Morte e Rinascita. Parte 2.

Terra x Blog + Nero 2015

Morire per rinascere: un processo di risveglio della coscienza. Parte 2.

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c) L’incontro con la Samaritana.

Gesù, per andare dalla Giudea in Galilea, attraversa la Samaria. E’ una regione intermedia tra quelle due terre. Per gli Ebrei, è un luogo da evitare perché i Samaritani sono considerati poco frequentabili, dissidenti e peggio dei pagani. Mentre i discepoli vanno in città a comperare del cibo, Gesù si riposa, vicino ad un pozzo. Arriva una donna e lui le chiede di dargli da bere. La donna è molto stupita per la domanda ed esclama: “Come! Tu sei Ebreo e mi domandi da bere, a me che sono una donna samaritana!”. Quell’incontro, tra un uomo e una donna appartenenti a due popoli che si detestano e che sembrano opposti, illustra in modo simbolico gli estremi, i conflitti all’interno dell’anima umana. Mostra anche la nostra identificazione a una cultura, a un paese, portando ad opinioni che giudicano gli altri, ritenendoli diversi e a volte inferiori a noi. Camminando verso la luce, l’uomo si confronta con il proprio inconscio. Dopo le luci della mente, al momento della rinascita, l’uomo deve confrontarsi anche con le sue passioni più vive, con tutto ciò che lo divide, lo frammenta e lo fa soffrire.

Vediamo che per fare quell’incontro con le sue passioni, i suoi condizionamenti più profondi, Gesù deve andare in una regione intermedia e non amata dagli uomini del suo popolo. Quella regione è l’inconscio, nel cui seno l’uomo deve guardare e confrontarsi con ciò che non ama in lui, o con ciò che non conosce di se stesso. E’ un incontro con zone d’ombra che non si vogliono vedere, perché giudicate cattive. Per aprire questa donna alla conoscenza interiore, Gesù le dice: “Chi beve di questa acqua del pozzo avrà sete di nuovo; ma chi berrà dell’acqua che gli darò non avrà mai più sete; l’acqua che gli darò diventerà in lui sorgente d’acqua che sgorga in vita eterna”. Essa gli parla allora della sua vita segreta, dei suoi amori tormentati e instabili, delle sue sconfitte. Gesù tenta di insegnare alla Samaritana che le passioni alle quali ci attacchiamo, ci trascinano nell’incatenamento della ripetizione e che, al di là della facciata di noi che mostriamo al mondo, si nascondono grandi ferite, che si tenta di dissimulare e che sono la prova di una ricerca interiore, inconscia, di assoluto, che nessuna relazione umana può colmare.

L’incontro di Gesù con la samaritana illustra l’incontro con l’anima, cioè l’opposto completo di ciò che presenta al mondo: egli è un uomo autentico di un grande rigore, di una grande conoscenza, un insegnante che possiede la luce; lei è ignorante e incurante, conduce una vita dissoluta e quello presenta le due facce di una stessa realtà umana. Infatti ogni uomo è fatto di luce ed ombra. Egli prova a dirle che, continuamente, riproduciamo gli stessi errori con le nostre passioni, per tentare di assopirle e che quello ci dilania e ci ferisce, senza mai calmare, pienamente, la nostra sete d’assoluto. Così l’acqua del pozzo che non toglie mai la sete è il simbolo del nostro tentativo passionale per trovare l’assoluto e del nostro errore. Propone un’acqua eterna che soddisfa l’interno di noi stessi. Tuttavia, per giungere a quella sorgente, che sgorga nel più profondo di noi stessi, bisogna risvegliare un altro tipo di desiderio: il desiderio che ci condurrà verso un cambiamento di cammino, permettendoci di comprendere i nostri funzionamenti sbagliati, di continuo ricominciati e di oltrepassarli con una conoscenza profonda di noi stessi.

Gesù dice: “Credimi, donna, arriva l’ora in cui né su questa montagna, né a Gerusalemme adorerete il Padre… I veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e in verità. Perché questi sono gli adoratori che il Padre cerca. Dio è spirito e quelli che l’adorano devono adorarlo in spirito e verità”. Quello che cerca di spiegare qui, è che se arriviamo a superare le nostre passioni e a risvegliare il nostro desiderio profondo di conoscenza di sé, accettando di sottometterci ad una realtà più alta, che ci oltrepassa, il nostro cuore si aprirà alla conoscenza e alla verità dell’amore universale, della nostra appartenenza al tutto, al mondo, al di là di tutte le credenze, di tutte le frammentazioni e di tutti i pregiudizi.

“L’adorazione in Spirito e in verità che si eleva al di sopra di tutti i particolarismi, di tutte le barriere erette dalla storia e che si rifiuta di rinchiudere Dio in un dogma, quella adorazione è una cima in cui l’uomo scopre che la sua vera patria è lo Spirito. Questa cima non è da cercare qui o là. La collina ispirata, il luogo dove soffia lo Spirito è nel cuore stesso dell’uomo” (Eloi Leclerc). Ci occorre dunque oltrepassare i condizionamenti, bisogna essere dissidenti, camminare soli e non senza conflitti, per scoprire, nascoste nel nostro cuore, la luce e la conoscenza dell’amore che apre alla conoscenza universale. Il cuore dell’uomo si apre, l’uomo si apre all’amore e comprende… Dopo aver oltrepassato i suoi conflitti passionali, le sue nevrosi, i suoi condizionamenti, comincia ad accedere al senso della sua esistenza e della sua missione sulla terra: trasmettere agli altri il cammino della vita, dell’amore e di quella coscienza universale.

d) Il senso della vita è una missione da compiere, ma bisogna aprire gli occhi davanti alle proprie tenebre profonde.

Gesù incontra la folla che viene a lui e dice: “Voi mi cercate, non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato del pane e siete stati sfamati. Lavorate non per il cibo che si perde, ma per il cibo che è nella vita eterna, quella che vi darà il Figlio dell’uomo, perché è lui che Dio, il Padre, ha marcato con il suo sigillo”. Qui Gesù diventa un educatore, un maestro che accompagna e guida. Gli uomini vengono verso di lui perché sentono che li può aiutare a trovare ciò che cercano: la felicità, la libertà, l’amore. Vengono perché Gesù irradia questa felicità, questa libertà, questo amore, che dona loro. Può donarlo, guidare perché lui stesso ha seguito il cammino della conoscenza e conosce le prove, i pericoli della traversata.

Allora tenta di fare comprendere che il desiderio di una vita ben sviluppata non deve fermarsi alla nostra soddisfazione materiale, pulsionale, perché quel tipo di soddisfazione è effimera. Perché l’uomo progredisca verso una forza di luce interiore che lo guidi verso la pienezza della vita attraverso l’amore incondizionato, deve camminare verso un desiderio più elevato. “C’è nell’essere umano un dinamismo, uno slancio incommensurabile, una capacità di accogliere infinità, che si traducono in una sete e una voglia di vivere, che niente di finito può pacificare, che fanno dell’uomo un essere tormentato, fino a che l’opera di Dio non sia compiuta” (E. Leclerc).

Il senso della vita umana è il desiderio di superarla, di trascendere i limiti della sua coscienza personale, per accedere ad una coscienza più alta, che permetta di entrare in contatto con ciò che si chiama Dio. Per questo possiede una forza interiore che deve liberare dalle illusioni e dalle credenze, aprendosi a se stesso.

e) Comprendere che si deve sacrificare l’ego.

Il vangelo di Giovanni sembra riunire queste due parti dell’uomo: il corpo e lo Spirito con l’intermediazione dell’anima (psiche), poiché il verbo si è fatto carne. A quel livello del suo cammino, l’uomo deve abbandonarsi completamente alla fede, lasciarsi guidare da lei, prepararsi a morire simbolicamente, per riunire tutti gli opposti in se stesso e rinascere pienamente alla vita. Deve, come Gesù, poter dire agli uomini: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna”. Bisogna essere capaci di darsi totalmente, dare la propria carne e il proprio sangue, morire, per aprirsi a una vita che accetta la rinuncia, il distacco, il dono di sé e che nella morte si fa possibilità di resurrezione.

“Ciò che Gesù offre agli uomini è veramente la pienezza della vita. Una pienezza in cui le forze oscure della passione e del desiderio trovano il cammino verso la luce dello Spirito, in cui chi si dà per intero è donato a se stesso” ( Eloi Leclerc). L’uomo deve abbandonarsi totalmente alla forza dall’alto; allora il suo cuore può aprirsi e comprendere il senso della sua missione sulla terra.

L’uomo si trova davanti a una scelta: accettare la luce o rifiutarla, abbandonarsi completamente a lei o no, sapendo che quell’abbandono esige un sacrificio, una messa a morte dell’ego, di ciò che chiama “io”. Il solo mezzo di portare la luce nel profondo delle nostre radici carnali più arcaiche e istintive è aprire gli occhi e guardare senza paura, con una fiducia totale nello Spirito che ci guida. L’incontro di Gesù col cieco illustra simbolicamente quella apertura degli occhi su ciò che non vogliamo vedere: l’orrore umano, le tenebre di tutta l’umanità, poi la comprensione che la luce può dissolvere le tenebre.

f) Il sacrificio dell’ego.

Nel mito del Cristo, il simbolismo della croce illustra l’unificazione dei contrari. Nel cammino verso la conoscenza di sé, c’è tutto un lavoro di riconoscimento e d’accettazione degli estremi dell’essere umano, che portano alla riunificazione degli opposti. Così Gesù sulla croce è il simbolo vivente di chi soffre in un cammino verso la piena realizzazione del suo essere al mondo. E’ posto al centro della croce, perché è al centro che si trova l’equilibrio della riunificazione.

La morte e il sacrificio hanno un significato semplice: il processo interiore di apertura esige la morte dell’ego, cioè il cessare l’ identificazione con il nostro “Io”, per la totalità dell’essere: corpo/anima/spirito. L’uomo deve sacrificare ciò che crede di essere, per accedere all’equilibrio e alla conoscenza. Troviamo questo in tutte le tradizioni spirituali: buddismo, induismo, sciamanesimo, ecc….

Così Gesù che agonizza sulla croce è il simbolo delle sofferenze che l’uomo deve accettare per giungere alla morte dell’ego e alla spiritualità, che significa la fine della dualità, che le religioni orientali chiamano Sé e il cristianesimo Dio. Fare esperienza di Dio è trascendere l’ego e morire a se stessi e questa morte non può farsi senza che il cuore non versi lacrime e sangue.

g) La resurrezione. Il compimento.

A partire da quell’archetipo, che è l’illustrazione simbolica del processo di realizzazione di Sé, processo di apertura della propria coscienza personale alla coscienza universale, possiamo anche dare una spiegazione alla resurrezione descritta da Giovanni, il ritorno alla vita di Lazzaro. La resurrezione in un corpo di carne, simile al nostro di viventi, sarebbe la morte/resurrezione di cui facciamo esperienza quando viviamo la trasformazione interiore.

Quando abbiamo esplorato il nostro inconscio e siamo andati molto lontano sul cammino della croce, e accettiamo il sacrificio del Me, allora moriamo, simbolicamente, dopo una lunga agonia, e, quando la riunificazione dei contrari si produce in noi stessi, allora rinasciamo trasformati e trascendiamo l’esperienza della dualità e della totalità. Siamo sempre gli stessi, con lo stesso corpo fisico, ma nello stesso tempo non siamo più gli stessi: è nata un’altra persona. In India le persone che fanno quella esperienza spirituale si chiamano “i nati due volte”. In quella rinascita, che esige la morte dell’ego, l’uomo fa esperienza di Dio, nel senso della coscienza cosmica. Scopre interiormente che non è l’essere isolato e diviso, ma che è la totalità del mondo: per riprendere le parole di Krishnamurti, diventa il mondo e il mondo è lui senza separazione. Quella esperienza dà una tale fede nella vita che sa, ormai, che è immortale perché la sua anima è unita al tutto cosmico al quale appartiene e al quale ritornerà alla morte fisica.

Così la resurrezione di cui parlano i cristiani non è qualcosa che occorra aspettare, ma è qualcosa da realizzare nella vita, come lo stesso Gesù ha fatto. Poco importa sapere se l’uomo Gesù è morto o no sulla croce, perché molti testi apocrifi dicono di no; quello che importa è l’insegnamento di quel mito, ciò che tenta di dirci da due millenni, e che la Chiesa ha spesso interpretato in modo diverso, forse per ignoranza, o semplicemente perché educare gli uomini a quella trascendenza li aprirebbe a una vita nuova: liberi e meno manovrabili.

Dopo la morte simbolica, l’uomo è compiuto, realizzato, considerato inviato da Dio. La sua missione è educare gli altri e trasmettere loro la sua esperienza interiore. Resta però un uomo come gli altri, la cui personalità non si è dissolta nella coscienza cosmica, e che continua a vivere tra gli uomini.

Joelle Maurel
Tratto da: 3ème Millénaire n. 83 – Traduzione della dr.ssa Luciana Scalabrini.
Fonte del Post: http://www.revue3emillenaire.com/it/?p=766

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