Nisargadatta Maharaj: L’ “io sono”.

Blog Nube Magellano

1. L’ “io sono”.

V.: Ogni giorno, al risveglio, il mondo si mostra a noi. Da dove ci viene quell’esperienza?   M.: Prima che qualcosa si mostri, dev’esserci qualcuno a cui mostrarsi. Ogni apparizione e scomparsa presuppongono un mutamento su uno sfondo immutabile.

V.: Prima di svegliarmi, non ne ero cosciente.
M.: In che senso? L’avevi dimenticato o non ne avevi fatto l’esperienza? Anche senza coscienza, non c’è forse esperienza? Puoi esistere senza saperlo? Un vuoto nella memoria è forse una prova di non-esistenza? E puoi parlare della tua non-esistenza come di un’esperienza vera e propria? Non puoi neppure dire che la tua mente non esisteva. Non ti sei forse svegliato quando ti hanno chiamato? E quando ti sei svegliato, la prima sensazione che è apparsa non è stata quella di esistere, quella dell’ “Io sono” ? Perciò deve pur esserci un barlume di coscienza, mentre dormi o quando perdi i sensi. Appena ti svegli, inizia l’esperienza: “Io sono… un corpo… nel mondo”. Può sembrare che si sviluppi in sequenza, ma di fatto accade simultaneamente: è un’unica idea, di avere un corpo nel mondo. Si può provare la sensazione dell’ “io sono” senza essere qualcuno, cioè senza un qualcuno che lo riconosca?

V.: Io sono sempre qualcuno, con i suoi ricordi e le sue abitudini. Non conosco altri “io sono” al di fuori di me.

M.: Forse c’è qualcosa che t’impedisce di conoscere? Quando ignori una cosa che altri conoscono, che fai?

V.: Cerco la fonte della loro conoscenza, seguendo le loro indicazioni.

M.: Non ci tieni a sapere se sei solo un corpo o qualcos’altro? O magari niente del tutto? Non vedi che tutti i tuoi problemi sono i problemi del tuo del corpo: il cibo, il vestiario, la casa, la famiglia, le amicizie, la reputazione, la notorietà, la sicurezza, la sopravvivenza? Tutto ciò non ha più significato, nel momento in cui ti rendi conto che potresti non essere soltanto un corpo.

V.: Che cosa ci guadagno a sapere che non sono il corpo?

M.: Anche dire che non sei il corpo non è del tutto esatto. In un certo senso sei tutti i corpi, i cuori e le menti, e molto di più. Penetra nelle profondità dell’ “Io sono”, e lo scoprirai. Come fai a ritrovare una cosa che hai messo fuori posto o dimenticato? La tieni in mente finché non te la ricordi. La sensazione di essere, dell’ “io sono”, è la prima ad emergere. Domandati da dove viene o limitati ad osservarla con calma. Quando la mente rimane immobile nell’ “io sono”, entri in uno stato che non può essere descritto a parole, ma di cui puoi fare esperienza. Ti basta provare e riprovare. Dopotutto l’ “io sono” è sempre con te, non lo cogli perché gli hai sovrapposto una quantità di cose: corpo, sentimenti, pensieri, idee, possessi eccetera. Ma sono tutte identificazioni fuorvianti ed è a causa loro che credi di essere quello che  non sei.

V.: Ma allora, chi sono?
M.: Non ti serve sapere chi sei, ti basta sapere che cosa non sei. Infatti, se per conoscenza s’intende una descrizione a partire da ciò che è già noto, percepito o concettualizzato, non può esserci conoscenza di sè, perchè che ciò che sei non può essere descritto, se non per negazione assoluta. Puoi soltanto dire: “non sono questo, non sono quello”. Affermare “Questo è ciò che sono” non ha senso, perché se lo indichi, non puoi essere tu. Di sicuro non puoi essere “qualcos’altro”. Tu non sei niente di percepibile o immaginabile, eppure, senza di te, non può esserci nè percezione, né immaginazione. Sei tu che osservi il cuore che prova sentimenti, la mente che pensa, il corpo che agisce. L’atto stesso di percepire dimostra che tu non sei ciò che percepisci. Può esserci percezione o esperienza senza di te? Un’esperienza deve “appartenere”. Deve esserci qualcuno che la rivendichi come sua. Senza lo sperimentatore, un’esperienza non è reale, è lui che le dà realtà. A che ti serve un’esperienza che non puoi fare?

V.: La sensazione di essere colui che fa l’esperienza, la sensazione dell’ “io sono” non è a sua volta un’esperienza?
M.: Ovviamente, ogni cosa sperimentata è un’esperienza, e in ogni esperienza c’è colui che la fa. La memoria crea l’illusione della continuità. Di fatto, per ogni esperienza c’è uno sperimentatore, e il senso di identità è dovuto al fattore comune che sta alla base di ogni rapporto tra chi fa l’esperienza e l’esperienza stessa. Identità e continuità non sono la stessa cosa. Come ogni fiore ha il suo colore, anche se tutti i colori sono riflessi dalla stassa luce, così nella consapevolezza unica e indivisibile appaiono molteplici sperimentatori, ciascuno separato nella memoria, ma identico nell’essenza. Questa essenza è la radice e il fondamento di ogni esperienza, la sua perenne “possibilità” fuori dello spazio e del tempo.

V.: E io come la ottengo?
M.: Non hai bisogno di ottenerla perché sei già quell’essenza. Sarà lei a venire da te, se le darai una possibilità. Abbandona l’attaccamento all’irreale e il reale si metterà da solo al suo posto, con rapidità e armonia. Smetti di immaginare di essere o di fare questo e quello e in te sorgerà la comprensione di essere la sorgente e il centro di tutto. Ciò porterà con sè un grande Amore che non è scelta o predilezione e neppure attaccamento, ma un potere che rende ogni cosa amabile e degna di essere amata.

Tratto dal libro: Io Sono Quello, Ubaldini Editore, Roma.

Postato da: Sid… Love*

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