Sulla Consapevolezza.

Terra x Blog + Nero 2015

Consapevolezza.

“Dimora nella pura Consapevolezza e osserva come l’Energia sia in continuo movimento. La Consapevolezza e’ la Suprema Sorgente”.

Condizionamenti:

Se poni domande del tipo – come si fa ad essere consapevoli? – evidentemente è scoccata in te una qualche scintilla, un campanellino, o come minimo un dubbio. Ebbene, questo è l’inizio della consapevolezza. Cioè il chiedersi se il percepito corrisponda davvero alla realtà, ovvero se non sussista un qualche tipo di condizionamento che corrode o deforma i nostri giudizi. Ne segue che, prima di chiedersi come diventare più consapevoli, ci si dovrebbe interrogare se siamo davvero liberi (spiritualmente) o se subiamo passivamente, come banali recipienti, utili solo a reagire, all’occorrenza, secondo canoni prestabiliti e predefiniti.

Se vuoi cominciare ad essere consapevole, dovresti iniziare a dubitare in modo costruttivo su quanto senti, leggi, percepisci, in modo da cercare di discernere il vero dal falso, il giusto dall’ingiusto, il bello dal brutto, il buono dal cattivo, ed andare al di là di questo dualismo. Tuttavia spiegarlo dettagliatamente sarebbe troppo, non si tratta di formule predefinite.

Presenza (di spirito) :

Consideriamo gli stati di coscienza. In genere pensiamo subito alla “veglia”, al “sogno”, e al “sonno profondo” senza sogni. Ma ce n’è un quarto, “Turiya”, uno stato al di là del sonno, come del sogno, quanto della veglia ordinaria. Turiya, lo stato di consapevolezza.

Consapevolezza è il quarto stato, totale presenza di spirito, una qualità dell’attenzione tale da comprendere la situazione nei dettagli, secondo i suoi risvolti più intimi, sottili.

La consapevolezza è come una freccia a due punte. Nel momento stesso in cui ci rivolgiamo diligentemente all’esterno, diveniamo coscienti di noi stessi. Viceversa, se osserviamo noi stessi, i nostri pensieri più intimi – secondo un processo di autoconoscenza che indaga le cause e ne rileva, senza congetturare alcunché, gli effetti – diverremo capaci di comprendere meglio il mondo esterno, tutto ciò che a prima vista sembra altro da noi, estrinseco.

Iniziamo dalla circostanza più ovvia, il nostro modo di rapportarci all’ambiente, la cura che gli dedichiamo. Prefiggersi una retta attenzione è sicuramente vitale. Tuttavia non si tratta di un imperativo. Dei brevi periodi di distrazione sono quasi scontati. Le reazioni meccaniche sono sempre in agguato. Ma qualcosa dentro di noi tenta di richiamarci discretamente alla realtà, al presente! Nel momento stesso in cui ci accorgiamo di essere stati distratti, abbiamo come un sussulto d’orgoglio che ci riporta rapidamente indietro, verso noi stessi. La nuova qualità dell’attenzione che quindi subentra è più viva: un lieve stato di concentrazione che taluni definiscono “presenza di spirito”, la chiave di volta della consapevolezza. Chiaramente, se svolgiamo le nostre mansioni con gioia l’interesse rende tutto più semplice.

Distrazioni:

 Considera le distrazioni come occasioni per ridiventare più attento. Quando procedi in modo ipnotico o semi-addormentato, lì per lì non te ne rendi conto. Ma se t’avvedi d’esser stato svagato, o sventato, allora è un buon punto di ripartenza verso la consapevolezza.

Proseguiamo valutando la dimensione interiore. Un semplice spunto. Considera i pensieri come le increspature superficiali di un laghetto, causate, ad esempio, dalla caduta di un sasso che provoca delle lievi onde concentriche. Se ti fermi ad osservare la mente-specchio lacustre, ovvero i pensieri-onde, ti accorgerai che il tutto si placherà da sé, senza sforzo, ma solo pazientando appena pochi minuti.

Tale approccio è relativamente utile per poter guardare dentro di sé, più in profondità. Eppure non tutti sopportano questa pur semplice indagine. Talvolta capita di dover affrontare il riemergere di tante situazioni represse nel tempo, con il risultato che, invece di calmarsi e veder lenita la propria sofferenza esistenziale, ci si ritrova in una situazione di ancor maggiore disagio.

Una via d’uscita consiste nel rendersi conto direttamente del proprio stato naturale, cioè una consapevolezza così immediata, subitanea e puntuale da riuscire a vedere che – è solo un esempio – cielo e terra non sono affatto separati; dentro e fuori di noi esistono già tutte le risorse per attualizzare le nostre potenzialità.

Identità:

Mi sembra, quindi, evidente come la consapevolezza non sia un punto fermo, un obbiettivo, una meta, bensì un viaggio ininterrotto verso se stessi. Ma chi siamo davvero? Ecco, la nostra vera identità non è l’insieme degli atti compiuti nel passato, ovvero i condizionamenti subiti, ecc. Qualunque identità è solo un’interfaccia tra ciò che siamo realmente – qual’é il fine della meditazione se non realizzare la propria vera natura? – e un’interminabile serie di apparenze.

Dicevo prima, la consapevolezza è una freccia a due punte. Da una parte ci aiuta nell’efficienza, cioè nella vita pratica, dall’altra e in maniera molto sottile ci sospinge verso noi stessi. Non serve liberarsi dalle identità, sarebbe solo un gioco interminabile. Le identità sono fittizie e cadranno da sole, allorquando riusciremo ad avvicinarci anche alla nostra interiorità e quindi a tendere verso la completezza. Quel riflusso di sogno che, straripando, distorce perfino le constatazioni più semplici, svanirà gradualmente.

La consapevolezza non è un dato di fatto, ma un processo e per giunta discontinuo. Non esiste un punto d’arrivo, ma solo il fluire, non esiste la corsa, ma semplicemente il correre, e non c’è nemmeno la meditazione, ma solo il meditare. Il segreto? Qui e ora, passato, presente e futuro si dispiegano all’unisono. Qui e ora, finanche la coscienza perde le sue caratteristiche più abituali e diventa simile ad un flusso di energia.

Felicità:

Compiuta consapevolezza è già, di per sé, piena felicità. Anzi, l’unico modo per essere prevalentemente e spontaneamente gioiosi è adoperarsi consapevolmente …

Mi chiedo, se nel vasto mondo di cui abbiamo oramai, seppur in modo alquanto indiretto, ampie e puntuali conoscenze, come nel proprio minuscolo cantuccio esistenziale, c’è così tanta sofferenza, perché adoperarsi per divenirne consapevoli? Non sarebbe meglio ricercar prontamente e con maggior dedizione, una qualche forma di oculata felicità?

Il problema è che se cerchi la felicità, o meglio la gioia, essa ti sfugge, perché l’atto stesso di ricercarla ti decentra da te stesso, spostandoti all’esterno verso il piacere effimero e contingente che inebria, ma è temporaneo, transuente.

Consapevolezza di te stesso, sì, delle tue azioni, di ciò che sei e non sei, di quanto hai realizzato o desideri ottenere. Gioco, un gioco che rilassa, non t’impegna per vincere, ma partecipare e ti dona un’energia che scaturisce dalla tua interiorità più profonda. Dapprima ne intravedi pallidi bagliori, poi la percepisci a tratti ed infine la vivi come se tu stesso fossi quella gioia. Ed è questo l’ultimo ostacolo. Quando ci sei tu non c’è la gioia, quando c’è la gioia tu, cioè il tuo ego, non ci sei.

Gioia è iniziare a condividere. Aiutare gli altri, senza attendersi alcunché in cambio. Gioia è pregare o meditare per ringraziare. E se non v’è apparentemente nulla per cui ringraziare, allora gioia è anche il solo respirare. ….

Moralità:

Consapevolezza è agire di conseguenza. Altrimenti sarebbe solo come se fossimo belli, ma parecchio bisunti, svegli, ma oltremodo ubriachi …

Chi è davvero consapevole non può arrecar volutamente danno. Se lo fa, oppure ha bisogno di regole, significa che è addormentato. Il vero distinguo, la vera bussola morale dei cosiddetti valori spirituali dovrebbe essere la consapevolezza.

Se sono consapevole non faccio guerre e se qualcuno minaccia davvero la collettività in cui vivo, allora non ci penso su due volte e reagisco senza teorizzare o giustificarmi di nulla. Se adduco eccessive ragioni sto solo subdolando un misfatto.

Se sono consapevole riconosco la menzogna di primo acchito, anche se proclamata da qualche pulpito.

Se sono consapevole non riesco a rubare, a mentire, ecc., perché in tal caso saprei benissimo che ruberei o mentirei a me stesso.

Tuttavia è difficile, se non impossibile, che le autorità religiose istituzionali dicano espressamente alla gente di svegliarsi, prestare attenzione, sforzarsi di essere consapevoli. Perché se la gente si svegliasse davvero non valuterebbe più solo secondo i propri tornaconti, ma saprebbe che se tu, amico mio carissimo, soffri, allora soffro anch’io; se non hai lavoro, non ce l’ho nemmeno io; se non hai una casa allora anch’io ne sono privo, non v’è nulla che possa ripararmi davvero; se non hai da mangiare sarò sempre interiormente affamato e non ci sarà mai e poi mai nulla che riuscirà a soddisfarmi sul serio.

Allora ricercherò delle regole che riescano a compensare questa terribile carenza. Per supplire alla mia mancanza di compassione. Queste regole le chiamerò strumenti etici, dispositivi morali, i quali serviranno solo a coprire l’immensa e comodissima ipocrisia in cui mi piace vivere.

Non so se mi spiego, consapevolezza! Naturalmente tieni ben presente che la libertà promossa dalla consapevolezza richiede sempre maggior responsabilità.

Epilogo:

Chi siamo, consapevolezza senza limiti? Confinati temporaneamente in quest’aggregato impermanente. Oppure il sogno di un dio giocherellone? Ma perché tanti dubbi? La realtà non è sufficiente? La realtà è così spirituale che il mio unico dubbio riguarda la materia, la materia in quanto tale.

Il vascello è pronto. Ci sono persone meravigliose disposte ad ascoltarti. Il biglietto ha un solo prezzo. Osserva, leggi, ma infine segui, soprattutto, la consapevolezza. La medesima che dapprincipio ritenevi esser tua, ma che alla fin fine si rivela come la consapevolezza del cosmo intero … la consapevolezza è la Suprema Sorgente …

Pensiero e Consapevolezza

Il pensiero sta alle nuvole come la Consapevolezza sta al cielo. Un’altra buona metafora è quella dello specchio: i riflessi sono i pensieri, la dimensione immutabile, lo specchio, invece, è la Consapevolezza.

La Consapevolezza contiene e riflette il pensiero, ma non lo è, mai. E’ lo sfondo immacolato, il cielo puro.

Quindi i pensieri, qualunque essi siano, non sono la Consapevolezza. Il pensiero è nel tempo, nel moto, nel divenire … la Consapevolezza è senza tempo, eterna, immobile, è Silenzio …

Come si “realizza” ciò? Meditando, contemplando …

Non c’è un “oltre” il pensiero, ma ci sono solo due dimensioni differenti, simultanee e complementari.

C’è una dimensione, specchio “vacuo”, che è la Consapevolezza in sé, impersonale, senza oggetti; e un’altra che sono i pensieri riflessi, gli oggetti che appaiono in esso.

I pensieri riflessi non sono altro che la mente.

Senza i riflessi lo specchio è “vuoto” e non ha possibilità di avere “Consapevolezza di Sé”, di avere autocoscienza. Senza gli oggetti il vuoto non può auto-riconoscersi.

La divisione – tra i pensieri in quanto riflessi dello specchio e la consapevolezza in quanto cielo limpido scevro da pensieri – che ascriviamo ai processi della coscienza è solo strumentale, concettuale, una metafora, perché in realtà queste dimensioni sono un tutt’Uno, indivisibile.

L’una, i pensieri… la mente, sono il manifesto, l’Essere; l’altra, la Consapevolezza è il non manifesto, il non Essere.

Questo gioco che avviene nella coscienza è il grande paradosso, il miracolo naturale, che crea le dinamiche esistenziali negli individui senzienti; una danza tra la veglia e il sonno, la vita e la morte.

Praj

Fonte del Post: http://www.meditare.it/contents/consapevolezza.htm

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