Raphael: Approccio alla non-dualità. 2di 2.

Terra x Blog + Nero 2015

“Tradizione primordiale: approccio della non-dualità”. Parte 2.

Tratto da: 3ème Millénaire n. 64-65 – Traduzione della Dr.ssa Luciana Scalabrini.

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R: Ecco il ruolo della Tradizione: i Vangeli sono il mio specchio. Studiandolo posso dire: “Si, questa persona segue veramente i Vangeli, perché offre realmente l’altra guancia e ama perfino i suoi nemici”. E’ lo stesso per l’ Advaita Vedanta. Qualcuno ci potrebbe dire: “ Ho realizzato lo stato di Uno senza secondo”. E in questo caso noi diremmo: “Vediamo”. Se allora ci rendiamo conto che questa persona è panteista o nichilista, verifichiamo ciò che Shankara ha detto a questo proposito e possiamo facilmente accorgerci che le due cose non coincidono. Ecco il grande valore della Tradizione. E’ solo in questo modo che si può sapere se questa persona è realizzata o no.

Dobbiamo essere molto prudenti, perché viviamo l’epoca del Kali-yuga e un gran numero di persone fanno finta di sapere. Non è difficile imparare in un libro, ma vivere e realizzare ciò che vi viene detto è tutta un’altra cosa. Il solo modo, il solo mezzo per un discepolo di vedere se una persona è realizzata è di confrontare il suo comportamento con quello che ne dicono Plotino, Gaudapada, Shankara e altri nelle loro opere. Ma c’è un altro aspetto: molto spesso i discepoli sono passivi ed è loro molto difficile penetrare questi insegnamenti in profondità, molto spesso incoraggiamo i ricercatori ad andare avanti, a condurre le loro proprie esperienze, a viaggiare in India e a far visita a diversi guru. Ma in definitiva, essi sono obbligati a operare la loro propria sintesi e a confrontare i differenti testi per sapere bene dove si trovano.

Se qualcuno mi dice: “Sono un emulo di Platone”, perché ancora oggi abbiamo scuole platoniche e neoplatoniche, la cosa da fare è andare direttamente ai testi, per sapere esattamente ciò che Platone ha detto. E’ il solo mezzo a disposizione del discepolo ai nostri giorni. Una volta l’India era una società tradizionale e questo lavoro era molto più facile, ma ai nostri giorni, non abbiamo queste agevolazioni e questi mezzi; siamo nel mondo di avidya. Gesù dice: “ Voi li riconoscerete per i frutti che portano”; un discepolo deve fare prova di intelligenza e deve essere capace di comprendere.

C’è poi da fare una distinzione tra la vera realizzazione di uno stato di coscienza e le siddhi, che sono dei poteri. Le siddhi appartengono a Prakriti, ai guna e per questo creano la dualità; quando la realizzazione si situa al di là delle siddhi, non c’è siddhi più elevata della realizzazione. Molto evidentemente, la gente in generale preferisce le siddhi. Sai Baba, con tutto il rispetto che gli dobbiamo, possiede delle siddhi e fa apparire della vibhuti (cenere sacra). Se un elefante si precipita di corsa verso di lui, gli basta alzare semplicemente la mano per fargli arrestare la corsa. La gente accorre per assistere a questo spettacolo affascinante. Sai Baba ha anche la capacità di guarire, ma tutto ciò non attiene veramente che al veicolo. La realizzazione stessa avrà giù portato alla soluzione di tutti questi problemi. Non è che siamo contro le siddhi o i poteri. I poteri hanno la loro ragione d’essere, ma dobbiamo sapere che appartengono a un piano particolare e metterli al loro posto giusto.

D: Proprio prima di venirvi a incontrare, una delle nostre amiche attraversava una crisi. Intellettualmente, aveva coscienza che doveva abbandonarsi e lasciare che le cose accadessero, ma le emozioni seguivano un altro corso e le impedivano di lasciar andare. La domanda allora è: “come conciliare la ragione con le emozioni e i sentimenti?”.
R: Nel caso della vostra amica, osserviamo una identificazione con il corpo emozionale e questa identificazione è così forte che non permette di lasciar andare, d’abbandonarsi. Si tratterebbe quindi di rieducare sia le emozioni, che sono così potenti, sia la ragione, che non ha la capacità di sottrarvisi. La sua posizione dovrebbe essere tale da poter comprendere – anche dal lato del manas, del mentale – che può andare al di là di questo stato, al di là delle emozioni e della ragione. Certo, la condizione ideale sarebbe di uscire da tutta questa situazione e mettersi in silenzio. Risolverebbe così tutti i suoi problemi. Ma è in preda a delle emozioni e a dei sentimenti che, disgraziatamente, la mantengono in questa situazione. Deve essere proprio in mezzo ad una battaglia fra la coscienza razionale e le emozioni che si affrontano. La sua coscienza è allora proprio al centro di questo conflitto.

D: E dunque, la cosa migliore per lei sarebbe di stare al di sopra dei due?
R: Questa sarebbe una soluzione radicale, in effetti e già una realizzazione. Tutto dipende dalle emozioni e se la vostra amica è abbastanza forte da distaccarsene. Se avesse una visione, una conoscenza tradizionale qualunque, potrebbe trovare aiuto creando una identificazione con questa visione piuttosto che con le sue emozioni.

D: Cos’è la meditazione? E’ una tecnica per compiere qualcosa e, se è il caso, per compier cosa?
R: All’inizio la meditazione è estremamente importante. C’è la meditazione con supporto (o oggetto) o senza supporto. Per un principiante, la miglior cosa da fare è cominciare con un supporto concreto qualunque, come un libro, per esempio, affinché il suo spirito possa giungere ad un certo livello di concentrazione, un grado elevato d’attenzione su questo supporto particolare, perché il pensiero ha la tendenza a disperdersi. E’ molto difficile bloccarlo in un’unica posizione. Una meditazione con supporto favorisce dunque la concentrazione.

Nello Yoga-darshana, che è il Raja-yoga di Patanjali, i tre ultimi mezzi sono dharana (la concentrazione), dhyana e samadhi. Questo comprende l’attenzione, la concentrazione e la meditazione, affinché il mentale si focalizzi. Abitualmente la mente perde una quantità importante della sua energia. Una mente che disperde la sua energia non può creare qualcosa di positivo, qualcosa di buono. Chiunque abbia compiuto un lavoro d’una certa importanza, anche nel mondo esteriore, ha dovuto, in ogni caso, fare prova di una fortissima capacità di concentrazione. Uno scienziato o un matematico deve possedere questo tipo di concentrazione per scoprire certe leggi. Molto evidentemente, quando la nostra Coscienza riposa in se stesa e vive per e attraverso se stessa, la meditazione non è più necessaria. Cosi’, la meditazione è un mezzo molto potente per collocare tutti i veicoli in stato di attenzione, di concentrazione. Ben inteso, esistono differenti tecniche di meditazione, ma penso che non abbiamo il tempo di affrontarle ora.

D: Ieri vi ho parlato delle mie aperture della visione, ma che non era qualcosa che vivevo in permanenza. Avete risposto che era sufficiente ritornare a questa visione. La mia domanda dunque è la seguente: “Non si tratta allora di un semplice ricordo, di qualcosa di irreale?
R: Naturalmente non parliamo di un ricordo psicologico al quale dovreste ritornare. Ma è possibile mettere l’accento su questa visone, su questo stato nel quale eravate. Credo che abbiamo realizzato tutti un minuto d’unità nel corso della vita e preso coscienza che la vita è Una. Tutto quello che ci resta da fare è stabilizzare questa esperienza. Il Vedanta offre una soluzione: suggerisce di considerare ciò che ci circonda come “nome e forma” e di cercare ciò che c’è al di là del nome e della forma.

D: Avete la coscienza d’essere dappertutto?
R: Si, non c’è differenziazione né opposizione. Per utilizzare la terminologia induista quando si parla di Ishwara: il bakta (devoto, colui che segue il cammino della devozione) pone Ishwara all’esterno, considera Ishwara come un “secondo”. In realtà Ishwara è uno stato di coscienza che deve essere realizzato, Ishwara, o Dio, è uno stato d’essere. A questo stadio avete la possibilità di guardare sia con gli occhi della Coscienza sia con gli occhi fisici. Platone parla dell’ “unità nella diversità”. E’ molto bello e importante. Se guardate con gli occhi dell’Unità, non potete entrare in opposizione con chichessia o qualunque cosa. Potreste allora ribattere: ma la condotta di queste persone non ha niente a che vedere con la visione dell’Unità. Raphael ne è cosciente, ma è ugualmente cosciente del fatto che queste persone, che si comportano in questo modo, sono esse stesse delle espressione dell’Uno. Questo crea situazioni a volte buffe. Dei ricercatori vengono da noi e affermano: “Io sono questo, io sono quello, io sono un uomo, io sono una donna, io sono dottore, io sono avvocato” Noi rispondiamo:” Ma voi non siete tutte queste cose che enumerate”. Tutte queste persone sono fermamente convinte e si considerano uomo, donna, medico, avvocato ecc. Accettiamole come credono di essere. Plotino dice: “Il mondo è una immensa scena dove ciascuno recita la sua parte”, ed è proprio ciò che facciamo tutti (ride). Ma sembra che molti non lo capiscano.

D: Allora, considerare le cose come “nome e forma”, appartiene al campo della mente, un processo mentale che bisogna ricordarsi di mettere in opera?
R: Evidentemente non potete forzarvi a farlo, ma dovete favorire l’attitudine che consiste a non vedere le cose come “nomi e forme”, ma come l’aspetto della Coscienza soggiacente ai “nomi e forme”. Shankara dà un buonissimo esempio che si riferisce in modo molto pertinente a questo: ”Prendiamo l’etere, che è in ogni luogo ed è Unità. Una gran parte di questa aria o etere è contenuta all’interno di un vaso e ci sono vasi differenti di ogni sorta di forma e di grandezza. Il vaso, certo, può essere inteso come un essere umano, un albero o un animale. Ma l’etere racchiuso all’interno dei vasi è della stessa natura dell’etere all’esterno. Dunque, dovremmo figurarci tutti come dei vasi, il nostro corpo è il nostro vaso, ma all’interno di tutti i differenti vasi, c’è questa Unità. La differenza sta nel fatto che ci sono stati di coscienza che non vedono che l’etere, all’interno e all’esterno dei vasi. Gli altri, al contrario, non vedono che con gli occhi del vaso, di conseguenza un vaso è diverso dall’altro; questo fa nascere il conflitto. E questo genera anche la vanità, perché in ogni stato di causa “il mio vaso è migliore del vostro” (ridendo). Questa esperienza infatti vi è molto utile. Ritornate al momento in cui avete visto l’unità e guardate attorno a voi con gli occhi di questa unità. Vedrete che questa unità ha assunto forme differenti: qui un albero, la mia persona o un animale, e così via. Ma sarà attento a ricontattare, a ritrovare la visione dell’Uno. E’ molto importante, poi, che manas, il mentale, non interferisce e non si metta a concettualizzare.

D: Nel momento di questa visione, non c’erano concetti. Ma ritornare a quel momento, per me, diventa un concetto, perché non si sta producendo ora.
R: Ma ora, voi siete certamente cosciente del fatto che questo stato esiste, perché era un’esperienza diretta. E da quel momento non potete più concettualizzare. Quando qualcuno vi dice di guardare il mondo dei nomi e delle forme, non potete più concettualizzare perché sapete di che si tratta, conoscete ciò che è al di là.

D: Si, so che è quella la Realtà. La maggior parte della giornata, mi trovo di fronte a dei concetti e mi ci faccio ancora prendere, ma in profondità so che non sono la Realtà.
R: In ogni caso, avete fatto l’esperienza di uno stato di coscienza spoglio di concetti e sapete così che la Realtà è al di là dei concetti. Ora, ciò che potete fare, è andare a fare un giro fuori e guardare gli alberi, guardare tutto ciò che incontrate e osservare, ma senza concettualizzare. Quando passeggiamo, la nostra mente si mette a concettualizzare autonomamente. Non si accontenta solo di contemplare un albero, ma commenta: “Questo albero è grande, o piccolo, mi piace, non mi piace…” Quello che allora dovete fare, è contemplare senza concettualizzare. E, poco a poco, questo modo di fare può essere incorporato nella nostra vita di tutti i giorni e, così, è la vostra coscienza che ora vi guida e non più i concetti. Per essere più preciso, possiamo chiamare questo “intuizione”, semplicemente per darvi un’idea di ciò che succede.

Alcuni vi diranno: “Ma come posso continuare a vivere e a lavorare così? Ho bisogno di fare funzionare la mia mente”. Però potete arrivarci. Questo sembra impossibile e invece è piuttosto facile. Infatti, è estremamente facile. Si possono fare molte cose: guidare il trattore, spaccare legna, cucinare, spazzare il pavimento di questa stanza, lavare i propri vestiti. E tutto questo con la gioia nel cuore perché tutto è così meraviglioso. E’ essenziale che coltiviate questa visione d’Unità nella vita perché ciò che avete attraversato è molto importante. Il Vedanta chiamerebbe questo Savikalpa samadhi. Ed è la possibilità di vedere l’unità della vita con i vostri occhi, gli occhi della Coscienza.

D: Potreste spiegare qual è i ruolo dello Yoga e delle sue differenti discipline? E’ necessario praticare uno yoga particolare?
R: Ci sono differenti tipi di yoga. Avete letto il nostro libro: “L’esssenza e lo scopo dello Yoga” che tratta tutte le forme di yoga, dall’Hatha-yoga fino all’Asparsa-yoga, che è lo yoga dell’Advaita vedanta, la via metafisica. Nel corso delle epoche antiche, questi yoga rappresentano diverse tappe o diversi passaggi che portano progressivamente a un cammino più vasto. Quindi, nel tempo antico, c’era semplicemente un solo e unico yoga, con differenti possibilità e dimensioni. L’insieme di questi differenti tipi di yoga portavano tutti alla trascendenza, compreso l’Hatha-yoga.

Oggi, l’Hatha-yoga in occidente non è che una serie di esercizi che non fanno che promettere una buona salute. Ma nessuno yoga è migliore di un altro. Certo, in Oriente, la Tradizione è sempre viva e permette a chi la incontra di avviare la loro pratica al loro proprio livello di preparazione, di gunas, ecc… In Occidente, e in certi paesi, non si è avuto niente altro che il Cristianesimo e non abbiamo quindi avuto nessuna scelta. Così è impossibile offrire a ciascuno la soluzione che gli abbisogna, perché ogni individuo è un mondo a sé. Invece in Oriente, esiste un ventaglio di possibilità ben più ampio che corrisponde ai bisogni di ciascuno, secondo i propri gunas e qualità.

Anche il Vedanta può esse definito come uno yoga, lo yoga della Conoscenza. Ma la parola Yoga si è degradata; questa specie di degradazione è inevitabile perché siamo nell’età del Kali-yuga. Infatti, se noi diciamo “facciamo del vedanta-yoga”, direbbero: “allora, fate della ginnastica? Quali sono le posizioni? Dov’è la palestra?”. (ridendo)

D: Tutti possono decidere di risvegliarsi, o succede spontaneamente, senza preparazione?
R: Il risveglio, naturalmente, non è qualcosa che potete compiere semplicemente con la sola forza della volontà e con lo sforzo. Avviene da solo. Ma dobbiamo essere pronti nel momento in cui avviene. Anche nella vostra vita quotidiana, a scuola per esempio, studiamo un considerevole numero di materie, la maggior parte di loro non sono di nessuna utilità per la nostra professione. Ma questa specie di esercizio prepara il nostro spirito a qualcosa che assomiglia all’intuizione: esercita a un modo migliore di scegliere le cose e così via. In questo, la preparazione che offrono i nostri studi è utile. Allora, per tornare alla vostra domanda, la preparazione porta ad accogliere questa specie di avvenimento spontaneo. Non si può forzare nulla, ogni violenza su di noi sarebbe totalmente inutile.

D: Quale consiglio dareste a un ricercatore di Verità.
R: Questa domanda non è molto facile (ridendo). Dare un consiglio a qualcuno è molto difficile. Beninteso, se la persona è veramente alla ricerca della Verità, la cosa può essere considerata. Ecco perché parliamo di un certo grado di naturalità della persona, quando c’è un maggior controllo dei gunas ecc. A questo stadio, certo, dei consigli potrebbero essere dati. Il problema sorge quando la persona vive in uno stato di sofferenza e di dualità. Vuole risolvere il suo problema, ma vuole restare in questo stato di dualità. In questa situazione, non si può avere comprensione, perché tutto quello che la persona vuole fare è cambiare un avvenimento o una situazione a questo livello. Ma si tratta del livello dell’ego, della dualità. Così è molto difficile consigliare qualcuno che è identificato a questo stato di dualità.

Inoltre, da un punto di vista filosofico, non c’è niente al di là o al di fuori dell’Essere e, presto o tardi, non possiamo che ritornarci. Un Advaitin è pacificato, diciamo che ha trovato la pace. Avendo integrato lo stato d’esistenza duale, non ha alcun motivo che lo spingerebbe a voler cambiare il corso delle cose. Ecco perché non ricerca né discepoli né adepti. Certo, l’Advaita è offerto a tutti, ma tutti non vogliono raggiungere questa dimensione. Però, presto o tardi, la raggiungeranno perché ogni individuo al mondo è Quello. Possono prendersi per qualcos’altro ma sono Quello. Siamo tutti alienati perché crediamo di essere ciò che non siamo.

Per terminare con una nota leggera: dopo Napoleone, ci fu un certo numero di persone che nella loro alienazione, credevano di essere lui. Erano convinte di essere Napoleone, erano pazzi. In questo caso, tutto ciò che possiamo fare è tentare di risvegliarli alla realtà che non sono Napoleone. La conoscenza tradizionale ci dice che noi siamo tutti alienati; siamo identificati con i diversi vasi e ogni vaso è diverso dal seguente. Un Advaitin si rende ben conto di tutta la sofferenza del mondo, ma nello stesso tempo, vede il comico di tutto questo (ridendo) perché ha coscienza che tutte queste persone hanno dimenticato ciò che sono. Qualcuno potrebbe dire: “soffro”; e la risposta potrebbe essere: “no, tu non soffri”; “si, soffro!”. Un altro potrebbe dire:” Sto per morire” e la risposta: “Ma tu non puoi morire, tu sei immortale”. Se questa persona è convinta che sta per morire, che possiamo farci? Tutto ciò che ci resta da fare è di aspettare che prenda coscienza della sua immortalità, che gli è impossibile morire. Quando lasceremo il nostro corpo fisico denso, la maggioranza di noi andrà nella parte inferiore del Taijasa [1]. In termini occidentali, si tratta del piano astrale. Alcuni spiriti materialisti, quando arrivano a questo piano, fanno fatica a realizzare che non sono morti. Dei discepoli fanno il loro lavoro su questo piano per provare a rieducarli e portarli a vedere che non sono morti. Loro ne sono talmente convinti che dicono:” Come posso non essere morto? Sono deceduto. Devo essere morto”. Questa persona non si lascerà andare all’evidenza che esiste, che si esprime e che dunque vive in quest’ altra dimensione. Potemmo dire che la vita che facciamo, sul piano umano, è “una tragicomica a lieto fine”.

D: Quali sono i principali ostacoli a vivere la Verità? Come si superano?
R: Abbiamo già risposto a questa domanda quando abbiamo spiegato che siamo identificati ai gunas. Mentre fate la vostra passeggiata e tentate di ritrovare la vostra visione, dovete verificare voi stessi. “Qual è l’ostacolo che mi trattiene dall’essere Quello? Che veicolo si inserisce tra me e questa Realtà? E’ lo spirito, oppure qualche contenuto psicologico che è in me? Potrebbe essere il mondo delle sensazioni o delle emozioni? Potrebbe essere una idealizzazione, un pensiero? Tutto questo può essere d’ostacolo, ma una volta risolto – perché questi problemi si risolvono – Quello emerge da solo.

In Oriente si da un esempio molto pertinente: immaginate una stanza piena di oggetti così numerosi che potete appena muovervi. L’identificazione ai diversi oggetti non vi permette di vedere la stanza nella sua realtà. Oggi posso identificarmi con la tavola, domani al sistema di riscaldamento, l’indomani a un’altra cosa. Se prendo tutti questi oggetti e li getto fuori, (per “gettarli fuori” intendo, certo, integrare, assimilare tutti questi oggetti), mi ritrovo in una stanza vuota e dunque nello spazio. Io sono questo spazio e questo significa che l’etere all’interno del vaso è della stessa natura che l’etere al di fuori del vaso. Questi esempi o queste analogie possono essere di una grande importanza per la comprensione della Realtà soggiacente ai fenomeni.

D: Circa quattro anni fa ho cominciato, una sera, a ripetermi la frase “Io sono Quello”. E sono stato colpito dal fatto che l’ “io”, per il quale mi prendevo, non aveva niente a che fare con Quello. Prima di questa presa di coscienza, credevo che “l’io”, cioè tutti i concetti corrispondenti a ciò che credevo di essere, stava per diventare Quello con la realizzazione. Ora, in questo istante, ho visto che Quello non aveva niente a che fare con questi concetti. Vedere questo fu molto importante per me.
R: Certo, sicuro, Quello non ha niente a vedere con l’ego, l’io. “Io” è una non-realtà, ma è un errore che tutti fanno.

D: Se viviamo in uno stato di spontaneità totale, continuiamo a controllare gli avvenimenti della nostra vita?
R: Dobbiamo parlare qui della spontaneità dell’etere. In questo caso, solamente, potete mantenere un controllo; allora è l’etere che utilizza il vaso e non il vaso che utilizza l’etere. L’etere è spontaneità, innocenza. E’ la lila, il gioco divino, il gioco d’un bambino. Dobbiamo dunque chiaramente fare la differenza tra la spontaneità che viene dalla reazione istintiva e la spontaneità dell’etere, che è totalmente differente. E’ molto importante fare questa distinzione perché certe persone sono molto impulsive, emotive e per questo spontanee, ma anche capaci di provocare grandi disastri. Dalla posizione di Quello, ciò non può accadere. L’innocenza di cui parliamo è tutt’altra cosa.

D: Potete descrivere la vostra propria natura?
R: E’ esattamente la stessa della vostra. Ciascuno di noi è questo etere che impregna tutto. Non c’è differenza tra Raphael e gli altri. Potrebbe esserci giusto questa differenza: una persona potrebbe essere identificata ad uno dei suoi veicoli o ad una delle esperienze che ha fatto, mentre Raphael ha esaurito e chiuso tutti i registri di esperienze. Si potrebbe dire che Raphael è stato un po’ più intelligente in una incarnazione passata. Ha realizzato di cosa si trattava in tutto questo e ha deciso di non ricaderci più (risa). Questa è l’unica differenza.

Nota
Taijasa: lo stato luminoso, uno dei quattro stati di coscienza del Vedanta. I tre altri sono: il sonno profondo, lo stato di veglia e Turia, il quarto.

Fonte del Post: http://www.sviluppocoscienza.it/Raphael1.htm


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