Osho: Sulla Meditazione.

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La Chiave dellì’Illuminazione.

Ti racconterò un aneddoto. In Birmania fu ordinato a un monaco di preparare un disegno per il nuovo tempio; in particolare, per la porta d’ingresso. Egli cominciò a fare molti schizzi e, poiché aveva un discepolo di grande talento, gli chiese di stargli vicino. Il discepolo doveva limitarsi a guardarlo mentre disegnava e, se il disegno gli piaceva, do­veva dire che andava bene. Se non gli piaceva, doveva dirlo. Il maestro disse: “Consegnerò solo il disegno che tu appro­verai. Se non ti piace, metterò quello schizzo da parte e ne farò uno nuovo”.

In quel modo furono scartati centinaia di disegni. Passarono tre mesi e il maestro iniziò a preoccuparsi, ma poiché aveva dato la sua parola, doveva mantenerla. Faceva un disegno, il discepolo diceva che non andava bene e íl maestro ne cominciava un altro.

Un giorno l’inchiostro stava per finire, per cui il maestro disse: “Va’ a cercare altro inchiostro”. Il discepolo uscì. Il maestro si scordò di lui, della sua presenza, e abbandonò ogni sforzo. La sua presenza era il problema. Aveva sempre in mente il fatto che il
discepolo era presente, e lo giudica­va; si chiedeva continuamente se il disegno gli sarebbe pia­ciuto o se avrebbe scartato anche quello. Ciò aveva creato un’ansia interiore che gli impediva di essere spontaneo.

Dopo che il discepolo fu uscito, il disegno fu completato. Il discepolo tornò e disse: “Meraviglioso! Ma perché non sei riuscito a farlo prima?”.

Il maestro rispose: “Adesso comprendo il motivo: tu eri presente e io stavo facendo uno sforzo per ottenere la tua approvazione. Lo sforzo ha distrutto ogni cosa. A causa tua non riuscivo a essere naturale, a fluire, a dimenticare me stesso”.

Ogni volta che stai facendo meditazione, lo sforzo stesso di farla, l’idea stessa di riuscirci, è la barriera. Siine consa­pevole. Continua a farla, ma siine consapevole. Arriverà un giorno… Basta avere pazienza, e arriverà un giorno in cui lo sforzo non ci sarà più.
In realtà, tu non ci sei: solo la medita­zione è. Potrebbe volerci molto tempo. È impossibile pre­vederlo, nessuno può dire quando accadrà. Infatti, se una cosa può essere ottenuta con lo sforzo, è possibile predire che la raggiungerai quando avrai compiuto lo sforzo
neces­sario. Ma la meditazione sarà coronata dal successo solo quando in te non ci sarà più lo sforzo. Ecco perché è im­possibile fare previsioni. Non si può dire nulla sul momen­to in cui avrai successo. Potresti farcela in questo stesso istante, oppure potresti fallire per
vite intere.

Free image: Bench Under Tree

Tutto dipende da un fattore: quando il tuo sforzo cade e diventi spontaneo; quando la tua meditazione non è un’a­zione, ma si trasforma nel tuo essere; quando la tua medita­zione è come l’amore…

Non puoi fare nulla per ciò che concerne l’amore, o for­se puoi? Se fai qualcosa, lo rendi falso. Diventerà artificiale, non scenderà in profondità. Tu non sarai in esso; si trasfor­merà in una recita. L’amore è: non puoi fare nulla!

Né puoi fare nulla per la meditazione. Ma non voglio di­re che non devi fare niente, perché in quel caso resteresti dove sei. Devi fare qualcosa, ma restando perfettamente consapevole che non è sufficiente limitarsi ad agire. All’inizio sarà necessario. Non è possibile farne a meno, bi­sogna passarci attraverso. Ma devi trascendere l’agire per raggiungere uno stato in cui fluisci senza sforzo.

La via è difficile e molto contraddittoria. Non puoi tro­vare nulla di più contraddittorio della meditazione. È con­traddittoria perché deve cominciare come sforzo e finire co­me assenza di sforzi. Ma accade. Forse non riesci a concepi­re logicamente come ciò possa accadere, ma nell’esperienza accade. Arriva un giorno in cui semplicemente sei stanco dei tuoi sforzi ed essi cadono.

Al Buddha successe così. Per sei anni fece ogni sforzo possibile; nessun essere umano è mai stato tanto ossessiona­to dall’illuminazione. Egli fece ogni cosa in suo potere; pas­sò da un insegnante all’altro, eseguendo alla perfezione tut­to ciò che gli veniva insegnato.
Questo era il problema, in­fatti nessun insegnante poteva dirgli: “Non ottieni ciò che cerchi perché non stai lavorando bene”. Era impossibile. Faceva meglio di qualsiasi maestro, per cui quest’ultimo do­veva confessare: “Sono in grado di insegnarti solo questo; ciò che c’è al di là non lo conosco, quindi va’ a cercare da un’altra parte”.

Era un discepolo pericoloso, ma solo i discepoli perico­losi si realizzano. Aveva studiato tutto il possibile e metteva scrupolosamente in pratica ogni cosa gli venisse detta; quin­di andava dal maestro e diceva: “L’ho fatta, ma non è suc­cesso nulla. Qual è il passo successivo?”.

L’insegnante rispondeva: “Va’ altrove… sull’Himalaya c’è un altro insegnante: va’ da lui!”. Oppure: “In una fore­sta c’è un altro insegnante: va’ da lui. Più di questo non pos­so insegnarti”.

Vagò per sei anni. Fece tutto ciò che è umanamente pos­sibile, e alla fine si stancò. Ogni cosa appariva futile, sterile, priva di senso. Una notte si rilassò, rinunciando a ogni sfor­zo. Seduto sotto l’albero della Bodhi, disse: “Ora è tutto fi­nito. Al mondo non c’è nulla, e nemmeno in questa ricerca spirituale c’è qualcosa. Ora non mi resta nulla da fare, è tut­to finito: non solo questo mondo, ma anche l’altro”.

Improvvisamente ogni sforzo cadde, egli era vuoto. Infatti, quando non c’è nulla da fare, la mente non può muoversi. La mente si muove solo perché c’è qualcosa da fa­re, quando c’è una motivazione, un obiettivo. La mente si muove perché è possibile qualcosa, c’è un
futuro, un ogget­to da raggiungere. Se non oggi, domani: il fatto che sia pos­sibile raggiungere qualcosa mette in moto la mente.

Quella notte il Buddha arrivò a un punto morto. In realtà, egli morì in quello stesso istante, perché non c’era fu­turo. Non c’era nulla da raggiungere, né c’era qualcosa da poter raggiungere: “Ho fatto tutto. Tutto il mondo è futile e questa esistenza è un incubo”. Non solo il mondo materiale divenne futile, ma anche quello spirituale. Si rilassò. Senza aver fatto alcunché per rilassarsi.

Questo è il punto da capire: poiché non c’era nulla per cui essere tesi, si rilassò. Da parte sua non fu fatto alcuno sforzo per rilassarsi.

Sotto l’albero della Bodhi egli non stava cercando di ri­lassarsi. Non c’era nulla da fare, nulla per cui essere tesi, nulla da desiderare; non esisteva né futuro né speranza. Quella notte era assolutamente senza speranza: cioè era ri­lassato. Il rilassamento accadde.

Tu non puoi rilassarti, perché c’è ancora una cosa o l’al­tra da raggiungere, da realizzare. Quella meta continua ad agitare la mente, a farti girare in tondo all’infinito. All’improvviso i giri si arrestarono e la ruota di fermò: il Buddha si rilassò e si addormentò.

Al mattino, quando si svegliò, l’ultima stella si stava spe­gnendo. Egli guardò sparire l’ultima stella e, insieme a essa, anche lui sparì completamente: divenne un illuminato. Allora la gente cominciò a chiedere: “Come hai fatto a rag­giungere quello stato dell’essere? In che modo? Con quale tecnica?”.

Ebbene, puoi comprendere la difficoltà del Buddha. Se avesse risposto di aver conseguito l’illuminazione attraverso qualche tecnica, avrebbe avuto torto: infatti, l’aveva conse­guita solo quando non c’era più alcuna tecnica. Ma anche ri­spondere: “Non fare alcuno sforzo e
conseguirai l’illumina­zione”, sarebbe stato sbagliato, perché dietro il suo non sforzo c’erano sei anni di sforzi. Senza quei sei anni di sfor­zi intensi non sarebbe riuscito a conseguire questo stato di non-sforzo.

Solo grazie a quello sforzo folle, egli giunse a una vetta oltre la quale non c’era più nulla da raggiungere; si rilassò e cadde nella valle.

Questo va ricordato per molte ragioni. Lo sforzo spiri­tuale è lo sforzo più contraddittorio. Bisogna sforzarsi con la piena consapevolezza che tramite lo sforzo non è possibi­le raggiungere alcunché. Bisogna fare uno sforzo solo per raggiungere un non-sforzo,
l’assenza di sforzi. Ma non rilas­sare il tuo sforzo, perché se ti rilassi, non raggiungerai mai quel rilassamento che scese sul Buddha. Continua a fare ogni sforzo, in modo che possa giungere automaticamente un momento in cui, proprio grazie allo sforzo puro, arrive­rai a un punto in cui il rilassamento ti accade.

Per esempio, puoi considerare la cosa da un altro punto di vista. Per come la vedo io, in Occidente l’ego è stato il centro dell’attenzione. Ogni sforzo, in Occidente, è volto al raggiungimento di un forte ego, al suo appagamento e al suo sviluppo. In Oriente lo sforzo è stato indirizzato verso il conseguimento dell’assenza di ego, verso il diventare un non-ego, il dimenticare, l’arrendersi, il dissolversi completa­mente in modo da non esistere più. L’Oriente ha cercato l’assenza dell’ego; l’Occidente, l’ego perfetto.

Ma questa è la contraddittorietà delle cose: se non hai un ego molto sviluppato, non puoi arrenderti. Puoi arrenderti solo se hai un ego perfettamente strutturato. In caso contra­rio non ti puoi arrendere: infatti, chi si arrenderebbe? Quindi, per me, sia l’Occidente che
l’Oriente sono parziali e infelici. L’Oriente ha preso in considerazione l’assenza di ego, che è la parte finale: manca quella iniziale.

Chi abbandonerà l’ego? Se manca la vetta, chi creerà la valle? La valle si forma solo intorno a una vetta: più alta è la vetta, più profonda sarà la valle. Se non hai un ego, o se l’hai poco sviluppato, arrendersi è impossibile. Oppure la tua resa sarà parziale, tiepida e
non accadrà nulla, non ci sarà al­cuna esplosione.

In Occidente è stata enfatizzata la parte iniziale, pertan­to sviluppi all’infinito il tuo ego, che creerà un’ansia sempre maggiore. Ma quando lo avrai creato davvero, non saprai cosa farci, perché manca la parte finale.

Per me la ricerca spirituale è entrambe le cose. Crea un picco altissimo, un ego perfetto, solamente per dissolverlo. Sembra assurdo: solo per dissolverlo, per arrivare a un ab­bandono profondo, per lasciarlo da qualche parte.

D’altra parte, non puoi perdere qualcosa che non hai; quindi, dal mio punto di vista, l’umanità va educata a en­trambe le cose: aiuta tutti a creare un ego perfetto, appaga­to… Ma sei solo a metà strada nel tuo viaggio: poi, aiuta le persone ad abbandonare quell’ego.

Più alto è il picco, più profonda sarà la valle; più elevato l’ego, più profondamente scenderai nel tuo abbandono. E questo vale per ogni cosa. Sul cammino spirituale ricorda questa contraddittorietà costante; non dimenticarla, nem­meno per un istante. Diventa un
perfetto egoista in modo da poterti arrendere, dissolvere, sciogliere. Fa’ ogni sforzo pos­sibile, ma solo per raggiungere un punto in cui lo sforzo ti abbandonerà e resterai completamente passivo.

Tratto dal libro di Osho: “I segreti della gioia”.

Fonte del Post: http://www.amadeux.it/forum/topic.asp?TOPIC_ID=16590

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