È quasi ridicolo chiedere «Perché meditare?»
“Non esiste un sé (soggetto) separato che possa fare o non fare cosa alcuna in merito a questo problema [delle questioni e domande che nascono dalla nostra realtà illusoria]. Così può apparire evidente che se non c’è un io soggettivato ad essere perplesso, la corrente dell’esperienza può semplicemente fluire da se stessa, senza ostacoli.
Da questa consapevolezza il verso:
Le montagne blu sono da se stesse montagne blu.
Le bianche nubi sono da se stesse bianche nubi.
Questo fluire ininterrotto è il Tao, la via o il corso della natura […] – un fluire della vita non forzato e non bloccato: spontaneo. […]
Di regola, i mistici e i guru che non stanno più cercando nessun attingimento, continuano a praticare quelle che sembrano essere pratiche formali di meditazione. I vari Buddha e Bodhisattva sono in genere raffigurati nella posizione di meditare in padmasana (la posizione del loto) come un novizio qualsiasi […]. È quasi ridicolo chiedere: «Perché meditare?», come se uno (meditando) deviasse dal proprio cammino per fare qualche cosa di bizzarro […]. Perché guardare le stelle o guardare le nubi? Perché veleggiare senza destinazione? Nulla è veramente spiegato dalla sua causa o dalla sua motivazione, perché noi troviamo solo cause dopo cause, finché non possiamo più inseguirle. È come un bambino che chieda: «Perché?! Perché?! Perché?! …» finché suo padre, come un maestro Zen, non gli dica: «Taci!, succhia il tuo lecca-lecca».
Così la contemplazione [cioè la meditazione], in quanto «esercizio» particolare fatto in modo formale, è semplicemente il godimento rituale di quella basilare consapevolezza di ciò che sta accadendo ora, e che continua sempre di momento in momento. […] Il bene della contemplazione è la contemplazione stessa, non un qualche risultato futuro che da essa possa derivare”.
Tratto da: “L’arte della contemplazione”, di Alan W. Watts.
Fonte del Post: http://www.meditare.net/wp/meditazione/e-quasi-ridicolo-chiedere-perche-meditare-alan-w-watts/