Ramana Maharshi: Il Mentale. 3 di 3.

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Il Mentale. Terza Parte.

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[K.R.V. Iyer] D.: Come purificare il mentale?
R.: Gli Shastra dicono: “Mediante il karma, la bhakti, ecc.”. Uno dei miei fedeli mi pose un giorno la stessa domanda. Gli ho risposto: “Mediante il vostro karma dedicato a Dio.” Non basta pensare a Dio mentre il vostro karma si svolge. Bisogna pensare a Dio continuamente e senza soste. È allora che il vostro mentale diventerà puro.

D.: Come purificarlo, allora?
R.: Dedicatevi alla ricerca del Sé o atma-vichara, provocate cioè la scomparsa dell’idea centrale “Io sono il corpo”. [298.290]

D.: Per tornare all’arte di eliminare i pensieri e di sviluppare al loro posto l’intuizione, si può dire che ci sono due stadi distinti, separati da un territorio neutro che non sarebbe più il mentale né l’intuizione? Oppure l’assenza del mentale provoca necessariamente la Realizzazione del Sé?
R.: Per l’abhyasin (colui che pratica) esistono in effetti due stadi differenti. E c’è un terreno neutro: sonno senza sogni, coma, svenimento, follia, ecc., dove le operazioni “mentali” non esistono più, vale a dire che la coscienza di sé è abolita.

D.: Se consideriamo il primo stadio, come si arriva a eliminare il mentale, o a trascendere la coscienza della relatività?
R.: Per natura il mentale non conosce riposo. Cominciate dunque col liberarlo dalla sua attività. Dategli la pace; sottraetelo alle distrazioni; insegnategli a tornare verso l’interiore; fate in modo che si abitui. Vi perverrete ignorando l’esistenza del mondo esteriore ed eliminando ciò che fa da ostacolo alla pace del mentale.

D.: Ma come ci si può sbarazzare della propria agitazione mentale?
R.: I contatti col mondo, cioè con degli oggetti altri da sé, rendono il mentale agitato. L’indifferenza al mondo (vairagya), a tutto ciò che non è sé stessi, costituisce la prima tappa. Di seguito vengono l’abitudine all’introspezione e quella alla concentrazione. I loro tratti caratteristici sono il padroneggiamento dei sensi esteriori, delle facoltà interiori, ecc. (shama, dama, ecc.), e, infine, il samadhi.

D.: Come bisogna fare?
R.: L’esame della natura effimera dei fenomeni esteriori conduce a pairagya (assenza di passione). Così la ricerca (vichara) è il primo passo e il più importante da fare. Quando vichara si svolge automaticamente ne deriva un disprezzo per la fortuna, la fama, il conforto, i piaceri, ecc. Il pensiero “Io” diventa sempre più chiaro all’esame. La sorgente di questo “Io” è il cuore; è la meta finale. Tuttavia, se l’aspirante non è dotato, per temperamento, per il vichara-marga (il metodo di introspezione analitica) deve volgersi alla via della devozione (bhakti) per un ideale, che sia Dio, il guru, l’umanità in generale, la morale, o anche l’idea di bellezza. Quando una di queste inclinazioni prende possesso dell’individuo, tutti gli altri suoi attaccamenti si indeboliscono e vairagya aumenta via via che si sviluppa l’attaccamento all’ideale, fino al momento in cui si impossessa dell’intera persona. La concentrazione (ekagrata) si sviluppa parallelamente e impercettibilmente, che sia o no accompagnata da visioni e da “supporti” diretti. In mancanza di vichara o di bhakti si può ricorrere al metodo naturale di tranquillizzazione pranayamâ (controllo della respirazione) che agisce come un sedativo. La si chiama anche yoga-marga. Quando la vita è in pericolo tutto l’interesse si concentra su un solo punto, quello di salvarla. Quando il respiro è ritenuto il mentale non può più permettersi di buttarsi sui suoi giocattoli preferiti, gli oggetti esteriori, e non lo fa più. Di conseguenza il mentale si calma finché il respiro è ritenuto. Quando tutta l’attenzione è rivolta verso il respiro e il suo controllo gli altri interessi svaniscono. Mentre le passioni sono accompagnate da respirazione irregolare, la calma e il benessere si accompagnano a una respirazione calma e regolare. Il parossismo della gioia è infatti altrettanto difficile da sopportare quanto quello del dolore. Entrambi sono accompagnati da respirazione irregolare.

La pace reale è la felicità. I piaceri non determinano la felicità. Il mentale migliora con la pratica dell’introversione e diventa sempre più sottile; si affina come la lama di un rasoio che si affila a forza di sfregarlo. Il mentale diventa così più in grado di affrontare sia i problemi esteriori che interiori. Se un aspirante non è dotato per temperamento per i primi due metodi, o per via di certe circostanze (in particolare l’età) per il terzo metodo, dovrà fare ricorso allora al Karma-Yoga, cioè compiere delle buone azioni; per esempio dedicarsi al servizio sociale. I suoi istinti più nobili si esprimeranno meglio e ne trarrà un piacere impersonale. Il suo piccolo ego si affermerà con minor forza e avrà così la possibilità di dar libero corso ai lati positivi della sua natura. Più avanti sarà in grado di impegnarsi in una delle tre prime vie. È anche possibile comunque che, grazie al solo Karma-Yoga la sua intuizione si sviluppi.

D.: Una linea di pensieri convergenti o una serie di questioni possono provocare uno stato di auto-ipnosi? Non bisogna forse concentrare il mentale su un solo punto grazie all’analisi di un “Io” non analizzabile, che è tuttavia fondamentale, ma che è difficile da cogliere e vagamente percettibile?
R.: Sì. In effetti ciò accade se si guarda fissamente nel vuoto o in una luce o un cristallo brillante.

D.: Si può davvero fissare il mentale a questo punto, e come?
R.: Se il mentale si distrae occorre immediatamente porsi la domanda: “In chi sorgono questi pensieri distraenti?” Questo metodo vi riporta immediatamente verso l’”Io”.

D.: Per quanto tempo il mentale può essere mantenuto immerso nel “Cuore”?
R.: La durata aumenta con la pratica.
D.: Che cosa accade alla fine di questo periodo?
R.: Il mentale ritorna allo stato normale abituale. L’impressione di unità nel Cuore è sostituita dalla varietà delle percezioni fenomeniche. Il mentale rivolto verso il mondo esteriore si chiama estroversione. Il mentale rivolto verso il Cuore si chiama mentale in pace.

D.: Si tratta di un processo puramente intellettuale o soprattutto di una questione di sensibilità?
R.: Di sensibilità.

D.: Come possono arrestarsi tutti i pensieri quando il mentale è immerso nel Cuore?
R.: È grazie a una grande forza di volontà, unita a una fede incrollabile nella verità contenuta nell’insegnamento del Maestro.

D.: Quali sono i vantaggi di questo metodo?
R.: Prima di tutto la vittoria della volontà – sviluppo della concentrazione. Poi la conquista delle passioni – sviluppo del non attaccamento. Infine la pratica crescente delle virtù – considerazione uguale per tutti (samatva).

D.: Perché bisogna ricorrere a questo procedimento di auto-ipnosi pensando all’impensabile? Perché non utilizzare altri metodi come la contemplazione della luce, il controllo del respiro, l’ascolto della musica esterna o interiore, la ripetizione della sillaba sacra (pranava) o di altri mantra?
R.: La contemplazione della luce immerge il mentale in uno stato di stupore o di catalessi durante il quale la volontà è paralizzata. Ma questo stato è passeggero e non produce alcun effetto durevole. Il controllo del respiro blocca la volontà solo per qualche tempo. L’ascolto di suoni produce risultati analoghi – salvo il caso in cui il mantra è sacro e trasmette veramente l’influenza di un potere più elevato, che depura ed eleva i pensieri. [23.29-33]

D.: Come si può rendere immobile il mentale?
R.: L’osservazione del mentale mediante il mentale, ovvero la concentrazione del mentale sul Sé, porta il mentale sotto il controllo del Sé.
D.: È un processo ben definito, una sorta di yoga?
R.: Vichara (l’investigazione) basta a se stessa. [344.338]

D.: Non si dice che il mentale è un conglomerato di pensieri?
R.: È tale perché funziona sul loro comune denominatore, che è la loro unica radice, il pensiero “Io”. Manasantu kim margane krite naiva manasam marga drjavat: cioè “Il mentale non ha alcuna reale esistenza in quanto entità autonoma, separata”.

D.: Ma i pensieri sono comunque delle proiezioni mentali?
R.: In questo caso il mentale è considerato come sinonimo dell’ego, del pensiero “Io”. [372.367-68]

[S. Sastri] D.: Come può il mondo non essere che un’immaginazione o un pensiero? Il pensiero è una funzione del mentale. Il mentale è localizzato nel cervello. Il cervello è all’interno del cranio dell’uomo, che non è altro che una parte infima dell’universo. Come dunque l’immenso universo può essere contenuto nelle cellule del cervello?
R.: Finché crederete che il mentale sia un’entità particolare, del tipo che avete appena descritto, i vostri dubbi persisteranno.

Ma che cos’è il mentale? Vediamo dunque questo problema. Quando l’uomo esce dal sonno percepisce il mondo. Questa percezione è preceduta dal risveglio del pensiero “Io”. Al risveglio il mentale entra in attività. Che cos’è il mondo? È l’insieme degli oggetti sparsi nello spazio. Chi contiene e ingloba questo insieme? È il mentale. Ma allora, se ingloba lo spazio (akasha) non sarà esso stesso lo spazio? Lo spazio è l’etere fisico (bhatakasha). Il mentale è l’etere sottile (manakasha) che è anch’esso contenuto nell’etere trascendentale (chidakasha). Di conseguenza, il mentale è una fase dello sviluppo del principio dell’etere (akasha-tattva). Poiché i metafisici considerano il mentale come il principio della conoscenza (jnana-tattva) lo identificano con l’etere. Quando si pensa che il mentale sia l’etere non si ha più nessuna difficoltà a conciliare la contraddizione apparente contenuta nella domanda. Il mentale puro (shuddha manas) è l’etere. Il mentale dinamico (rajas) o pesante (tamas) non sono che aspetti del Mentale puro, e si manifestano sotto forma di oggetti del mondo grossolano. Di conseguenza, tutto l’universo è pura-mente mentale.

Prendete ancora l’esempio di un uomo che dorme. Egli va a dormire in una stanza le cui porte e finestre sono chiuse in modo da non essere disturbato durante il sonno. Chiude anche gli occhi per non essere turbato dalla visione di alcun oggetto. E tuttavia, quando sogna, percepisce tutto un mondo nel quale vede muoversi delle persone e vede sé stesso fra di loro. Da dove viene questo scenario? È entrato dalla porta o dalla finestra? No, gli è stato semplicemente presentato dal suo cervello. Ma allora di quale cervello si tratta? Di quello di colui che dorme o di quello del personaggio immaginato in sogno? Beninteso, di quello di colui che dorme. Come è possibile, allora, che un paesaggio così vasto possa essere contenuto in cellule cerebrali così minuscole? Questo esempio è sufficiente per spiegare l’affermazione tante volte ripetuta che l’universo intero non è che un pensiero o una serie di pensieri.

D.: Che cosa devo pensare allora quando ho mal di denti? Il mio male non è altro che un pensiero?
R.: Sì.
D.: Perché non posso pensare che non ho mal di denti e guarirmi così da me stesso?
R.: Quando si è completamente assorbiti da altri pensieri non si avverte più un forte mal di denti. Quando dormite non avvertite il vostro mal di denti.
D.: Ciò non impedisce che la sofferenza rimanga lo stesso.
R.: Lo stesso accade all’uomo ordinario fermamente convinto che il mondo sia reale. Come per la credenza nel mal di denti non è facile dissipare questo tipo di errore. Il Mondo, tuttavia, non diventa più reale dell’individuo stesso.

D.: E la guerra cino-giapponese che infuria in questo momento? È puramente immaginaria? Non potrebbe, in tal caso, Shrî Bhagavân utilizzare la sua immaginazione per pensare il contrario e metter fine a questa guerra?
R.: Il Shri Bhagavân di cui parlate è anche lui un’immaginazione come la guerra cino-giapponese alla quale alludete. [400.389-90]

Ramana Maharshi

Quaderno n. 47 – 16 Novembre 2007
Quaderni Advaita & Vedanta

Fonte del Post: http://www.ramana-maharshi.it/index.php?option=com_content&view=article&id=201:mentale-iii&catid=39&Itemid=63

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