Francis Lucille: Dall’ignoranza alla libertà.

Dall’ignoranza alla libertà.

Domanda: La vita mi fa svolgere numerosi ruoli: marito, figlio, padre, capo squadra, subalterno. Tutto ciò si fa da solo, come se il vento mi spingesse. Nulla è stabile e, nello stesso tempo, sono totalmente investito in ognuno dei miei ruoli. Ho l’impressione che la mia vita scorra in questo vuoto, in una sorta di strana incoscienza. E’ questa, la vita?

Francis Lucille: In quanto entità separata, in quanto uomo o donna, in quanto corpo mentale, noi non viviamo. Noi siamo vissuti dalla vita. Noi siamo degli strumenti della vita.

Quando una persona che noi amiamo è appena morta e siamo davanti alle sue spoglie, ci balza agli occhi che l’essere che noi amiamo non è più qui. Qualcosa ha lasciato questo corpo, si è spogliato di questo corpo. La vita non è né il corpo, né il mentale. Corpo e mentale sono il costume primordiale che la vita svolge. Il primo ruolo che svolgiamo è quello di essere umano.

La nostra natura stratificata non è quella di essere un essere umano: è la coscienza.

In seno al ruolo d’essere umano che svolgiamo esistono delle suddivisioni. Parlavi del ruolo di sposo, di padre e di madre, d’individuo esercente un mestiere. Se ci identifichiamo all’uomo, alla donna, all’essere umano, questa identificazione si prolunga in ognuno dei ruoli che svolgiamo. Ne risulta una compartizione della nostra vita.

Prendiamo spesso troppo seriamente ciascuno dei ruoli che la vita ci attribuisce. Questo porta una forma di rigidità e di sofferenza. Per esempio, ciò ci impedisce d’essere l’amico dei nostri bambini, poiché siamo il responsabile, colui che veglia che non ci si scosti dal giusto cammino, pronti a firmare il ruolo del punitore.

La tradizione del teatro dell’India, il Katakali, è considerata come una via verso il risveglio spirituale. Il perfetto attore è colui che si è spogliato della sua primaria identificazione, quella dell’essere umano. Non identificandosi a nulla, è libero di identificarsi a tutto. Se non sono identificato a nulla, divento infinitamente flessibile e questa flessibilità mi permette, quando la situazione lo esige, di passare immediatamente dal ruolo dell’amico a quello del padre.

Nelle circostanze della vita, ricordarsi che siamo la coscienza universale e null’altro genera questa flessibilità. Nello stesso tempo, dimentico tutto il tempo… Il solo fatto di occuparsene è già la via verso la soluzione. Ho potuto constatare, da solo, l’apparizione di questa flessibilità nelle mie relazioni con gli altri. Se non siamo nulla, possiamo essere tutto. Occorre essere nulla in modo che possiamo essere tutto. In questa fluidità, occupiamo tutto lo spazio che ci è offerto, ma senza ingombrarlo, come farebbe un gas in una stanza.

Ho l’impressione che la vita si svolga come un processo binario. Sono preso dai ruoli che la vita mi attribuisce e, improvvisamente, qualcosa si risveglia in me, una sensazione, un sentimento. Gli scopi della vita ordinaria si cancellano e lo scopo diviene di dimorare con ciò che è presente. Ho l’impressione che allora non sono più svolto, ma che, al contrario, ho un ruolo da svolgere, attivo e non più passivo come in precedenza.

D.: Puoi essere più esplicito quando parli di dimorare con?

F.L.: Percepisco una sensazione più piena di me stesso e la mia attenzione è sopra. Mi sento vivo, animato da una vita che, nel mio stato abituale, non risento ed ho il desiderio di conservare la mia attenzione sopra, in quanto, se la lascio evadere, è come se questa vita scappasse. E questa attenzione mi nutre, come se mi scoprissi assetato e che potessi soddisfare la mia sete.

Questa sensazione che abbiamo, di perdere la pace o di perdere il contatto intimo, è già il prodotto dell’ignoranza. In effetti, non possiamo mai perdere ciò che noi siamo. Abbiamo un residuo d’ignoranza, di dualità, che ci conduce a preferire uno stato piuttosto che un altro. L’ignoranza, qui, è l’identificazione al pensiero “io”.

Il saggio Atmananda, vale a dire Krishna Menon [1], stava meditando quando fu disturbato dal rumore della strada. Ciò che si presentò immediatamente fu una ostilità riguardo il rumore. Poi prese coscienza che questo apparteneva anche a ciò che è: tutto è il Se. Il problema non è il rumore, ma la resistenza.

Il problema è di considerare che il rumore è differente da questo stato profondo che sperimentava. Accogliendo il rumore, le circostanze, gli oggetti, gli avvenimenti, non ci spogliamo dello stato profondo. E’ il passaggio, in termini tecnici, del samadhi senza oggetto o samadhi completo, che è lo stato naturale.

Nello stato naturale non dobbiamo aspettare che l’oggetto sparisca, per gioire della pace del Se. In presenza dell’oggetto, noi siamo la pace in seno alla quale l’oggetto appare.

D.: Il rifiuto di uno stato ordinario, considerato come “inferiore”, è qui, senza che io me ne curi!

F.L.: Nella tradizione buddista viene detto che, fintanto che vi è differenza tra samsara [2] ed il nirvana, noi siamo ancora nel samsara.

Jean Klein utilizzava un’altra metafora, quella del bambino che va al negozio di giocattoli con sua madre. Attirato dai giocattoli, nel mezzo della folla, perde di vista sua madre ed è afferrato dall’angoscia. Poi la vede nella folla che gli sorride. Rassicurato, ritorna allora verso i giocattoli.

La situazione dell’angoscia, della paura, è quella dell’ignoranza. Lo sguardo che lancia a sua madre è il ritorno alla pace del Sé. Il bambino che ritorna verso i giocattoli, tranquillizzato dalla presenza della madre, non ha più bisogno di vederla per gioire degli oggetti. Gli basta di sapere che è lì.

D.: Ho l’impressione di vivere questo tramite eclissi. Mi perdo negli oggetti, poi sopraggiunge un momento di pace, scompare e mi perdo nuovamente ma, talvolta, vi è come uno sguardo che dimora e rende le cose più dolci. E’ un’oscillazione.

F.L.: Confondiamo due avvenimenti distinti. Il primo è il ritorno degli oggetti ed il secondo il ritorno dell’ignoranza. All’inizio, il ritorno dell’ignoranza si manifesta con il ritorno degli oggetti. E’ simultaneo ed è per questo che assimiliamo i due.

Dopo un ritorno verso il Sé, che è coscienza senza oggetto, la rinascita del mondo degli oggetti si produce nella pace, che è quella del Sé. Non è dunque problematica.

Di seguito, la caduta si produce nuovamente, almeno apparentemente. Ma vi è un intervallo di tempo tra i due avvenimenti, vale a dire il ritorno degli oggetti e la caduta nell’identificazione a questi.

Occorrerebbe provare di stabilire la distinzione, discriminare questi due avvenimenti. Il ritorno degli oggetti è naturale. Non sono un ostacolo alla pace del Sé.

Restiamo senza problema in presenza del mondo manifesto. Possiamo vedere in seguito come ricadiamo nella paura, nel desiderio e, dunque, nella credenza in un individuo separato. Ciò avviene con il ritorno di un pensiero, spesso preceduto da una pulsione pre-mentale, la cui radice è nel corpo, la sensazione. E’ una forma di tensione, di sentimento di mancanza, che non è stato completamente accettato, accolto. Non gli è stato permesso di dispiegarsi totalmente nello spazio della coscienza e di dissolversi al suo interno.

Il cammino naturale verso la stabilizzazione nella pace del Sé si trova nell’allungamento dei periodi che si trovano tra il ritorno verso la coscienza senza oggetto e quello dell’ignoranza. Questa, alla fine, non si manifesterà più. Resteranno allora solo dei periodi di pace senza oggetto e di pace con oggetto.

D.: Percepisco solo un pensiero ed una tensione… non tutti i pensieri. I pensieri provenienti dall’ignoranza sono, in effetti, delle tensioni. Ma esistono altri tipi di pensieri, che sono liberi dalle tensioni, come per esempio i pensieri creativi.

F.L.: Quelli che vedo sono quelli che ritornano dopo un momento in cui provo una pace. Sono tinti delle preoccupazioni abituali. E’ un po’ come una palla di neve che scorre su una pendenza e diviene sempre più grossa. E’ una caduta nell’identificazione ed il corpo si tende come un arco mentre, per esempio, sto solamente lavando i piatti!

L’ignoranza ha delle radici profonde, nel corpo. L’ignoranza, nel suo stato fondamentale, è l’identificazione ad un pensiero, o ad una sensazione? Non lo so. Può essere la storia dell’uovo e della gallina! Forse noi siamo anche predisposti geneticamente all’ignoranza?

Di qualunque cosa si tratti, siamo dalla più tenera età in contatto con degli esseri sottomessi alla paura. Questa è inscritta nei loro movimenti, i loro visi ed i loro corpi. Il bambino è come una pagina vergine. Adotta per mimetismo gli schemi corporei statici e dinamici del suo ambiente ed in particolare di coloro che ama, i suoi genitori.

In modo subcosciente e ad un età molto precoce, quella in cui la nozione di “io” non può ancora essere concettualizzata, questi schemi sono già impregnati. Questa impregnazione, questa integrazione è così ben fatta che, quando l’evoluzione mentale raggiunge un livello sufficiente affinché il bambino possa concettualizzare la nozione di un “io”, il letto è già preparato per accogliere l’ignoranza.

Una rete di contrazioni è già presente quando appare il concetto di “io”. I due entrano in coincidenza. Gli schemi pre-condizionati di contrazione sembrano essere la prova vivente che sono un’entità separata! Perché c’è questa coincidenza? Perché questa coincidenza esiste presso i nostri genitori e ci ancorano in essa in quanto corpo e non in quanto coscienza. Ci vedono come uno psichismo, ma soprattutto come un corpo. “Com’è grande, come sono belli i suoi occhi…”, dicono. Ma non è di noi che parlano.

D.: C’è questa rete di contrazione e vi è possibilità di rilassamento. Talvolta è come se essa potesse non avere fine. Il rilassamento genera un rilassamento più grande, che a sua volta ecc.

F.L.: Si va molto lontano. Queste contrazioni adottate molto presto nell’infanzia e che ci hanno accompagnato per molto tempo mettono spesso molti anni prima di aprirsi. Potrebbe sembrare che la situazione sia disperata ma, di fatto, a partire dal momento in cui noi siamo coscienti, esse si disattivano. Se dovessimo attraversare una sala nella quale vi è un cobra, esiteremmo ad attraversarla se la luce fosse debole. Ma se vedessimo chiaramente, il problema sparirebbe, in quanto potremmo facilmente evitare il serpente.

Quando il problema è visto, è sempre presente, ma perde il suo potere di condurci nell’ignoranza. Se noi gli accordassimo sufficiente interesse è possibile che si liberi assai liberamente della più grande massa di schemi di contrazione, anche se restano ancora delle zone refrattarie. Possiamo passare da una situazione in cui siamo infelici al 99% del tempo a quella in cui possiamo essere in pace al 99% del tempo.

D.: Vivo il disagio, come una rigidità. Quella di non sentirmi adeguato a rispondere ad una data situazione, di sentire una pesantezza, della paura. E’ scioccante di vedere a che punto, sul momento, io creda a tutto ciò, io creda ai miei personaggi.

F.L: La prima volta che mi sono reso conto di questo fu al momento del passaggio alla vita professionale. Durante la vita da studente ero con degli amici. Scherzavamo, facevamo delle sciocchezze, cose simili. Poi cominciammo la vita professionale. La stessa persona, quella con cui scherzavamo così tanto, è divenuto terribilmente serioso. Prende il suo ruolo in modo serioso. E’ incredibile a che punto noi possiamo sposare il nostro ruolo sociale, come ogni altro ruolo!

La rigidità psicologica è legata alla rigidità fisiologica. Alcuni, stringendoci la mano, ci rifiutano, tanto i loro braccio è rigido per mantenerci a distanza. Non sono coscienti di questa rigidità. Prendere coscienza delle nostre rigidità è un primo passo. L’osmosi tra lo psichismo ed il fisico fa che se noi agiamo sul piano fisico agiamo parallelamente sul piano psicologico.

D.: Al di là di tutti i ruoli che “si svolgono in me”, sento più o meno confusamente che vi è qualcosa di più grande. Non sono qui per caso. Vi è un senso alla vita. Qual è? Quale ruolo ha la vita?

F.L.: Occorre vedere lo spettacolo straordinario al quale siamo invitati: la vita, i nostri amici, le persone che ci amano o no. Tutto ciò non è che uno spettacolo. Se andiamo a teatro, non ci chiediamo qual è lo scopo degli accadimenti che si svolgono nell’Amleto, o qual è il futuro dei personaggi dell’Amleto. Il perché del mondo non è nel mondo, come il senso dell’opera di Shakespeare non si trova nell’opera.

Lo scopo del mondo, della vita, è di condurci nella saggezza. Ma una volta nella saggezza, cosa diviene lo scopo della vita? E’ la celebrazione.

Perché andare a teatro? Per il piacere, per la celebrazione. Lo scopo della vita è innanzitutto di condurci verso il Sé, la Saggezza, poi di celebrare la vita. E’ un inno alla gioia.

Dialogo di 3e Millenaire con Francis Lucille, traduzione di Maurizio Redegoso Kharitian

[1] Krishna Menon (1853-1959) era un saggio indiano della non-dualità. Fu conosciuto in Francia essenzialmente grazie a Roger Godel che ritraccia i loro dialoghi riguardanti l’esperienza del risveglio nel suo bel libro “Essais sur l’experience liberatrice” (ripubblicato presso Almora)

[2] Il samsara e’ il ciclo delle rinascite nel quale sono catturati gli esseri non risvegliati. La sofferenza e l’ignoranza caratterizzano il samsara, che si compie con il risveglio, il nirvana.

Fonte: http://www.revue3emillenaire.com/it/dallignoranza-alla-liberta/

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