Ezra Bayda: L’etichettatura dei pensieri.

L’etichettatura dei pensieri.

“L’etichettatura dei pensieri è uno strumento esatto, che può essere utile in due modi. Primo, interrompe l’identificazione col pensare, permettendoci di imparare a considerare i pensieri come semplici pensieri. Secondo, permette di sapere cosa stiamo pensando.

Immaginate di essere seduti in meditazione, cercando di essere consapevoli del respiro, quando vi accorgete di pensare alla giornata piena di impegni che vi attende. Per etichettare i pensieri, ripeterete semplicemente a voi stessi quanto avete pensato, affermando: «Aver pensato che ho troppo da fare».

È come tenere un pappagallo sulla spalla, che enuncia, parola per parola, i pensieri, non appena si presentano alla mente.

Sulle prime, questa tecnica può apparire molto cervellotica. Può sembrare che l’atto di etichettare faccia mulinare la mente più che mai. L’unica ragione è che non siamo abituati. Ci vuole tempo perché l’etichettatura dei pensieri ci liberi dai circuiti mentali ripetitivi. […] Etichettare i pensieri mi chiarisce quel che fa la mia mente e, di solito, interrompe lo schema, tanto da farmi uscire dal suo dominio. […]

Sto meditando e comincio a sentirmi dolorante per essere rimasto seduto immobile a gambe incrociate. Divengo consapevole che sono agitato e che la mia mente è convinta che sia troppo difficile. Identifico immediatamente il pensiero dicendo a me stesso: «Essere convinto che sia troppo difficile» e «Essere convinto di dovermi muovere». Dopo aver praticato così, per qualche tempo, può gradualmente venire alla luce il pensiero tacito, se esiste, che sta orchestrando lo spettacolo.

A questo punto potrei scorgere la convinzione sottostante che è alla base di tutto: «La vita dovrebbe essere priva di dolore», oppure «La vita dovrebbe essere comoda». C’è una bella differenza tra il pensare e, pertanto, credere che la vita debba essere comoda e l’affermare: «Avere la convinzione che la vita deve essere comoda».

Dovessimo pure etichettarlo cento, mille volte, a un certo punto ci accorgeremo che anche il pensiero più caparbio non è necessariamente la verità a proposito della realtà, ma soltanto un pensiero. Potremo inoltre accorgerci che, proprio quel pensiero, ha silenziosamente indirizzato il nostro comportamento.

Allora diventeremo consapevoli, laddove prima eravamo ciechi. Con l’applicazione meticolosa dell’etichettatura dei pensieri, la luce della consapevolezza inizierà a rendere chiare le convinzioni, prima inosservate, che hanno imposto molti dei nostri schemi comportamentali inefficienti. […]

Il secondo approccio, altrettanto essenziale, […] possiamo denominarlo fare esperienza. […] Essenzialmente si tratta della consapevolezza della realtà fisica del momento presente. […]

Notate il senso di presenza che sopraggiunge abbandonando il mondo mentale ed entrando nell’esperienza fisica del momento. Si può fare esperienza in questo modo solo quando non si è intrappolati nel pensiero.

Questo duplice approccio alla pratica (individuare le convinzioni e fare esperienza della realtà fisica) consente di allargare il contenitore della consapevolezza […]. Non appena il contenitore della consapevolezza si allarga […] possiamo allora instaurare un legame con la realtà della vita così com’è. È come togliersi un paio di occhiali colorati e vedere senza il filtro dei condizionamenti […]. È come togliersi una scarpa che sta stretta: il senso di costrizione e di limitazione scompare.

Ma, ovviamente, in men che non si dica, reclamiamo le nostre lenti colorate e le scarpe strette. Pur avendo provato la libertà del vivere con ciò che è, continuiamo a preferire i nostri schemi abituali, comprese le scarpe strette! […] Praticando, oscilleremo in continuazione tra il sì e il no […]. Ma, probabilmente, a un certo punto del cammino, avverrà un graduale cambiamento dalla non disponibilità alla disponibilità.

È questo cambiamento decisivo, verso la disponibilità a essere semplicemente, ciò che ci consentirà di essere con la vita così com’è […]. Tale processo di trasformazione è sia il cuore sia il frutto della pratica” .

da Essere zen di Ezra Bayda

Fonte: http://www.lameditazionecomevia.it/bayda2.htm

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