Il “Tutto”.

Da quando ho scoperto che ci sono solo 6 cose in tutto, ho svoltato sul serio.

Il “Tutto” è una definizione buddhista molto interessante, che descrive la realtà in modo laconico e al tempo stesso profondo. Praticando la meditazione per anni, ne ho scoperto la veridicità, ma anche il grande valore, al punto che posso dire che conoscere il significato del “Tutto” mi ha radicalmente trasformato la vita. E ora vi spiegherò come.

Il Tutto venne descritto dal Buddha in un sermone intitolato Sabba Sutta, cioè “discorso sul Tutto”. In esso viene detto che non esiste altro al di fuori dell’occhio e delle forme, dell’orecchio e dei suoni, del naso e degli odori, della lingua e dei sapori, del corpo e delle sensazioni tattili, della mente e degli oggetti mentali.

Si tratta di 6 coppie, costituite dai 6 sensi e dai rispettivi oggetti. Nel buddhismo e in generale nel pensiero indiano, i sensi sono 6, dal momento che ai 5 sensi che consideriamo in occidente, viene aggiunta la mente. Questo ha una sua logica, se si considerano i sensi come “porte” attraverso cui passano le sensazioni che ci fanno interagire col mondo. Gli organi sensoriali e i rispettivi oggetti vengono chiamati “basi” o “sfere” sensoriali (ayatana).

Accettare l’idea che tutto passi da quelle sei “porte” è abbastanza facile. Sarebbe anzi difficile negarlo. Ben diverso è convincersi del fatto che non esiste nient’altro. Eppure, più passa il tempo, più mi sembra che sia proprio così.

Facciamo un esperimento. Mi metto seduto in meditazione, cioè me ne sto fermo, in silenzio, a prendere nota di tutto ciò di cui vengo a conoscenza. Qualsiasi cosa sia. Posso starci per 5 minuti, come per 5 giorni. In tutto quel tempo non potrò conoscere altro rispetto alle forme e colori che vedono i miei occhi, ai suoni che sentono le mie orecchie, agli odori che intercetta il mio naso, ai sapori che percepisce la mia lingua, alle sensazioni tattili che passano per il mio corpo, ai pensieri e agli stati d’animo che si producono nella mia mente.

Cos’altro c’è? Non credo che troverei altro, anche se dovessi rimanere seduto lì per 5 anni. Oltre tutto, ciò che riesco a conoscere in questo modo è molto interessante, tutt’altro che circoscritto.

Qualcuno potrebbe obiettare che la mia esperienza è limitata dal fatto che rimango immobile. Se me ne andassi in giro per il mondo, troverei altre cose, al di fuori di quei 6 abbinamenti?

Perché il Tutto è vero.

La prima cosa che ho imparato sull’insegnamento sul Tutto (da non confondere con la teoria del tutto) è che esso è molto vero. È molto facile capire perché.

Un altro degli insegnamenti fondamentali del Buddha è quello che non esiste altro che il presente. Il passato, infatti, non c’è più e il futuro non c’è ancora, per cui l’unica cosa reale è solo quello che viviamo nel presente.

Quello che percepisco coi miei 6 sensi è ciò che avviene nel presente, dunque, le uniche cose vere. Ecco che il Tutto, che all’inizio di questo articolo forse vi è sembrata una formulazione un po’ stranuccia, appare più reale che mai. Al di fuori di quelle 6 cose, non c’è proprio niente.

Perché il Tutto è importante.

C’è un’altra cosa veramente molto molto interessante che emerge dall’osservazione di noi stessi, mentre coi nostri 6 sensi interagiamo col mondo. Quella che noi chiamiamo “realtà” è principalmente una creazione della nostra mente. Non credo di esagerare.

Il maestro zen Thich Nhat Han, che spiega sempre tutto in modo molto semplice, dice che non esiste qualcosa, chiamato “vedere”, che possa essere separato da ciò che viene visto. Il vedere avviene quando i nostri occhi vengono in contatto con forme e colori. La coscienza, cioè, si forma nell’istante in cui c’è sia la base sensoriale sia il suo oggetto.

Entrambi gli elementi sono indispensabili. Perciò quando coi nostri sensi percepiamo qualcosa, noi stessi diamo un contributo molto importante al fatto che quella cosa esista. Magari la percepiamo come una realtà oggettiva, ma non è oggettiva proprio per niente.

La dimostrazione che siamo noi stessi a creare la realtà che percepiamo, ce l’abbiamo di continuo, ma non vogliamo vederla. Quante volte ci sbagliamo, credendo una cosa, che invece poi si dimostra fosse un’altra? Vediamo una corda in terra e la scambiamo per un serpente. Crediamo che una certa persona ce l’abbia con noi, invece avevamo equivocato le sue parole.

L’equivoco, l’errore, la confusione, sono perennemente presenti nelle nostre percezioni, proprio perché siamo noi stessi a costruirle. Mangio un frutto che mi sembra squisito, per un’altra persona è disgustoso, per un altro animale non sarebbe neanche commestibile. Qual è la verità?

Ecco, un’altra cosa che ho imparato dal discorso sul Tutto è che la sua veridicità sta nel fatto che siamo noi stessi, momento dopo momento, a creare la realtà. Se questa affermazione vi sembra troppo forte, accettate per lo meno che diamo un contributo molto importante a definire quella che chiamiamo realtà.

Essere consapevoli del nostro ruolo nel determinare la realtà è importantissimo. Questa consapevolezza – che ho acquisto non sui libri, ma su campo – mi ha fatto capire che molto di quello che mi succede dipende da me. A questo punto potrei dire che il nostro successo, o la nostra fortuna, è nelle nostre mani e cose del genere. No non mi interessa e in fin dei conti non è neanche tanto vero.

Il punto è che se capiamo che molto di ciò che osserviamo o che ci succede, siamo noi stessi a crearlo, è più facile metterci l’anima in pace. Accettare la realtà per quello che è. Non prendersela col mondo perché è diverso da come ce lo aspettavamo. Non arrabbiarci inutilmente di continuo.

Questo non significa essere passivi e accettare qualsiasi cosa, anche se la riteniamo ingiusta. Significa semplicemente capire, che è già un bel progresso.

La fonte di tutti i nostri problemi.

Ora passiamo alla parte più complicata, ma che per me si è rilevata altrettanto utile per vivere la mia vita in modo sereno.

Rimaniamo sempre nell’ambito degli insegnamenti del Buddha, a proposito dei quali vi ricordo che il seguirli non ha nulla di religioso. Il Buddha, un grande psicologo, con una capacità di visione incredibile, di cui ancora oggi possiamo beneficiare, senza aderire ad alcun credo e senza spendere un soldo.

Ecco come funziona. Quando un oggetto dei sensi arriva in prossimità di un organo recettivo – ad esempio un suono raggiunge l’orecchio – si crea il contatto tra i due. Tale contatto fa emergere la coscienza. In parole povere, sento quel suono. Si è creata una sensazione. Tale sensazione può essere piacevole, spiacevole o neutra. Lo schema che segue illustra il meccanismo.

l meccanismo che dal contatto con gli oggetti sensoriali porta all’attaccamento o all’avversione secondo il Chachakka Sutta

A questo punto iniziano i problemi. La sensazione – a seconda che sia piacevole, spiacevole o neutra – provoca in me una reazione. Tipicamente, vorrei che non smettesse mai, se mi piace, o la rifiuto, se non mi piace. Questo meccanismo, per il Buddha, è il fondamento di tutti i nostri problemi.

L’attaccamento o l’avversione sono le due facce della stessa medaglia, la nostra innata capacità di non saper stare in pace in questa vita. Di non accettare le regole del gioco, anche se sono le stesse per tutti e le conoscevamo sin dall’inizio.

Scenario macro e scenario micro.

Bei discorsi, penserete, troppo difficili da mettere in pratica. No! Ho scritto questo articolo proprio per condividere con voi il fatto che, per mia esperienza personale, possiamo davvero cambiare radicalmente e in meglio la nostra vita. E tutto questo grazie a un discorso di poche frasi, formulato da un tizio indiano 2.500 anni fa.

Una caratteristica del buddhismo è che esso insegna tante cose verosimili, ragionevoli e utili, ma conoscerle non serve a niente, di per sé. Bisogna sperimentarle direttamente, attraverso una costante, convinta e incessante pratica di meditazione. Non c’è altro modo.

Prendiamo ad esempio il meccanismo che ho descritto sopra, enunciato nel discorso, sempre del Buddha, noto come Chachakka Sutta.

Noi sappiamo che la brama nei confronti di qualsiasi fenomeno – che si può esprimere sia sotto forma di attaccamento che di avversione – è la causa di tutti i nostri problemi. O meglio, della sofferenza che scaturisce dai fatti della vita. E i fatti sgradevoli o dolorosi sono inevitabili. Questo è lo scenario macro.

Quello che possiamo fare è creare artificialmente uno scenario micro, nel quale riprodurre lo stesso meccanismo, ma con fenomeni di poca o nessuna importanza, tanto per esercitarci ad affrontarli in modo diverso, con equanimità. Questo scenario micro si chiama meditazione.

Mentre me sto seduto, in silenzio, emergono di continuo nella coscienza dei fenomeni, come ad esempio suoni, sensazioni tattili, formicolii, piccoli dolori, pensieri, stati d’animo. A forza di farlo tutti i giorni, riesco pian piano a vedere come a ogni fenomeno, anche minimo, corrisponde una mia reazione, generalmente di attaccamento o di avversione. Questo mi piace, quest’altro no.

Daje e daje, come diciamo a Roma, il meccanismo ci diventa familiare e cominciamo a vedere quanta della nostra sofferenza – nei piccoli e nei grandi fatti della vita – sia dovuta al nostro atteggiamento reattivo. Ad ogni stimolo ricevuto, corrisponde una reazione, per lo più automatica. Ecco da dove vengono i guai!

L’importanza del consumo consapevole.

Un altro aspetto importante che ho avuto modo di sperimentare, mettendo in pratica l’insegnamento del Tutto, è l’importanza del consumo consapevole. Con tale termine sto facendo riferimento non tanto a ciò che acquistiamo, quanto a tutto ciò con cui entriamo in contatto tramite i nostri 6 sensi.

Ogni giorno entriamo in contatto con forme, colori, suoni, sapori, storie, idee, parole e forme espressive degli altri. Tutto ciò plasma, nel tempo, ciò che noi siamo. In questo senso, il suggerimento del Sabba Sutta, che non esiste nient’altro al di fuori delle 6 coppie di basi sensoriali, assume un valore ancora più grande.

La consapevolezza mi ha portato nel tempo a scegliere con sempre maggior cura gli “oggetti dei sensi”. Passando la mia vita in città, ho scoperto quanto è prezioso, per me, stare a contatto con gli elementi naturali.

La TV non la prendo neanche in considerazione, a parte ciò che posso scegliere tramite le piattaforme in streaming, la radio la sento molto poco. Leggo solo ciò che mi sembra utile o che mi aspetto sia particolarmente bello. Appena posso, scelgo il silenzio. Doso con parsimonia le conversazioni inutili, che a volte sono inevitabili, per una questione di cortesia. Tutto questo ha innalzato enormemente la qualità della mia vita.

L’ultima buona notizia che vorrei dare è che, per beneficiare di tutto ciò che ho descritto, non c’è bisogno di essere delle persone illuminate, dei super campioni di meditazione. Io non sono affatto una persona illuminata, non passo il mio tempo a meditare, ho una vita normale, con una famiglia e un lavoro impegnativo. Vivo addirittura in due città diverse. Eppure, quel tanto al giorno di pratica, alla quale non rinuncio mai, mi sta davvero cambiando la vita.

Paolo Subioli

Fonte: https://zeninthecity.org/tutto/

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