Perchè continuiamo a soffrire?

Terra x Blog + Nero 2015

Perchè troviamo sempre un modo per sofrire?

“Da quando l’essere umano ha iniziato l’evoluzione psichica che ha fatto del pensiero la sua principale attività percettiva, il suo Io, cioè l’immagine che l’essere umano ha di se stesso, ha travalicato i limiti naturali del suo corpo.

Il nostro Io si è esteso ai nostri processi materiali, alla nostra consistenza economica, ai nostri legami affettivi (quindi ad altri esseri viventi), ai nostri ruoli sociali, ai nostri stati psichici, ai nostri protocolli comportamentali, alle immagini stereotipate della nostra cultura.
In altri termini, a dei simboli concettuali. Così noi oggi non ci identifichiamo soltanto con il nostro corpo, ma anche con la nostra casa, la nostra automobile, il nostro televisore, il nostro conto in banca, i nostri parenti, i nostri amici, la nostra professione, il nostro prestigio, il nostro ruolo sociale.

Questa è, secondo la psicologia buddhista, la radice della nevrosi e quindi della sofferenza umana. Essa costituisce un processo nevrotico, perché costituisce un processo di allontanamento dalla realtà, cioè dalla naturale coincidenza dell’Io con il corpo.

Nella nevrosi l’Io si identifica con una serie sempre più numerosa e complessa di simboli mentali, costruiti sulla base di valori sociali o culturali, ma non naturali. La sofferenza deriva evidentemente da una dilatazione dello stato di vulnerabilità dell’Io, che aumenta con l’aumentare del numero degli oggetti con cui egli si identifica.”

Interessante prospettiva quella di Giacobbe. Osho stesso parla della sofferenza generata dall’identificazione con emozioni come la rabbia, ad esempio.

Nel “Il coraggio di ascoltarsi” e nel nuovo volume “Il ritmo del corpo” utilizzo il lavoro sul corpo per elaborare paure e debolezze, disgregare schemi mentali e abitudini e raggiungere la consapevolezza. L’ascolto della fisicità e il contatto con il corpo ci riportano immediatamente ad una dimensione più oggettiva e non filtrata dalla mente. La centralità del corpo diviene quindi una chiave di volta importante per stare bene con se stessi.

Ovviamente, quando il corpo si dilata, identificandosi con una miriade di simboli e relazioni, perdiamo la possibilità di un contatto diretto con esso e sprofondiamo nella confusione e nella sofferenza. Ritornare al corpo significa abbandonare gli attaccamenti: per molti risulta quasi impossibile accettare anche solo l’idea di potersi bastare senza possedere nulla o nessuno. Piuttosto che mollare la presa, si preferisce affondare con la nave stracolma di “tesori” nell’irrinunciabile ruolo del Capitano.

Donatella Coda Zabetta

Estratto da “Come diventare un Buddha in cinque settimane” di Giulio Cesare Giacobbe.

Fonte del Post: http://ilcoraggiodiascoltarsi.blogspot.it/2014/12/perche-troviamo-sempre-un-motivo-per.html

WooshDe7Torna Su