Eckhart Tolle: Vedere la follia.

Terra x Blog + Nero 2015

Vedere la follia.

Tratto da: 3ème Millénaire n.77 – Traduzione della Prof. Luciana Scalabrini.

D.: Domanda –  E.T.: Eckhart Tolle

D.: Spesso tentiamo di sfuggire alle nostre vite quotidiane: un lavoro che non ci piace, relazioni mondane che non prendono la direzione che ci aspettiamo, situazioni familiari difficili. Qual è l’origine del nostro desiderio di sfuggire?
E. T.: La maggior parte delle persone fanno dell’istante presente un mezzo per arrivare a un fine, che è un futuro che arriverà un minuto o un’ora dopo, ogni volta che “faccio qualcosa”. Quello sforzo rivolto verso l’avvenire, quel contrasto interno che nega il momento presente, si manifesta continuamente sotto forma di malessere, di insofferenza nei confronti di ciò che è. Questo sembra lo stato normale nella nostra civiltà.

D.: Ma le nostre esperienze passate e quelle future possibili non sono le cose più importanti nelle nostre vite?
E.T.: Non facciamo mai l’esperienza del futuro o del passato. Sperimentiamo solo il momento presente. Ciò che fate, pensate o sentite non può che prodursi nel momento presente. Se vivete in modo tale da negare continuamente il momento presente, significa che negate la vita stessa, perché essa è inseparabile da adesso, non può che svolgersi nel presente. Non c’è niente che sia successo in passato, perché è successo in un presente; e niente può accadere in un avvenire: sarà anch’esso in un altro presente ciò che accadrà. Questo punto di vista può sembrare semplicistico o idiota, ma c’è sotto una verità profonda: la vita e l’adesso non sono che una sola cosa.

D.: Che cosa ci fa vivere nel passato o nel futuro?
E.T.: Viviamo in un mondo di astrazioni mentali, di concettualizzazioni e d’immagini, che formano il mondo del pensiero. E’ un mondo caratterizzato dall’incapacità di fermare, anche per un istante, il pensiero. Il rumore mentale è un flusso continuo. Gli psicologi hanno constatato che l’attività mentale è al 95%, o di più, totalmente ripetitiva. In realtà, forse, solo il 10% dei processi di pensiero sono necessari alla vita. Il pensiero può essere molto utile, ma nel nostro mondo è diventato compulsivo, ossessivo, quasi una droga. Il senso d’identità delle persone, del me, è legato ai concetti mentali e alle immagini mentali dell’io e del me.

D.: Quando comincia questo?
E. T.: Comincia quando i genitori vi insegnano il vostro nome. E’ la prima etichetta che registrate: la mente si dice: “ah, sono io” e ripetete il vostro nome. In seguito questo nome diventa come un cestino in cui sono ammucchiate nuove esperienze, le cose che vi succedono, gli elementi utilizzati dagli altri per dirvi chi siete. Certi genitori dicono ai loro bambini: “non vai abbastanza bene”; “sei stupido”, “non sei capace di fare niente”. Altri dicono cose diverse. Ma è sempre un condizionamento che viene registrato. Questi elementi sono registrati e diventano il contenuto della vostra mente. Crescendo, si elabora una storia a partire da quei contenuti, una storia composta da giudizi, credenze, concetti. In altre parole, il me è uno scenario che si sviluppa nella testa, somigliando sempre più a una storia di finzione. Forma anche la base della percezione che le persone hanno di se stesse e questa percezione è rinforzata dal mondo circostante.

Spesso gli altri minacciano la nostra percezione concettuale del me e per questo il me è sempre molto inquieto, sulla difensiva, deve sempre riempirsi e rimettersi in sesto. Ho sempre bisogno di aggiungere più di me a chi sono già, devo incontrare sempre nuove relazioni mondane, collezionare nuovo sapere, acquistare nuovi beni materiali o un migliore stato sociale. Se le notizie di me sono buone, se la gente ha un’alta opinione di me, arriverò a una buona posizione sociale, che può diventare la base della mia identità. Se pensano male di me, se non ho una posizione sociale elevata, anche questa può ugualmente fornire la base della mia identità, una identità che si dice “non posso farlo, non ne sono capace”. Questa identità è caratterizzata da una sensazione di mancanza, di rimpianto. In ogni caso non è completa.

Ma anche quelli che agli occhi degli altri, sono arrivati, sentono che la loro storia è incompleta e che la loro vita, fin qui, non ha seguito il cammino che avrebbe dovuto.

Così la mia percezione di me è deficitaria perché incompleta. Il mio sentire è “che ho bisogno di molto di più per essere interamente me stesso”. E poi c’è la natura, del tutto insoddisfacente, della mia storia. Lo si vede bene nei depressi. Altre volte è nascosta e diventa inconscia. La mente cosciente può creare immagini del me come se fossero le più grandi, ma altre immagini restano soggiacenti e vi dicono “no, non lo sei”. E’ possibile che l’immagine che proietto sia l’opposto di ciò che sento realmente. Ecco le cose con cui la gente vive: una percezione di sé che porta come un fardello.

Un’altra caratteristica di quel me fittizio è che non può mantenersi in assenza prolungata di conflitti e lotte. Ha bisogno di altre persone o situazioni nelle quali trovare opposizione, perché opporsi a qualcosa, o a qualcuno, rafforza il senso del me. Se ho nemici, la mia identità si rinforza. E questo si applica sicuramente, sia in senso individuale di me che in senso collettivo di noi: la nostra religione, la nostra nazione, ecc. Nei due casi, è attraverso il nemico e il conflitto che il me si definisce, che si può dichiarare da solo di essere ok.

D.: Perché è così importante per la nostra identità andare bene?
E. T.: Il bisogno di andare bene è una parte importante del senso del me. Per andare bene, altri devono andare male. Perciò dovete essere in buone e cattive relazioni con altri gruppi di persone o d’individui, o semplicemente nelle situazioni che sono considerate ostili e in cui dovete lottare e resistere interiormente. Questo bisogno di nemici fa parte della follia della coscienza umana ordinaria, che ci ha afflitto per migliaia d’anni. Si trova alla radice delle continue guerre e dei conflitti che si vedono quando si apre un libro di storia o un giornale. Raccomando sempre alle persone di leggere la storia del ventesimo secolo, che è la più folle per le sofferenze inflitte dagli uomini ad altri uomini.

La follia del mondo non è solo all’esterno di noi; la radice della follia si trova nella mente di ognuno. Ci si può perciò porre la domanda: se non sono chi penso d’essere, se non sono colui che ogni persona che conosco mi ha detto d’essere, se non sono lo scenario nella mia testa e se non sono le credenze, le esperienze accumulate, i ricordi, chi sono? Rispondere a questa domanda è pericoloso, perché ogni parola che si potrebbe utilizzare creerà un nuovo concetto. La realtà che siete non può mai essere espressa a parole, le parole sono solo i segnali che indicano la strada.

D.: Parlate dell’emergere di un nuovo stato di coscienza.
E. T.: Vedo un cambiamento nella coscienza, che si produce per la prima volta in alcuni individui qua e là. E’ un cambiamento che gli insegnamenti antichi hanno messo in evidenza, come quello di Gesù o di Budda: la possibilità di vivere in uno stato differente di coscienza. Questo giunge, alla nostra epoca, ad una scala globale perché la follia umana minaccia di distruggere il pianeta. Se i cambiamenti nella coscienza non si producono subito, allora non ci sarà più possibilità di sopravvivenza per il pianeta. Forse il pianeta potrà farlo, ma non gli umani. Il pianeta potrebbe rigenerarsi dopo qualche centinaia d’anni, ma gli esseri umani saranno scomparsi.

D.: I giochi sono fatti.
E.T.: SI, e qualcosa si produce, perché c’è una grande intelligenza nel lavoro, che va ben al di là della mente umana. E’ l’immensa intelligenza che si trova in ogni organo del corpo, nel DNA di ogni cellula, è l’intelligenza che dirige e coordina tutte le funzioni del corpo umano. La mente cosciente non ha evidentemente la capacità di farlo. Mettete in funzione tutti i computer del mondo, essi non potrebbero dirigere le funzioni del corpo più di un secondo. Così, c’è un’intelligenza più grande negli esseri umani che non può essere contenuta nella mente. La mente non è che un aspetto infimo di un’intelligenza più grande ancora, la stessa intelligenza che ha creato le galassie e la natura. Ed è quello che si produce oggi.

D.: Come si manifesta in noi?
E.T.: Si manifesta dapprima con un’incapacità di osservare la mente in noi. Abbiamo allora la possibilità di non identificarci con le strutture mentali. Vi rendete conto, sempre di più, che non siete i vostri pensieri, perché vengono e scompaiono. Sono tutti condizionati, non sono che il contenuto della vostra mente. Invece di far derivare il senso del me dal loro contenuto, vi rendete conto che potete semplicemente osservarne il contenuto. Allora sorge un senso più profondo. E’ la presenza cosciente, essa è molto estesa e poco importa quel che passa nella mente. Non vi identificate più con la mente, che non è che il pensiero condizionato e, al contrario, vi identificate con la presenza che osserva, che può vedere i pensieri condizionati e le emozioni in un flusso continuo. Quando il senso del me non è più legato al pensiero e non è più concettuale, c’è una profondità di sentimento, di sensazioni, di compassione, d’amore, che non esisteva quando eravate presi dai concetti mentali. Voi siete quella profondità.

D.: Mi sembra più facile essere nello stato che descrivete quando mi trovo nella natura.
E.T.: Si, perché la natura non stimola la mente nello stesso modo. Benché molte persone possano trovarsi nella natura essendo sempre piene di concetti mentali e di rumore, di tanto in tanto, anche le persone che sono immerse nel chiasso mentale conoscono dei momenti di calma come quando sono nella natura, quando il rumore diminuisce, improvvisamente diventano vigili e presenti. Allora arrivano ad osservare, a vedere e sentire la vita attorno a loro: il sacro, la bellezza, l’armonia che unisce ogni cosa.

E’ meraviglioso camminare nella natura con una mente calma, o piuttosto nel non-mentale, semplicemente in uno stato di presenza vigile. La natura può essere di grande aiuto in questo. L’essere umano ha la possibilità di conoscere qualcosa di molto più grande dell’attività del pensiero. Si trova molta più intelligenza al di là del pensiero, in un luogo dove l’intuizione, la creatività e prese di coscienza improvvise sorgono. Però non escludo totalmente il pensiero; esso è necessario per dare forma a questo genere di cose. Ma quando il pensiero si trova alla pari con il sé, diventa distruttivo, perché la base della nostra identità diventa un’astrazione, una concettualizzazione.

D.: Cosa fa sì che si ha bisogno d’essere liberi?
E.T.: L’attenzione qui è una parola essenziale. Le parole che utilizzo sono degli indicatori che indicano uno stato di coscienza che è non concettuale. Infatti utilizzo concetti per descrivere una realtà non concettuale. A volte, uso le parole di grandezza o di presenza estesa. Il termine attenzione è molto utile. Lo stato dove non si è identificati col pensiero è uno degli stati di vigilanza più elevati.

L’attenzione è l’essenza dello Zen, uno stato di vigilanza dove non c’è alcuna tensione. E’ una vigilanza distesa, come se ascoltaste, benché non ci sia niente da ascoltare. In questo stato, l’attività del pensiero decresce; e poi si ferma. Molte persone hanno limitato l’accesso a questo stato nella loro vita. I grandi artisti creano a partire da questo stato; i grandi scienziati anche. Gli scienziati, certo, usano la mente nel lavoro, ma i grandi scienziati hanno raccontato che le loro idee migliori sono venute in un momento in cui la mente era in riposo: essi avevano riflettuto molto, prima, e non erano giunti a una soluzione. Improvvisamente, la mente si è arrestata e da quella calma, da quella presenza cosciente, è venuta la risposta. Grandi atleti conoscono anch’essi quello stato. Non pensano a ciò che stanno facendo; la mente non ha niente a che fare nel loro movimento. Il gesto giusto si produce spontaneamente e sono totalmente vigili. Tutto ciò che esce da quello stato di vigilanza è bellezza, che sia nella danza, nell’arte o nello sport. E la gente deve sentirlo. In un modo o nell’altro, perché altrimenti guarderemmo dei giocatori di tennis che battono una palla per ore?

Gli insegnamenti del passato dicevano che è possibile vivere in questa via, in modo che la vostra vita intera sia un’espressione di quello stato di coscienza; la follia non si riafferma quando arrestate la vostra attività artistica o sportiva. Alcuni artisti erano più pazzi della media; è solo perché ogni tanto diventavano liberi da quello. Così in quel tipo di follia vediamo di tanto in tanto creazioni sublimi. E ci domandiamo “Mio Dio, com’è possibile che un essere umano abbia creato qualcosa di così sublime!”.

D.: La mente non è implicata nella creazione?
E.T.: La creatività non viene dalla mente umana. La mente gli può dare una forma, ma l’ispirazione profonda, la sua essenza, viene sempre da quello stato di presenza vigile: niente mente, niente pensiero. In seguito, forse, il pensiero interviene, ma più in certe attività, come per esempio la scrittura. Ma anche un autore è al suo ascolto e aspetta che arrivi. Molti lavori che si chiamano arte ai giorni nostri, sono in realtà creazioni del pensiero umano, che tentano di essere intelligenti e di pensare a qualcosa di nuovo. E così manca l’essenza dell’arte vera, che è il profumo, il sapore di quello stato elevato di coscienza, a partire dal quale è giunta l’ispirazione originale. Nessuno sa come si manifesta nel lavoro. Nemmeno l’artista lo sa. Eppure in un modo o nell’altro, le persone sentono quando è presente. Dunque non sono totalmente folli; sentono che c’è qualcosa di presente.

Gli esseri umani devono ora andare al di là dell’accesso limitato a questo stato di coscienza. Dobbiamo subire una trasformazione psicologica, come dice Krishnamurti. Il cambiamento arriverà quando le persone vivranno quotidianamente in quello stato di coscienza. Se questo si produce, l’umanità sopravviverà. Se no è molto probabile che soccomba. Aspettiamo di vedere ciò che succederà. Ma siete voi il fattore importante nella sopravvivenza dell’umanità, voi, l’individuo.

Eckhart Tolle

Fonte del Post: http://www.sviluppocoscienza.it/follia.htm

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