William Patrick Patterson: La questione della verità.

La questione della verità.

La questione della verità… è una questione? Veramente?

La verità non è, per la maggior parte di noi, di vivere, cioè di pensare, sentire, agire, la risposta che abbiamo accettato riguardo alla vita, ciò che essa è e come dovrebbe essere vissuta?

Molte persone, in particolare i giovani, non attraversano la vita pieni di domande e nell’errore? Non sono inconsciamente orientati da quella che credono essere la verità? In altre parole, non riconoscendo ancora la verità che vivono, questa non si basa, molto semplicemente, su una interpretazione di azioni passate, dettate anch’esse da un condizionamento anteriore?

Qualsiasi sia la loro età, certi, che credono di conoscere la Verità della loro verità, desiderano o sono spinti a condividerla con altri. Quelli che si considerano religiosi, atei o agnostici, vivono la loro verità come se fosse la Verità. Si riferiscono a quella, per giudicare la loro vita e quella degli altri.

L’estremismo e il militarismo sono una possibilità intrinseca, data la dualità in cui si trovano quelli che accettano la Verità in questione, come quelli che la rifiutano.

In un momento d’estasi, un giorno, furono riunificati in un’unità, tanto che allora poterono dire “si” con entusiasmo alla Verità che gli si era rivelata. Quel momento d’estasi è scomparso e resta loro da vivere in un mondo di tentazioni a cui devono dire no, e ancora no.

E’ la paura dell’ipocrisia, quella di non accordare la loro vita ai loro discorsi, che è all’origine delle loro proiezioni? O la loro collera nei confronti di quelli che non accettano la loro verità? Più ancora, il fatto d’essere visti come chi incarna la tentazione? La guerra interiore non essendo che un riflesso di quella esteriore? La guerra interiore essendo inconsciamente proiettata all’esterno, si accetta provvisoriamente quella guerra, si affronta o ci si ritira.

Lasciamo da parte un momento la questione della differenza tra Verità e verità e poniamoci una domanda che porta maggior apertura, ma anche più pericolosa, sapere cos’è la verità. Non la Verità, ma la verità.

La verità non è quella a cui crediamo ogni momento? Perché in questo preciso istante noi incarniamo questa verità. La sentiamo e la esprimiamo agli altri e a noi stessi. Nella misura in cui la verità è unica per ciascuno (in funzione del tipo umano, della sua polarità, della sua esperienza e di altre influenze), ci si deve sorprendere della discordia delle persone?

Le verità non sono solo individuali, sono anche fondate su quelle della famiglia, del gruppo, della tribù e, più tardi, della nazione. Allora è così sorprendente aspirare senza posa alla pace e all’armonia?

Alla fine, la discussione essenziale non porta tanto su ciò che è la verità e a come conoscerla, ma sull’ottenere la pace e l’armonia.

La verità non sarebbe altro per noi che il mezzo per arrivarci. Se il nostro interesse per la Verità non fa che nascondere il nostro desiderio di pace e d’armonia (come lo sa la maggioranza dei dittatori e dei fanatici ), ci apriamo a una quantità di falsi consigli e di altre promesse menzognere.

Detto questo, constatiamo che la differenza tra verità e Verità costituisce il soggetto fondamentale dei filosofi e degli scienziati, queste famose macchine per pensare, macchine cerebrali che lottano con quell’argomento dal sorgere della prima domanda: “Perché?”.

L’ingegnosità dei movimenti dei nostri filosofi e le sottigliezze delle scoperte scientifiche importano purtroppo poco, perché il sorgere di un movimento e di una nuova scoperta scientifica contradditoria non tarda ad apparire. La Verità pare essere un bersaglio che si muove.

La verità, come ci è data dalla Chiesa, è fissa; essa non è più in movimento – è la sua attrattiva principale. Perché il punto centrale della religione non è la Verità Razionale dei filosofi e degli scienziati, ma la Verità Rivelata, cioè la rivelazione mistica.

Quelli di noi che sono identificati con lo spirito razionale non si sorprendono per il giudizio dato a quel tipo di rivelazione, considerata non come sovrarazionale, ma come irrazionale. Ebbene, resterà sempre così finché ci limiteremo al punto di vista della Verità Razionale.

La Verità Rivelata, che per definizione non è soggetta alle prove razionali, è stata, attraverso gli anni, un polo d’attrazione per i fantasiosi, i superstiziosi, i pazzi, i megalomani. Essa risponde a una fame, a un bisogno di compimento, di lasciare l’incertezza, per il mondo della Verità sempre stabile.

E tutte le domande sulla verità non si cancellano di fronte a chi continua il funzionamento meccanico e incosciente della sua vanità e del suo amor proprio?

Come esempio rivelatore prendiamo il soggetto dell’anima. Per molti non si tratta di una questione. Vivono nel postulato che hanno un’anima. La questione è, perciò, di purificarla, di non perderla ecc. E se non avessimo l’anima? All’origine, nell’Egitto antico, solo il faraone si considerava che possedesse un’anima. Poi, passando il tempo, solo i nobili la possedevano. Oggi, tutti ne hanno una.

C’è una terza situazione, tra quella di avere un’anima e quella di non averla? In altre parole, se ne può creare una? E se si, come?

Ma questo ci porta lontano dalla questione della verità.

Dunque ritorniamo al punto che abbiamo lasciato: il Rivelato e il Razionale. E’ possibile che questi due modi si siano scontrati all’epoca in cui gli esseri umani cominciarono a sperimentare e a pensare la loro esperienza. Se il modo razionale di dialogo è una guerra mentale, il modo rivelato è spesso un’espressione emozionale e viscerale e può degenerare in scissione, odio, o in guerra totale.

Così è il quadro storico e sociale in seno al quale è posta la questione originale. Se il lettore ha fin qui seguito, possiamo dirigerci verso il luogo dove siamo tutti, cioè la persona. Così facendo, utilizzeremo il Razionale per andare verso il Rivelato e, forse, dimostreremo provvisoriamente che non partecipano delle due differenti realtà, ma di una sola.

In gioventù, momento dove si vive nella confusione, all’epoca in cui il suo mondo di sogno personale era improvvisamente naufragato, senza prospettive d’avvenire, l’autore scrisse a uno straniero. Questo distribuiva il suo denaro a piene mani ai passanti. La lettera gli domandava una sovvenzione per andare in India a studiare “la vita e la morte sul Gange”. Ma se il denaro era reale, il personaggio non lo era. Era fuggito da un manicomio (le informazioni non dicono se aveva beneficiato troppo o troppo poco del Razionale o del Rivelato ).

Settimane più tardi, arrivò una lettera con la dicitura “non consegnata”. Leggendo la lettera, il suo redattore vide che le parole erano scritte perfettamente e sensate, invece le premesse erano irreali. Vedendo questo, poi vedendo la propria firma al fondo della lettera, ricevette uno choc che arrestò la sua mente, lasciando una calma profonda. Ciò che gli risuonò come un colpo in pieno viso erano le questioni di cui aveva discusso intellettualmente, ma che non aveva mai sperimentato intellettualmente – emotivamente – istintivamente. Chi era? Chi aveva scritto quella lettera?

Fu una questione Rivelata, non Razionale. Il redattore della lettera viveva, come la maggioranza, senza saperlo, nel Razionale. Inconsciamente, la morte del suo sogno lo lasciò in un vuoto psicologico, una specie di nulla personale. La vista della firma, una firma che non era lui, fece nascere istantaneamente una domanda, che venne a scontrarsi con la pagina bianca della sua mente. Il suo centro intellettuale ricevette uno choc: chi era questo? La forza dello choc fu tale che fu inghiottito anche il centro emozionale.

Sono citati i centri perché, in seguito, il nostro redattore, diventato ricercatore di verità, entrò in un insegnamento esoterico, le cui pratiche fondamentali mirano subito a verificare razionalmente i fondamenti del detto insegnamento. Uno di questi fondamenti era la costruzione dell’essere umano in tre centri: l’intelletto o il razionale, l’emozionale o il sentimento, e l’istintivo – sessuale.

A quell’esame, il ricercatore osservò il funzionamento e il disfunzionamento di ognuno dei centri, ma constatò anche che ciascuno di loro aveva la propria personalità. Un centro desidera, un altro no. Conflitto interiore. “Si” e “no” all’infinito, finché uno dei due si estingue, o fino a che uno choc non fa pendere la bilancia.

L’osservazione, quando fu spinta più lontano, mostrò che non solo ogni centro aveva una personalità propria, ma aveva anche le proprie verità e le proprie credenze, cioè il “me”, che tutti credono essere l’unico me e prendono di volta in volta la direzione dell’entità corpo – cuore – pensiero.

Ciò che prendiamo comunemente di noi stessi come uno, ed è conosciuto così, è una verità sociale. Ma l’indagine condotta dal ricercatore, che si basava sulle pratiche del ricordo di sé e dell’osservazione di sé, condotta nel giusto modo, lo portò ad ammettere che non era l’Io indivisibile, l’Io che credeva di essere; al contrario, egli era multiplo.

L’osservazione rivelò che ogni “io del momento” è una viva incarnazione della sua verità di quel momento, determinata dallo choc esterno e interno dato dalla realtà fisica. La scoperta più radicale fatta a questo punto era che non solo non siamo ciò che crediamo di essere, ma che non abbiamo il corpo. In altri termini, non c’è nessuna coscienza risvegliata del corpo.

Noi viviamo nella testa, in un mondo mentale e non diveniamo coscienti del corpo che per il bisogno di nutrirci, di bere, per il desiderio o la paura. Passiamo la vita ad ascoltare le voci nella nostra testa, che ci danno la loro verità del momento. Prendiamo ciascuna di quelle voci, che sono instabili, con il loro programma, per noi stessi, per quello che siamo.

Divenire coscienti del corpo significa che dovremmo spegnere la “radio“, riorientando la nostra attenzione nel corpo. Questa redistribuzione dell’attenzione rende chiara la testa e, allora, possiamo osservare la verità del momento, cioè si manifesta quell’io, o, più tardi, un’impressione diretta, pura, dell’Immediato.

Come molti ricercatori seri, il nostro, guidato dal suo insegnante (perché nessuno eccetto i geni spirituali, si può risvegliare senza guida), dopo molti anni di pratica e domande, giunse a sperimentare direttamente che ciò che è preso per il nostro sé ordinario, o la vita ordinaria, non è più così ordinario. Si produce una transizione. Il tempo psicologico si ferma. Appaiono la calma e lo spazio. Le impressioni, una volta statiche, divengono dinamiche, dimensionali. L’Immediato si offre; il mondo fisico diventa metafisico.

L’interpretazione dell’esperienza vissuta può essere simbolica, mitologica o archetipica. Può anche passare alla discussione sulla stessa pratica, chiedendosi cos’è il sé nel ricordo di sé. Ci si risveglia a livelli di pregiudizio, d’identificazione, di sonno, sempre più nascosti nella psiche, tutti centrati attorno a ciò che si dice il “me”, quello che si prende per il “sé”.

La Coscienza è scoperta nel riconoscimento vivente dell’unità nella pluralità. E’ possibile, perfino, andare fino al punto in cui si ha la percezione senza chi percepisce. O, come dicono alcuni, coscienza senza oggetto (sottinteso che l’assenza di oggetto significa assenza di soggetto).

Abbiamo dunque tracciato il cerchio nella sua totalità, un cerchio che lega il Razionale al Rivelato. Disponendo di una considerevole scala, dal basso all’alto, è un’esperienza in marcia.

E’ la verità? Chi fa la domanda?

William Patrick Patterson

Tratto da: 3ème Millénaire n. 81 – Traduzione della dr.ssa Luciana Scalabrini.

Fonte: http://www.sviluppocoscienza.it/Patterson.htm

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