Arnaud Desjardins: Osate Vivere. 3 di 3

Arnaud Desjardins: Osate Vivere. 3 di 3

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Avere paura della forza della vita, dello slancio vitale, anche se quello slancio vitale ci ha messo in difficoltà quando eravamo bambini o adolescenti, rappresenta un sacrilegio. E’ un atto blasfemo, è il rifiuto di Dio stesso. Che lo vogliamo o no, Dio si esprime attraverso questo mondo così com’è.

Nella Genesi viene detto qualcosa di inammissibile, se non ci riflettiamo più profondamente: “Dio vide che la sua Creazione era buona”. Ma guardatela la sua Creazione, in cui gli animali più grandi mangiano quelli più piccoli, in cui la siccità rovina i raccolti, in cui i terremoti distruggono popolazioni intere, in cui gli esseri umani sono incapaci di amarsi, in cui i genitori mutilano i loro bambini credendo di educarli e tutte le sofferenze che comportano la guerra e le rivoluzioni.

“Dio vide che la sua Creazione era buona”. Infatti, se accettiamo la totalità della creazione, vedremo che essa ha un senso al di là di ciò che ci colpisce, di ciò che ci scandalizza, al di là delle contraddizioni e degli opposti.

Per noi, la prima applicazione di questa verità, “Dio vide che la sua Creazione era buona”, è che dobbiamo accettarci completamente e nella nostra totalità in quanto creature, vale a dire creazioni o espressioni di Dio o dell’energia di Dio, come dice con insistenza la Chiesa ortodossa.

Lo yin e lo yang, il giorno e la notte, il sole e la pioggia, il caldo e il freddo, tutto è in noi, ed è soltanto accettandoci nella nostra totalità che possiamo raggiungere ciò di cui la shakti è espressione, vale a dire l’illuminazione, l’amore, l’invulnerabilità, la pace, l’infinito. Quante parole per una realtà che desiderate e che vi è promessa!

Non potete raggiungere il Non-Manifestato se non passando per il manifestato. Non potete raggiungere l’atman se non passando per la shakti, l’energia e la pienezza di questa energia. Se guardate bene, vedete innanzi tutto come questa energia sia composta di contraddizioni: costruzione e distruzione, nascita e morte, ciò che si definisce dualità. E questa energia prende la forma tanto di ciò che vi hanno insegnato a riconoscere come bene in voi, quanto di ciò che vi hanno insegnato a riconoscere come male: certi desideri, certi pensieri, certi fantasmi, certe pulsioni.

Così si esprime in pensieri che vi ossessionano e vi torturano e in stati dello spirito completamente felici e ottimisti. Si manifesta come dilatazione del cuore e come angoscia, vale a dire in forme opposte. E arrivo ora al punto essenziale che ci permetterà di passare dal livello ordinario a quello superiore, ciò che può essere scoperto è questa energia alla sua sorgente, in quanto forza di vita al di là, o piuttosto al di qua, del gioco dei contrari.

Potete sentire in voi, prendere coscienza in voi della potenza di questa energia, unicamente come energia positiva. Un positivo assoluto, di fronte al quale non si erge alcun negativo, mi aveva detto un giorno Swamiji. Alla sua fonte, quell’energia in noi, atmashakti, è soltanto una forza d’espressione, prima che si possa dire se si ricolleghi a Brahma, l’aspetto creativo, o a Shiva, l’aspetto distruttivo della manifestazione universale.

Di solito, voi non avete esperienza in voi e fuori di voi che di ‘coppie di opposti’: buono-cattivo, gradevole-sgradevole, bello-brutto, bene-male, successo-insuccesso. Sino a quando rimarrete prigionieri del mondo della dualità, sarete asserviti al desiderio del loro aspetto felice e alla paura del loro aspetto doloroso. E’ un vicolo cieco.

E’ necessario elevarsi su un altro piano. E per trovare l’Ultimo, il riposo nella luce, la calma di un lago senza increspature, l’oceano che si manifesta nelle onde, il cammino consiste nella scoperta dell’energia nella sua forma non ancora divisa in polarità contrarie e non ancora specializzate: unicamente la potenza della vita.

Ci tengo a ripeterlo, la vita è unicamente positiva. E’ la sua espressione che prende la forma della creazione e della distruzione e noi, noi rimaniamo prigionieri di quel livello. La Vita è immortale, la Vita è eterna, la Vita è infinita. E’ la vostra vita in voi, perché voi non ne conoscete se non la superficie, che vi sembra inesorabilmente condannata alle opposizioni.

Ma se non avete più paura di voi stessi, se non vi fermate a qualche idea di generosità o di padronanza di sé, che è giusta se è ben compresa, ma che può essere il punto d’appoggio della nostra ipocrisia nei confronti di noi stessi; se voi siete fedeli a voi stessi, per quello che siete ogni giorno, potete scoprire in voi la vita non duale, la scomparsa dei contrari (le dvanda, come si dice in sanscrito, sulle quali insiste tanto la Bhagavad Gita).

Questa non-dualità, questa riconciliazione armoniosa dei contrari nel diagramma dello yin e dello yang abbracciati in un cerchio, questa trascendenza degli opposti, non si realizza soltanto a livello dell’Assoluto, del Non-Manifestato, del Vuoto (shunyata). Si rivela anche a livello della vita, della forza della manifestazione, dell’energia. E’ questa che può salvarvi: E’ questa che potete scoprire innanzi tutto ed è a questo livello che potete stabilirvi innanzi tutto.

Non potete stabilirvi nel grande silenzio del nirvana se non avete prima messo radici a livello dell’energia fondamentale non ancora divisa in polarità contrarie. Non cercate unicamente nella meditazione uno stato sopracosciente, distaccato da tutto, anche se questo stato è reale e sarà un giorno lo sfondo della vostra esistenza, quali che siano le vicissitudini. Non raggiungerete mai ciò che giustamente desiderate, se rifiutate ciò che ne è espressione, vale a dire la shakti in voi, la potenza quasi spaventosa della vita che vi anima.

E’ vero che certe forme di meditazione possono condurre a quella prima tappa, nella fattispecie ogni approccio divulgato in Occidente da Karlfried von Dürckheim e che io ho approfondito, non soltanto accanto ai maestri giapponesi, ma anche accanto agli yogi tibetani e che consiste nel riscoprire la forza della vita nel bacino, nel ventre, nello hara, attraverso la respirazione e soprattutto l’espirazione.

E’ una forma di meditazione preziosa, ma non si tratta di cercare direttamente l’atman, l’assoluto, bensì di cercare, in primo luogo, la potenza della vita in noi, in uno stato non conflittuale, non diviso. E la potete scoprire più facilmente di quanto non possiate realizzare l’atman che ne è la fonte.

E’ anche la chiave dello yoga: rifare in senso inverso il cammino della manifestazione, andare dal più grossolano al più sottile, dalla molteplicità all’unità. La ‘Manifestazione’ è un’espressione dell’energia, quindi noi risaliamo in noi stessi il cammino dell’energia. E avvertiamo nella meditazione in primo luogo un’impressione di forza, di potenza, di vitalità non conflittuale, prima di ogni divisione in positivo-negativo, creazione-distruzione e in tutti i contrari.

Il più alto stato di coscienza che ci sia possibile raggiungere consiste nell’essere stabili in questo stato di non-dualità, di non-contraddizione, che si può chiamare l’Inalterabile, l’Indistruttibile, in cui in effetti ogni questione di morte non si pone più e che paragono a mia volta allo schermo del cinema sul quale si proietta un film, Shiva in meditazione e non più Shiva che danza.

Ma, per stabilizzarvi permanentemente a questo livello, dovete ripercorrere all’inverso il cammino della manifestazione, per tornare al non-manifesto, dal momento che questo livello sottende tutte le peripezie della vostra attività e vi permette di liberarvi completamente dall’identificazione con il personaggio che siete, col suo nome, la sua storia, le sue predisposizioni, il suo karma.

Si lascia innanzi tutto il livello abituale delle opposizioni e delle contraddizioni nel dominio delle emozioni, delle sensazioni, delle idee e degli stati d’animo, si ritrova l’energia fondamentale e, con l’aiuto di questa shakti, si ritorna all’atman da cui essa ha origine.

Per cominciare, accettate senza paura l’integrità di voi stessi. La meditazione, quindi, non è soltanto la ricerca del non manifestato, è anche la ricerca dell’origine della manifestazione, dell’energia in se stessa.

Certo, non potete consacrare la vostra esistenza alla coscienza di una grande forza vitale in voi, sempre più intensa, una forza vitale totalmente rassicurante, quella che vi anima, prima come embrione, poi come neonato. Siete spinti a vivere il vostro personale karma, il vostro destino, in ogni caso il prarabdhakarma, il karma che porterà comunque i suoi frutti, sia se abbiamo raggiunto l’illuminazione, il risveglio interiore, sia se non l’abbiamo fatto.

Ma, sul cammino della saggezza, dovete osare vivere, è certo. E’ inutile aspirare alla liberazione suprema, all’infinito, a tutte le grandi realtà spirituali di cui sentite parlare, se non si osa giocare al gioco della vita, esporsi, prendere dei rischi.

Guardate i rischi che alcuni corrono in montagna, al mare, nelle corse automobilistiche. Guardate i rischi che vi fa correre la follia della vostra mente, una passione amorosa che compromette tutto l’equilibrio della vostra esistenza, compresa la felicità di chi vi sta attorno e forse la vostra situazione finanziaria. Guardate i rischi che correte meccanicamente quando siete condotti semplicemente da una serie di azioni e di reazioni di cui siete incapaci di assumervi le conseguenze, e vi lamentate e chiedete aiuto, quando siete voi stessi gli artefici del vostro destino. E, poiché avete paura, sperate che la spiritualità vi aiuti a fuggire l’esistenza con qualche bella giustificazione. Questi rischi, che così spesso vi assumete inconsciamente, assumeteli consciamente.

Oso. Sarò criticato? Sarò criticato. Soffrirò forse, le cose non andranno come desideravo. Tutto è pericoloso. Non si può vivere pienamente senza correre alcun pericolo. Non si può vivere la saggezza, se si rifiuta di vivere. Essere innamorati è pericoloso. “Oh, ma il saggio…”. D’accordo, non immaginiamo un saggio innamorato nel senso ordinario della parola, ma a vent’anni non si può giocare alla saggezza. Nemmeno a quaranta. Ed è proprio ciò che Swamiji mi ha mostrato con forza e intensità a un certo punto del mio cammino.

Non possiamo vivere senza assumerci il rischio di soffrire, sino a quando non abbiamo scoperto il segreto che ci pone al di là della sofferenza, quali che siano le circostanze della nostra esistenza, segreto che cerco di condividere con voi e che sottende tutte le pagine dei libri pubblicati col mio nome.

Comunque soffriremo. Allora, perché non accettarlo deliberatamente una volta per tutte: “Soffrirò, l’accoglierò come un arricchimento, come una pienezza della vita. Lo vivrò come un ritorno alla mia verità, ne farò un cammino di purificazione, lo prenderò come un punto d’appoggio per trascendere la sofferenza”. Soffrirò sentendo: “Che la volontà di Dio sia fatta”, o “oggi è la volontà di Dio che io soffra perché corrisponde alla mia realtà, e perché lì risiede la mia speranza di raggiungere un giorno l’al di là di tutto”.

A partire da lì, dalla sofferenza, posso vivere senza paura: “The way is not for the coward, Arnaud”, “Il cammino non è per i vigliacchi, Arnaud”. E la mia vigliaccheria era quella paura di vivere che portavo in me, quella povertà che Swamiji mi mostrava in piena luce, che ha origine nell’infanzia e nell’educazione e che io giustificavo allora attraverso la menzogna, in nome di verità spirituali giuste, ma di cui la mia mente si era impadronita per barare meglio.

Una volta chiarita questa verità, Swamiji fece intervenire un’altra nozione che è quella di dignità. Non appena sono riunificato con me stesso, non appena ho scelto la verità integrale, non appena sono pronto a vivere e a ricevere i colpi della vita per ottenere la mia libertà, mi trovo a confronto con un’esigenza di dignità. Cosa è conforme alla mia dignità? Cosa al di sotto?

Se avete il coraggio di non reprimervi, di non mentire più a voi stessi, se nella meditazione volete cercare la potenza della vita e non soltanto il silenzio del nirvana, questa parola ‘dignità’ assumerà molto velocemente un significato.

Con questa parola così preziosa tutta la morale si trova ricostituita a un altro livello: “It is below my dignity”, “Non mi posso abbassare a questo”. Ma tale certezza nasce in me. Non è più la voce dei genitori che parla ancora in noi. Non è più la voce della teologia, né quella di una morale imposta, è una voce che sale in noi stessi, che è pura e giusta e ha la funzione di guidarci “It is below my dignity”, non è degno di me comportarmi così oggi.

Come ho detto, quello che tra qualche anno non sarà degno di voi, potrebbe esserlo oggi. “Be faithful to yourself, as you are situated here and now”, “Sii fedele a te stesso così come sei qui e ora”, con la speranza che tra qualche anno non sarete più quello che siete oggi. E ciò che oggi vi è impossibile, vi sarà possibile domani, il distacco, uno stato dell’essere differente.

Ma a questa nuova libertà non potrete avere accesso se ci sono in voi elementi di negazione e di rifiuto, se c’è paura della meravigliosa potenza vitale che vi anima.

Perché siate ben convinti che non vi richiamo a scatenare delle forze incontrollabili e delle pulsioni irresistibili, a violare la morale e i tabù, cosa che vi farebbe immediatamente paura, divido con voi questa parola che Swamiji mi ha donato come un tesoro: dignity, dignità. “You yourself in your own intrinsic dignity”, “Voi, voi stessi nella vostra intrinseca dignità”. E’ il richiamo permanente che Swamiji ha fatto risuonare in me .

E’ degno di me? Non si tratta più di una voce venuta dall’esterno, ma di una convinzione che sale dal profondo. Vedrete quanto questa parola ‘dignità’ vi guiderà, se non mentite più a voi stessi e se ritrovate la pienezza della vostra forza vitale.

Ecco la mia verità di oggi, non baro più. Agisco. Mi accetto come sono, non gioco più a essere un falso Ramana Maharshi o una caricatura di Ma Anandamay (questo è il pericolo quando siamo veramente attirati dalla vita spirituale, ma non ci siamo completamente stabiliti nella verità). Non ho più paura di me stesso. Mi libero da questa paura di me. Oso volere. Oso sentire la mia forza, oso sentire le pulsioni risvegliarsi. Dignità: che cosa faccio? Come agirò? Che cosa è giusto per me oggi? Che cosa mi può far progredire?

Dovete riconciliare il manifestato e il non manifestato, lo statico e il dinamico, il maschile e il femminile, l’attivo e il passivo. Evidentemente sono parole, una sfilza di parole, ma la verità si vive interiormente come un’esperienza, come una realtà.

Ma se insisto oggi con voi su questo messaggio – non restate storpi affettivamente, in superficie, non vivete nella non-verità, un-thruth- aggiungo subito la parola ‘dignità’. Altrimenti andrete chissà dove e vi crederete liberi perché sputate sulla morale della vostra infanzia e pestate i piedi al vostro prossimo.

Quando scoprirete in voi la potenza dell’energia della vita non ancora contraddittoria, il mondo degli opposti acquisterà un nuovo significato. Improvvisamente, vedrete più in profondità del gioco degli opposti, improvvisamente comincerete a intravedere dietro l’apparenza, l’essenza, la profondità dietro la superficie. Cominciate col vedere come dice la Genesi, che questa Creazione, che sembra così crudele, è buona.

E’ questa creazione, così com’è, che ci conduce al bene ultimo. Quando avrete potuto scoprire in voi uno stato dell’essere senza conflitto, saprete che la realtà ultima è al di qua delle polarità, perché l’avrete sperimentato non rinnegando nulla della vita in voi.

Al di là di tutte le contraddizioni laceranti di questo mondo, di tutte le sofferenze, si rivela un senso che vi era sfuggito sino allora, un positivo assoluto, l’eternità, l’immortalità, una realtà unicamente luminosa. Ma non potete tentare di scoprirla senza seguire il cammino della verità, vale a dire senza partire dalle forme più grossolane di energia, per risalire verso le forme più sottili, verso la fonte stessa dell’energia, l’indicibile silenzio del profondo.

Ah, quanti sono quelli che credono di aver paura della morte e che hanno, in realtà, paura della vita e di loro stessi! Quanto credete poco in voi stessi, quanto l’esistenza vi ha messo in testa sfiducia se non addirittura odio per voi stessi! Che errore!

Osate vivere. Cominciate semplicemente e osate almeno respirare. Osate sentire. E più avete paura della ricchezza, della pienezza, della potenza della vita, più diventate schiavi della testa e dei pensieri. La mente è essenzialmente il frutto di questa paura di vivere .

Vi rifugiate in un mondo di idee perché in tale mondo soggettivo potete fare quello che volete. I pensieri corrispondono a nostre tendenze ripetitive, che possiamo indefinitamente rimuginare. Più si vive meno si pensa, più si pensa meno si vive. E coloro che sono assillati dalle fantasie della mente, tagliati fuori dalla realtà, possono intendere anche questo messaggio: l’importante non è pensare, l’importante è sentire.

Perché questa parola ‘sentire’ è sospetta per chi si picca di spiritualità o per chi è legittimamente attirato dalle forme più alte di spiritualità? Avere paura di sentire significa veramente credere che la Creazione sia cattiva, che soprattutto non si deve giocare al gioco della natura. Ma non potete scoprire il segreto ultimo se non partecipate al gioco cosmico sotteso e animato da Dio stesso.

Allora vi dico anche: più pensate meno sentite, più sentite meno pensate. E uno dei primi aiuti che vi possono essere dati per vivere è cominciare a osare sentire, senza paura, anche a livello sensuale, sensoriale, molto semplicemente sensualità, sensorialità da cui siamo sempre più tagliati fuori dallo strapotere dell’intelletto. E, soprattutto, si tratta di assumere, per armonizzarli, i due poli della realtà in noi, i valori femminili e quelli maschili, lo yin e lo yang, il valore dell’azione e il valore della contemplazione.

Che siamo uomini o donne, meno osiamo vivere e sentire e più ci rifugiamo nell’aspetto maschile dell’esistenza e cerchiamo di agire, di fare qualche cosa, di fare sempre qualche cosa; è il contrario della meditazione, della contemplazione, la nevrosi dell’attivismo. “Che cosa c’è da fare?” Al punto che, anche sulla Via, il maestro si deve ingegnare per trovare sempre nuovi esercizi da proporvi!

Più privilegiate l’aspetto maschile sull’aspetto femminile, più vi impedite di sentire e vi condannate a pensare. Ma i valori maschili dell’attività hanno qualcosa di rassicurante, fosse pure in maniera nevrotica. Mentre i valori femminili, detti di apertura, hanno una dimensione in qualche modo spaventosa.

A chi mi aprirò? I valori della ricettività e dell’accoglienza sembrano pericolosi! E se mi apro a ciò che si esprime in me stesso è altrettanto pericoloso. E’ facile leggere Pour une vie réussie di Arnaud Desjardins, con i suoi capitoli consacrati al maschile e al femminile in noi, o leggere ciò che può dire Dürckheim sulla ‘coscienza freccia’ e sulla ‘coscienza coppa’.

Il mondo moderno ha privilegiato in modo disastroso i valori maschili su quelli femminili, la ragione sulla sensibilità, la testa in tutti i campi, l’azione sulla contemplazione. Il femminismo non segna il ritorno al rispetto dei valori femminili, ma la possibilità per le donne di essere ancora più maschili degli uomini stessi, il che ha come conseguenza che tutti rinnegano i valori femminili, che sono tuttavia preziosi, tanto per gli uomini quanto per le donne.

Vivere significa fare spazio, il più presto possibile e nel modo più completo possibile, ai valori femminili e domandarci che senso diamo noi alla parola ‘apertura’. Non c’è dilatazione del cuore senza apertura dal cuore e se “l’Islam è la dilatazione del petto”, non c’è dilatazione del petto senza apertura. E aprirsi significa aprirsi senza imbrogliare.

Non potete chiudere tutte le porte, esteriori e interiori e aprirvi alla grazia di Dio. La grazia di Dio può arrivare a voi solo attraverso le prove più crudeli, il tradimento di quelli in cui avevate fiducia, il rifiuto, tutto ciò che una volta ci era parso terribile. Tutto è Grazia. Aprite sempre, è sempre Dio che bussa alla porta.

Aprirsi significa aprirsi con tutto il proprio cuore. Sviluppare i valori femminili della ricettività e dell’accettazione significa svilupparli in tutti i modi. Consiste nel non proteggersi più. Se ti schiaffeggiano porgi l’altra guancia, come ha detto il Cristo. Significa aprirsi alla forza vitale in noi e non cercare di fuggire, nella meditazione, le paure che portiamo in noi stessi.

Una parte dei vostri progressi potete farli attraverso felici forme di psicoterapia. Il lying rappresenta l’apertura alla forza vitale nella sua forma conflittuale, le gioie più grandi ma che non sono durate mi fanno singhiozzare e per liberarmene oso affrontare e rivivere oggi le più grandi sofferenze che mi hanno inchiodato, ucciso.

E la meditazione è l’apertura allo slancio vitale non duale, non conflittuale. E’ scoprire semplicemente: Vivo! Sto vivendo, animato da quella energia infinita che non è la mia vita, ma la Vita. Tutto qui.

Supero la mia vita, nella quale inevitabilmente soffoco, quali che siano i miei successi e scopro che sono l’espressione o una forma della Vita Universale dell’energia divina, quella che anima gli uccelli che ascoltiamo cantare, le foglie mosse dal vento, i piccoli germogli verdi in primavera, la vita che anima ogni atomo e che prende in noi la forma più evoluta, prajna: conoscenza, saggezza, comprensione.

Il lying di Swamiji Prajnanpad è l’apertura alla forza della vita nella sua forma conflittuale, così da non temerla più. Ho osato affrontare la sofferenza a faccia a faccia nel lying e allora posso ora affrontarla nell’esistenza, senza timori né rifiuti. E, a poco a poco, vi liberate dalla sofferenza.

E la meditazione non consiste soltanto nel cercare il vuoto e il silenzio del non-manifestato. Significa anche cercare la non-dualità, l’assenza di conflitto nel sentimento di esistere. Così diveniamo esseri umani integrali e possiamo crescere, realizzarci, dispiegarci. Possiamo sentire la forza vitale salire in noi nella sua pienezza.

Sradicate le vecchie paure inconsce di voi stessi, le vecchie paure dell’infanzia: “Di quali sciocchezze sono ancora capace se non mi reprimo! Più vivrò in modo ristretto, meno rischierò di essere punito”. E se l’insegnamento o il guru deve significare una serie di divieti: ‘la morte dell’io’, la ‘mortificazione’, ‘la rinuncia’, ‘il sacrificio’, allora la spiritualità non sarà che una menzogna e non arriverà da nessuna parte.

Non potete amare, se non amate voi stessi. Non potete amare voi stessi, se avete paura di voi stessi. Non potete evitare la paura di voi stessi, se fuggite di fronte a voi stessi. E se fuggite, vi esaurite per rimanere alla superficie di voi stessi e dell’esistenza. Come volete raggiungere la profondità?

Non abbiate paura. La forza della vita in noi, in voi, in ciascuno, è soltanto rassicurante se la scopriamo alla sua sorgente. Se trovate la via, se osate vivere, se osate aprirvi, vedrete quanto ciò che oggi domina la vostra esistenza, le paure, le sofferenze, i drammi, gli attaccamenti, le emozioni, i pensieri che vi buttano giù, quanto questa schiavitù comincerà a sciogliere i suoi lacci.

Scegliete di vivere.

Tratto da: “L’audacia di Vivere”, di Arnaud Desjardins – Traduzione di Giovanna Visini.

Fonte: http://www.rebirthing-milano.it/brani-traduzioni/osate-vivere-da-laudacia-di-vivere-di-arnaud-desjardins/

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