Alan Watts: Essere spontanei.

Perché è così difficile essere spontanei.

Possiamo osservare la libertà e la naturalezza dello zen nella sua reale cornice. Il condizionamento sociale favorisce l‘identificazione della mente con un’idea fissa di sé come mezzo di auto-disciplina e, di conseguenza, l’uomo pensa di sé quale “io”, l’ego.

Per questa ragione, il centro mentale di gravità si sposta dalla mente spontanea o originale all’immagine dell’ego. Una volta che ciò sia accaduto, il vero centro della nostra vita psichica è identificato con il meccanismo di autocontrollo. Diviene allora quasi impossibile vedere come “io” possa allentare la “mia” tensione, dato che io risulto essere precisamente il mio sforzo abituale di mantenere il dominio su di me.

Mi trovo completamente incapace di una qualsiasi azione mentale che non sia intenzionale, affettata, insincera. Perciò, qualunque cosa faccia per abbandonarmi, per rilassarmi, sarà una forma travestita dello sforzo abituale di tenermi controllato. Non mi è possibile essere intenzionalmente non intenzionale o di proposito spontaneo.

Non appena diviene importante per me essere spontaneo, l’intenzione di essere cosi si rafforza; non mi riesce di sbarazzarmene e tuttavia è la sola cosa che si avvera da sola. È come se qualcuno mi avesse dato una medicina, con l’avvertimento che non agirà sul mio organismo se, prendendola, penserò a una scimmia.

Mentre sono lì a ricordarmi di dimenticare la scimmia, mi trovo in una situazione di “doppio legame”, in cui il “fare” equivale al “non fare” e viceversa. “Sì” implica “no”, e “via” implica “alt”. A questo punto lo zen interviene e mi chiede: “Se non puoi evitare di ricordare la scimmia, lo fai di proposito?” In altre parole, ho intenzione di essere intenzionale, ho il proposito di essere munito di propositi?

D’improvviso io capisco con lucida chiarezza che il mio vero intendimento è spontaneo, ovvero che la mia azione di controllare me stesso – l’ego – scaturisce dal mio io non controllato e naturale. Nel medesimo istante, tutte le macchinazioni dell’ego si riducono a zero: esso rimane annientato nella sua stessa trappola.

Io constato che è, in effetti, impossibile non essere spontaneo. Poiché ciò che non posso evitare di fare lo sto facendo con spontaneità, ma se al tempo stesso cerco di controllarlo, lo interpreto come una costrizione. Come disse un maestro zen: “A questo punto non ti resta altro che farti una bella risata”.

Succede allora che l’intero carattere della coscienza è mutato e mi sento in un mondo nuovo, nel quale tuttavia è chiaro che sono sempre vissuto. Non appena riconosco che la mia azione, volontaria e intenzionale, avviene spontaneamente, “di per sé”, proprio come il respirare, l’udire e il sentire, non sono più imprigionato nella contraddizione del tentativo di essere spontaneo.

Non v’è vera contraddizione, giacché il “tentare” è “spontaneità”. Rendendomi conto di questo, la sensazione di costrizione, di impedimento, di arresto svanisce. E’ proprio come se mi fossi accanito in una gara di forza fra le mie due mani, dimenticandomi che entrambe mi appartenevano.

Non rimangono più ostacoli alla spontaneità, quando ogni tentativo è riconosciuto come inutile. Come si vede, la scoperta che gli aspetti sia volontari che involontari della mente sono del pari spontanei, cagiona la fine immediata del dualismo fisso tra la mente e il mondo, fra il conoscente e il conosciuto.

Il nuovo mondo in cui mi ritrovo possiede una straordinaria trasparenza, o assenza di barriere, cosicché io stesso mi sento diventato lo spazio vuoto nel quale ogni cosa avviene.

Tratto da: “La via dello zen”, di Alan Watts 

Fonte: https://zeninthecity.org/letture/autori-vari/alan-watts-perche-e-cosi-difficile-essere-spontanei/

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