Come nasce il pensiero?

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Cervello e pensiero, un’ipotesi.

Chi l’ha detto che i pensieri nascano nel cervello? La scienza neurologica. E con quali prove? Ad esempio che le diverse aree del cervello mostrano attività crescente all’insorgere di determinati pensieri. O che, cervelli danneggiati, sembrano impossibilitati ad effettuare determinati tipi di attività mentale. Lo stesso sembra valere per i sentimenti, tanto che alcuni luminari pretendono di dimostrare che sentimenti quali l’amore altro non sarebbero che una serie di processi chimici, che avvengono nella nostra scatola cranica. Questo vorrebbe dire che, con la morte del corpo fisico e dunque la cessazione delle attività cerebrali, l’individuo non sarebbe più in grado di avere un vissuto né mentale, né sentimentale. Il che nega apertamente l’idea, antica quanto l’uomo, che la coscienza possa in qualche modo sopravvivere alla morte.

Eppure, come contraddire la scienza attuale con tutti i suoi autorevoli esperimenti?

Forse basterebbe riconsiderare il problema, cambiando la prospettiva. Immaginate per un attimo che non sia l’attività cerebrale a dare origine al pensiero, bensì, al contrario, che sia il pensiero a dare origine all’attività cerebrale. Immaginate che non siano le terminazioni nervose – e quant’altro si muove nella nostra testa – a darci una consapevolezza, bensì che la nostra consapevolezza stimoli e faccia muovere il nostro cervello… Questa idea, senza essere in contrasto con i test neurologici, ribalta completamente la visione che abbiamo dell’encefalo: da organo attivo, come causa di un vissuto psicologico, a “decoder” passivo, interprete di tali processi sottili.

Se fosse il cervello a generare il pensiero, dovremmo chiederci come può la materia (in questo caso la materia cerebrale) originare l’astratto (come lo sono i pensieri e i sentimenti). In natura, il simile genera il simile. Come possono degli atomi, delle molecole, delle sostanze, mescolarsi in tal modo da formare qualcosa che sfugge totalmente dalla concretezza, come lo è il vissuto psichico di una persona?

Il fatto che il nostro cervello abbia delle reazioni a particolari attività mentali, non dovrebbe stupirci: non sarebbe l’unico organo del nostro corpo a farlo. Il cuore, ad esempio: il suo battito aumenta repentinamente all’insorgere di determinati pensieri. I polmoni: il respiro può farsi affannoso o disteso e rilassato, a seconda del vissuto emotivo. Lo stesso accade all’apparato digerente, che risente della rilassatezza o dell’agitazione emotiva; a quello riproduttivo, che reagisce agli stimoli erotici anche immaginari, ecc. Tutto il nostro corpo risente di ciò che la nostra coscienza vive, e lo manifesta in moltissimi modi.

Ma il fatto che il cuore si metta a battere più forte se pensiamo ad una persona che amiamo o, al contrario, a qualcosa che ci fa paura, non significa che è il nostro cuore a generare amore e paura! Come non sono i polmoni a generare la causa dell’affanno!

Perché, allora, proprio il cervello dovrebbe essere responsabile dei pensieri?

Il fatto che un cervello danneggiato non possa svolgere certe funzioni mentali indica soltanto che un individuo, il cui corpo presenta quei danni, non riceve e non può applicare certe funzioni mentali.

Un liquido assume la forma del suo contenitore: perché non può valere lo stesso per il pensiero, che assume la forma (le capacità) del cervello che lo deve ospitare?

Potremmo allora concepire il cervello come l’organo fisico che permette la comunicazione del pensiero con il nostro corpo. Se un cervello è danneggiato, la coscienza non potrà comunicare al corpo fisico alcune cose e questa potrebbe essere la semplice spiegazione di cosa significhi handicap cerebrale.

Inevitabile l’analogia con qualsiasi mezzo di comunicazione inventato dall’uomo (poniamo un telefono): se l’apparecchio è danneggiato, la comunicazione risulterà alterata, e l’entità di questa alterazione sarà direttamente proporzionale al danno dell’apparecchio. Se l’apparecchio potesse essere riparato, la comunicazione potrebbe avvenire senza intoppi; così come, se un cervello potesse essere curato, l’handicap non sussisterebbe.

Il fatto che, come è stato più volte accertato e sperimentato, alcune sostanze chimiche possano avere determinati influssi sullo stato d’animo di una persona (gli psicofarmaci ad esempio), non dimostra che sia la chimica ad originare i pensieri. Se, come abbiamo ipotizzato, fosse il pensiero a comunicare al cervello e non viceversa, questa comunicazione dovrà per forza avvenire grazie ad un sistema di comunicazione, che potremmo definire un codice, un linguaggio che renda possibile l’interazione della psiche sul corpo. Trattandosi, nel nostro caso, di un linguaggio chimico, è naturale che, le sostanze che servono a garantire questa comunicazione (es., gli ormoni), produrranno determinati effetti e non altri. Di conseguenza, se queste sostanze verranno immesse nell’organismo da cause esterne (es., i medicamenti), è chiaro che il corpo reagirà come se quegli stimoli fossero stati dettati dalla psiche.

Oggi si crede che gli ormoni determinino alterazioni emotive (es. negli adolescenti, nelle donne incinte, in menopausa, ecc.). Ancora una volta, ci si potrebbe chiedere se la cognizione non andrebbe ribaltata: se non fossero, al contrario, le alterazioni emotive a scatenare la produzione di certi ormoni…

Un’altra questione molto importante correlata al nostro discorso, è quella della coscienza unica e delle coscienze individuali. Diverse correnti filosofiche e mistiche, nella storia, hanno sostenuto che esista un’unica coscienza universale e che l’individualizzazione di questa coscienza potrebbe non essere altro che una sorta di “illusione” da noi percepita. Inutile dire che la scienza attuale, la quale, come detto, si basa sulla convinzione che la coscienza sia un prodotto cerebrale, non contempla questa ipotesi; esclusi forse i fisici quantistici, le cui conclusioni sembrano oggi avvicinarsi molto alla dottrina delle antiche scuole misteriche.

Se è il pensiero ad agire sull’encefalo e non il contrario, questo “pensiero” potrebbe non essere qualcosa che ha origine dall’individuo, bensì qualcosa di esistente, indipendentemente da esso.

Oserei dire che la teoria di una coscienza unica risulta anche armonizzarsi molto meglio con la scoperta scientifica che la materia di base dell’universo è unica e che i diversi corpi altro non sono che diversi assembramenti di particelle, assolutamente identiche fra di loro (riecco la fisica quantistica).

Se, di fatto, esistesse un’unica coscienza e questa dovesse individualizzarsi e frammentarsi nei diversi esseri, potremmo ben paragonare la sua frammentazione all’evoluzione dei fringuelli di Darwin. Darwin, osservò che i fringuelli che popolano le diverse isole delle Galapagos si sono differenziati nel tempo, ognuno per adattarsi all’ambiente della propria isola, formando così specie diverse. Allo stesso modo dovrebbe fare una coscienza universale per frammentarsi ed individualizzarsi: adattarsi in tutto e per tutto all’ambiente (individuo) che dovrà ospitarla.

La teoria della coscienza unica, può anche essere spiegata con l’analogia della corrente elettrica: da una centrale elettrica, la corrente si propaga attraverso gli edifici di un centro abitato. Arrivando nei singoli edifici, la corrente si manifesterà in modo diverso a seconda degli apparecchi che andrà ad alimentare. Così, la coscienza unica, propagandosi nei singoli individui, si strutturerebbe e manifesterebbe in modo diverso e adatto ai mezzi e alla natura dell’individuo che andrebbe ad “occupare”.

Questo potrebbe valere non soltanto per quelli che la scienza considera “esseri viventi”. La coscienza potrebbe penetrare anche la cosiddetta sostanza inorganica, semplicemente a livelli ed in modalità differenti.

Il “modo” di penetrare la materia, da parte della coscienza, potrebbe essere determinato, appunto, dal tipo di organo o struttura preposta alla sua “accoglienza” (come, nel caso degli animali, il cervello). Le piante, tanto per fare un esempio, non possiedono un cervello, ma è dimostrato che abbiano un certo grado di “vissuto psichico”. Questo a riprova del fatto che il sentimento e il pensiero possano esistere indipendentemente dall’organo cerebrale.

Ora: se la natura dei pensieri e dei sentimenti viene determinata dalla struttura individuale in cui la coscienza universale viene incanalata, ci si potrebbe chiedere se questa coscienza universale abbia dei pensieri e dei sentimenti propri. Ancora una volta, credo che l’esempio della corrente elettrica possa prestarsi al caso nostro: l’elettricità che, indifferenziata, scorre nei fili ad alta tensione, è un’energia in grado di compiere un lavoro. Ma per trasformare questa potenzialità in un lavoro in atto, questa corrente dovrà andare ad alimentare un apparecchio specifico.

Allo stesso modo, forse, la coscienza universale andrebbe intesa come un’energia indifferenziata che contenga la potenzialità di ogni pensiero ed ogni sentimento, senza essere alcun pensiero o sentimento in atto, se non quando la coscienza incontra un individuo che sia in grado di compiere questa trasformazione.

Pubblicato da Sebastiano B. Brocchi.

Fonte del Post: http://veritas2012.blogspot.it/2011/01/cervello-e-pensiero-unipotesi.html

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