Riflessioni: Fatto e non-fatto.

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Il Fatto e il Non-fatto.

L’essere umano, spesso, non riesce a cogliere un fatto; accade frequentemente di poter osservare come un fatto venga confuso con la valutazione del fatto che riportiamo. In altre parole, si confonde il fatto con la descrizione del fatto; ma la descrizione non è mai il fatto reale, è semplicemente il nostro vissuto, la nostra esperienza, il nostro giudizio critico nei confronti del fatto in questione. La descrizione, quindi, dipende esclusivamente dalla nostra “visione” delle cose, dal nostro retroterra culturale, ambientale, ideologico, religioso, politico, economico e così via. A seconda delle lenti colorate che montiamo sui nostri occhiali, vedremo le cose in un certo modo, piuttosto che in un altro; ma questa attività non ha nulla a che vedere con il fatto reale, anzi, ci allontana psicologicamente e, a volte anche fisicamente, dal fatto stesso.

E’ facile rendersi conto che, nel caso ci interessi veramente conoscere qualcuno, la cosa migliore da fare è di frequentare quel qualcuno, stare il più spesso possibile in sua compagnia, osservare come si muove, come si relaziona, come comunica, cosa comunica eccetera. Di sicuro, se ce ne allontaniamo e non lo frequentiamo, ci sarà alquanto difficile poter conoscere a fondo, sia quel qualcuno, sia qualunque altra cosa ci interessi conoscere profondamente.
Il fatto non fa eccezione a questa regola. Più ci allontaniamo da un fatto, meno ne cogliamo la natura, le implicazioni, le origini, le conseguenze, gli effetti e la sua eventuale risoluzione.

Un fatto potrebbe anche essere “definito” come una relazione, un rapporto, un contatto, con una o più manifestazioni della Vita. La Vita è relazione, la relazione è contatto e il contatto è un fatto. Detto così, è facile intuire che quanto più ci allontaniamo da un fatto, tanto più ci allontaniamo dalla Vita stessa; non è una presa di coscienza da poco conto.

A questo punto, siamo già in grado di affermare qualcosa: per cogliere un fatto nella sua essenza non ce ne dobbiamo allontanare e l’allontanamento consiste, semplicemente, nel farci un’idea sul fatto in questione; tale idea dipende esclusivamente dal nostro caratteristico condizionamento, che è memoria, tempo, passato. In pratica, se ci facciamo un’opinione su un fatto, quello che in realtà accade è che affrontiamo il fatto, che si verifica sempre nel momento presente, con il nostro condizionamento passato; questo è l’ennesimo conflitto che si produce e, pertanto, ci dobbiamo chiedere come potremo mai affrontare correttamente il presente, se ci relazioniamo con esso a partire dal passato psicologico che ci condiziona.

Ma, allora, che cosa è un fatto?

Un esempio: se apro la finestra e vedo che il sole splende e il cielo è terso mi posso dire che il sole splende e il cielo è senza nuvole, oppure che è una bellissima giornata. Con la prima affermazione sono aderente al fatto, con la seconda no; facile. Se piove, mi posso dire che piove e fermarmi lì, oppure, posso dirmi che è una brutta giornata, che la pioggia mi intristisce; nel primo caso sono aderente al fatto, ma nel secondo no.

Il pensiero, ormai si sa, non è mai neutro e impotente, tutt’altro, quindi il “colore” con cui dipingiamo il fatto avrà una certa conseguenza sulla biochimica del corpo, che altro non sarà che una determinata emozione; tale emozione, con ogni probabilità, ipotecherà il momento presente e, molto spesso, la giornata intera.

Fatto>opinione sul fatto>emozione>qualità del momento.

Come sempre, quindi, è l’attività del pensiero che ci allontana da un fatto, che ci impedisce di coglierlo nella sua reale ed intima essenza; direi che questo è un fatto assodato.

Download  /  By Bob van Aubel

E un non-fatto cos’è?

Un non-fatto è un’idea, un ideale, una teoria, una visione alternativa di ciò che è. E’ qualcosa che non è presente, ma si spera, o si confida, che possa esserlo in futuro. In questo caso sembrerebbe che sia il futuro psicologico ad entrare in ballo, ma non è affatto così; è sempre il passato. Se osserviamo con attenzione lo svolgersi dei processi del pensiero in noi, lo possiamo vedere con chiarezza.

Supponiamo di accorgerci di essere arrabbiati; il fatto è la rabbia, presente ora. La rabbia ci toglie benessere, è motivo di infelicità e scontentezza, quindi ci diciamo che vogliamo raggiungere uno stato, una dimensione di coscienza pacifica; il fatto è la rabbia, il non-fatto è la pace, che, appunto, al momento presente non c’è. Se proiettiamo l’ideale di pace, ci muoviamo nel tempo e questo tempo lo chiamiamo futuro. Ora sono arrabbiato, ma in futuro potrò non esserlo; in altre parole: ora sono così come sono, ma un domani sarò diverso. Essere e divenire psicologico. Ma fino a quando non corrisponderò al mio ideale … cosa o come sarò? Quello che sono ora, che, nel nostro esempio è: arrabbiato.

Consideriamo un altro aspetto: una volta proiettato l’ideale da raggiungere, con ogni probabilità, mi darò da fare, impiegherò energia a profusione, nel tentativo di ottenere la trasformazione che ho concepito. Ma la domanda è: chi è che stabilisce l’obbiettivo, chi è che preme per ottenere una trasformazione, cos’è l’ideale considerato? Tutta attività del pensiero, cioè memoria, tempo, passato, sforzo, divenire, ovverosia conflitto. Punto.

Un altro esempio di non-fatto potrebbe essere il seguente: in questo momento sto bene in salute e sono sereno, ma in passato ho avuto dei malesseri per i quali mi sono dovuto rivolgere a cure mediche; temo che quei malesseri si possano ripresentare. Anche in questa situazione, il meccanismo è sempre lo stesso: acquisisco un fotogramma del passato, lo porto nel presente, lo modifico (cioè ci ricamo su), dopodiché lo proietto nel futuro. Il processo del pensiero è sempre ripetitivo, per la semplicissima ragione che funziona esclusivamente secondo un protocollo standard, sempre identico; questa considerazione è di grande utilità ed efficacia, perché ci consente di non correre dietro ogni pensiero per analizzarlo, cosa perfettamente inutile, considerando anche il fatto che chi analizza il pensiero è sempre il pensiero, ma non lo dà a vedere.

A questo punto, potrebbe nascere la domanda: ma a che cosa serve restare su un fatto e lasciar perdere un non-fatto? In altre parole, cosa me ne faccio nella quotidianità?

Come abbiamo visto, il pensiero non è mai neutro. Interpretare un fatto, quindi, oltre a non farcene cogliere l’essenza, ci può facilmente portare a valutarlo secondo l’unico metro conosciuto dagli uomini e cioè: mi piace o non mi piace? E, a seconda della nostra risposta, sappiamo già cosa potrà accadere: si innescherà una reazione e bruceremo energia vitale per rincorrere o per allontanarci dal fatto in questione.
Se, invece, non investiamo il fatto di contenuti emotivi, cioè del nostro vissuto esperienziale – che altro non è che memoria – potremo restare ad osservarlo, senza farcene condizionare, mantenendoci nel momento presente, senza il conflitto del divenire. A te sembra una cosa da poco? A me no.

Qualcuno potrebbe obiettare che questa è inazione, che se si procede così non cambierà mai nulla, ma ne siamo sicuri?

Una cosa è certa; se le nostre azioni verranno innescate dal giudizio, dalla valutazione, dall’interpretazione di quello che c’è, saranno sempre ed esclusivamente reazioni. Chi valuta è il pensiero, chi giudica è il pensiero, chi interpreta è sempre il pensiero; il pensiero è limitato, frammentario, condizionato, separatore, misuratore, acquisitore, è memoria, conosciuto, tempo al passato. Se è il pensiero che guida l’azione esteriore, questa si innescherà e si muoverà a partire da ciò che già conosciamo, cioè dal passato della memoria, che è statica; ma il presente è sempre “diverso”, è un istante che non ha nulla a che vedere col tempo, è un movimento, una porta sul non-conosciuto. Morire al passato, morire al conosciuto e morire al pensiero, cioè all’”io”, sono la stessa, identica cosa; un’azione che proviene dalla morte della memoria in noi è un’azione che si svolge nel silenzio, in cui non esiste più traccia di tempo, ne’ di attività del sé. Questa è un’azione totale, completa, integra.

A seconda della guida che scegliamo, di conseguenza, avremo un percorso diverso.

Da una parte il pensiero, con tutte le sue rassicurazioni, previsioni, immaginazioni, organizzazioni, attaccamenti, valutazioni, conclusioni e controlli, che ti fa credere di essere indispensabile per ottenere, sia quello che vuoi, sia quello che ti serve per stare al sicuro; dall’altra il silenzio, che è libertà totale dal tempo e dalla memoria, che non cerca mai sicurezza, ne’ convenienza, che non si preoccupa per il futuro che ancora non c’è, che non piange per il passato, che oramai è finito, che non programma nè progetta, ne’ teme alcunchè…

Detto ciò, che guida vogliamo scegliere?
Questa risposta la puoi dare solamente tu.
Grazie.

Con Affetto, Sid… Love*

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