza, ad un sottosviluppo delle doti del singolo, per non parlare degli effetti ostili sui propri simili attorno.

L’umiltà, quella nel suo unico senso originario, è quella che possiamo trovare nei grandi della storia come Gesù, Lao-Tzu, il Buddha, Jung, Yogananda. Chi di tutti questi personaggi appena citati è rimasto nella media? A chi di questi mancava l’umiltà?

Arriviamo dunque ad un’altra conclusione, ovvero che l’umiltà non ha nulla a che fare con la non espressione della propria unicità in maniera spontanea e naturale, con tutte le capacità annesse che ne derivano.

Umiltà è saper ricevere.

Altro atteggiamento che rimanda ad uno scarso senso di umiltà è quello che frequentemente vediamo nel mondo odierno e che risiede nell’incapacità di ‘saper ricevere’ dall’altro, che in altre parole equivale, in un certo senso, all’incapacità di saper ricevere dalle dimensioni profonde della propria interiorità, giacchè l’Altro siamo anche noi.

Ma come abbiamo già ribadito, per attingere bisogna chinarsi. Non c’è altro modo che chinarsi per raccogliere qualcosa. In questo chinarsi si gioca, forse, la cifra più alta dell’umiltà. Saper riconoscere che in questo chinarsi può arrivarmi qualcosa che mi manca, da qualcuno che è diverso da me e che può forse insegnarmi qualcosa.

In termini analitici è come se non si riuscisse più ad introiettare l’altro, a saperlo ricevere. Si può trasporre questa dinamica nell’ottica del meccanismo noto come ‘introiezione’, che, ricordiamo, oltre ad essere un meccanismo di difesa che, se inflazionato, induce a risvolti sgradevoli per lo sviluppo dell’individuo (come qualsiasi altro meccanismo che ‘regola’ la psiche umana) è anche un ottimo meccanismo di sviluppo e di crescita che rientra in un quadro più ampio della relazione con l’altro e con se stessi. E’ un meccanismo imprescindibile dal concetto di empatia. L’introiezione ci permette di accogliere dentro di noi ‘oggetti’, aspetti, pensieri, sentimenti, doti e qualità dell’altro, che siano vere o presunte. Comprendere questo è già un enorme passo.

L’umiltà è potersi girare indietro…

«Se sono riuscito a vedere più lontano è solo perché stavo sulle spalle di giganti.» Sir Isaac Newton

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Anche il girarsi indietro verso i grandi del passato è un atto d’umiltà, che spesso manca negli ambienti accademici di Psicologia, dove sempre più si prosegue in “ricerche e studi vuoti, senza inconscio” – come osserva acutamente l’amico terapeuta Michele Mezzanotte.

L’atto d’umiltà per eccellenza è quello di accettare la propria Ombra e diminuirne sempre di più le proiezioni che di essa facciamo sul prossimo.

Come ricordano Jung e la sua amica/collaboratrice Barbara Hannah: “Quanti sono capaci di riuscire a fare questo? Quanti sono capaci di poter unificare gli opposti dentro di sè? Si potrebbe dire che, addirittura, da questo dipende il destino dell’umanità.”

Per percorrere queste vie verso l’integrazione degli opposti occorre, senza ombra di dubbio, una massiccia dose di umiltà e di saper chinarsi per attingere l’acqua dal fiume, che in questo caso si traduce col sapere attingere sia dall’Altro da me, che dall’Altro che mi abita, lo straniero interiore che ci conosce: l’alterità.

Lo studio di Jung e l’umiltà.

”[Nella mia torre di Bollingen] ho rinunciato alla corrente elettrica, io stesso accendo il focolare e la stufa e di sera accendo le vecchie lampade, non vi è acqua corrente e così pompo l’acqua da un pozzo… questi atti semplici rendono l’uomo semplice, e quanto è difficile essere semplici […]” Carl Gustav Jung: “Ricordi, Sogni, Riflessioni”

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Spesso associo l’umiltà alla capacità di conoscere e studiare alcuni rami del sapere, tra questi, in primis, la Psicologia e, più nel dettaglio, mi viene in mente l’umiltà associata a Carl Gustav Jung. Apro questa breve parentesi spiegando meglio ciò che voglio dire e, per aiutarmi in ciò, prendo le parole di Augusto Romano quando scrive:

“Come sanno molti suoi esegeti, è possibile braccare Jung ma assai difficile afferrarlo.”

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Romano, qui, rappresenta magistralmente uno tra i tanti motivi per cui si ha una sottesa paura e ansia nell’avvicinarsi a Jung, o peggio, nel continuare a rifuggirne in quei casi di addetti ai lavori che dovrebbero studiarlo e integrarlo nella loro pratica. Voglio solo ricordare, come sempre ricordo, che l’opera di Jung, con gli attuali contributi contemporanei e sviluppi, rappresenta non un orientamento che si può scegliere o non scegliere di considerare nella formazione di uno psicologo, rappresenta invece – in accordo con gli attuali storici della psicologia [cfr. Shamdasani 2007] – la base della psicologia moderna e della psicoterapia, nonché della clinica.

Si ma cosa c’entra Jung con l’umiltà e con questo articolo? Spesso ciò che non si riesce a controllare, anche intellettualmente, fa paura, e dunque si rifugge da esso.

L’opus Junghiano è enorme a livello quantitativo, tralasciando l’aspetto qualitativo indubbio; per cui, quando ci si accosta ad esso con la classica presunzione dello studioso medio accademico, si rischia di andare a sbattere fortemente con la faccia contro martelli invisibili, che spuntano dalle righe dei suoi libri ogni qualvolta ci si presta a formulare sentenze e giudizi frettolosi al riguardo. L’umiltà, in tale contesto, dovrebbe essere quella capacità di farci permanere nell’incertezza, nel non-giudizio avventato. E’ questa una qualità che manca molto negli ambienti accademici.

Jung spesso, con una certa nota di fastidio, accennava al fatto che spesso molti accademici criticavano le sue scoperte – ampiamente validate oggi – senza neanche prendersi la briga di andare a leggere i suoi saggi scientifici: criticavano e giudicavano senza avere l’umiltà di chinarsi su quei libri e studiarli.

Emanuele Casale

Fonte del Post: http://www.jungitalia.it/2013/07/13/sullumilta-quella-vera-di-emanuele-g-casale/

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