Marco Ferrini: L’uomo ostrica. Parte 1.

Marco Ferrini (Matsyavatara Dasa): L’uomo ostrica. Parte 1.

L’uomo ostrica è un essere umano inibito, bloccato. Anche se, magari, bolle dentro, trasuda, ha tic e ogni sorta di ansietà, non si muove, perché si è creato un guscio troppo duro, che inizialmente poteva funzionare come difesa – dinamica intrinseca alla sopravvivenza – ma poi ha finito per immobilizzarlo.

Dove si sviluppa sull’epidermide una parte callosa? In una zona particolarmente sottoposta a sollecitazione. Bene, esistono anche i calli mentali; un callo mentale permette di difendere parti caratteriali emotive fragili, più esposte a sollecitazione, o a violenza. Dal momento che questo è un processo naturale, che sul piano emotivo si manifesta in particolare fra gli umani, va compreso come un meccanismo della Natura grazie alla quale si protegge la sopravvivenza della specie. Tuttavia, se questa callosità viene esageratamente alimentata, diventa un problema, perché ottunde la sensibilità.

Da qui l’incapacità di comunicare emotivamente con gli altri, che, all’estremo, genera la personalità “ostrica”, chiusa in sé stessa perché inibita, non più capace di stabilire un’azione creativa, progettuale, nell’ambiente in cui vive.

Rompere il guscio è qualcosa da fare con cautela, pena uno shock, una paralisi ancora più grande. Oggi va di moda il self-made man, ma dietro alla maschera di uomo forte, che si è fatto da solo, si nascondono aree di tremenda debolezza, di dolore, di solitudine e di senso di fallimento personale. L’uomo ostrica è un uomo fallito. Le ostriche, comunque, si possono anche aprire e trasformare in qualcos’altro.

La vita è uno strumento meraviglioso; noi possiamo creare la nostra realtà interiore e la realtà dell’ambiente in cui viviamo. Un evento, di per sé, ha la sua oggettività; non possiamo negare l’evento, altrimenti sarebbe un’altra forma di alienazione. Dobbiamo piuttosto governarlo. Ma l’uomo ostrica non lo governa, si chiude di fronte ad esso; non interagisce e, dopo un po’, pensa che tutto, all’esterno di lui, sia ostile. Ecco che cosa genera la solitudine. Poiché l’atteggiamento che un individuo ha verso gli altri produce lo stesso atteggiamento degli altri verso di lui: chi vede ostilità riceve ostilità, chi vede amicizia riceve amicizia, chi vede apertura e benevolenza riceve altrettanto.

Il primo 50% di un’impresa viene deciso dall’atteggiamento che si ha nel momento in cui ci si pone di fronte ad una scelta. Una persona eccessivamente critica, che anche quando dice la cosa giusta la dice male, perché negative sono le sue motivazioni (collera, invidia, bassezze di carattere), inquina gli altri e l’ambiente, ma ancor di più sé stessa. Questo genere di attitudine isola, rende possibile quel fenomeno tutt’altro che piacevole e positivo per lo sviluppo dell’essere umano noto come solitudine. Anche una risposta eccessivamente negativa può produrre inibizione nel nostro interlocutore; se reagiamo in maniera eccessiva ad un’offesa, ad un’ostilità, ad un’antipatia, ad un’apparente o reale minaccia, ciò crea inibizione.

Non sono le azioni degli altri a ferire, a procurare ferite emotive, ad offendere, sono piuttosto le nostre reazioni che producono tutto ciò. Una reazione eccessiva indica una instabile e scadente fiducia in sé stessi; poiché la reazione è sopra le righe e quel che produce è un rafforzamento del pericolo, magari erroneamente percepito. Perfino il codice penale condanna la difesa eccessiva rispetto ad un’offesa o ad una minaccia.

  • Il primo problema è quello della conoscenza,
  • il secondo è quello della condotta,
  • il terzo quello del governo o gestione delle risorse.

Per prima cosa dobbiamo chiederci a cosa serve vivere e, subito dopo: Chi sono? Se conosciamo il senso della vita, se conosciamo profondamente noi stessi e capiamo il contesto socio-cosmico in cui siamo inseriti, allora qualsiasi cosa avvenga, piacevole o spiacevole, non avrà su di noi un effetto travolgente, ma sarà uno stimolo per la nostra evoluzione.

Finché le funzioni estrovertite e quelle introvertite non si armonizzano, avremo sempre un uomo scisso. Come trasformare una situazione di disgrazia in una benedizione? Attraverso la scienza della coscienza. Quella callosità, quel guscio di cui parlavamo poco fa, in sanscrito ‘avarana’, rende l’uomo rigido, chiuso, insensibile, impedendogli lo sviluppo di qualità ontologicamente sue, che deve semplicemente risvegliare. Questo non è possibile finché i condizionamenti schiacciano il soggetto nella sua natura inferiore. In questo mondo, infatti, l’essere è sottoposto, suo malgrado, a vari condizionamenti, barriere che la ancorano ad esperienze di sofferenza e dolore, a frustrazioni e limitazioni, all’incapacità di raggiungere quello cui interiormente aspira.

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Tratto da: ‘Libertà dalla Solitudine e dalla Sofferenza’.
Pubblicato da Centro Studi Bhaktivedanta
Fonte del Post: http://psicologiaespiritualita.blogspot.it/2010/11/luomo-ostrica-parte-prima-di-marco.html#more

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