Jacques Castermane: La vita in atto.

Terra x Blog + Nero 2015

La vita in atto.

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Articolo tratto da: 3ème Millénaire n.93

3M.: In un cammino di conoscenza di sé ci si trova confrontati rapidamente con la questione dell’io, del me. In altri termini, chi agisce? Come vivere il modo in cui l’io può avere forme multiple in un cammino a finalità spirituale?

J.C.: Ognuno di noi si identifica a quel livello d’essere che riassume nella parola me, senza dubitare che ci possa essere un’altra parte di sé, un altro livello d’essere, cui avere accesso. Credo che sia ciò che mi ha toccato nell’incontro con K.G.Durkheim. Egli parla del me esistenziale e di un altro livello d’essere che chiama Essere Essenziale. Preferisco Natura Essenziale.

Un’azione ordinaria, della vita quotidiana, l’azione di un artigiano o di un artista, può radicarsi nel me ordinario, ma può anche radicarsi a un livello più profondo, la nostra essenza. La questione allora è sapere se esiste un metodo permanente di scoprire quest’altro livello e rimanerci. Durkheim ci propone degli esercizi che permettono il passaggio da un livello all’altro. Io ho avuto la fortuna di praticare l’aikido, il tiro con l’arco e la cerimonia del tè. Questi sono cammini di scoperta e di conoscenza di sé.

Partecipando ad una settimana di pratica intensiva di meditazione senza oggetto, diretta da un maestro Zen giapponese, avevamo un colloquio quotidiano con lui. Avevo molte domande da porgli. Ma ecco che lui mi fece una domanda: “Quando respiri, chi è che respira?”

Ho trovato questo così ridicolo e superficiale in confronto alle domande su di me, che alzando le spalle gli risposi: “ma, quando respiro, sono io che respiro.”

Fu preso d un folle riso che mi meravigliò, ma poi il suo viso cambiò e con uno sguardo severo mi disse: “Se sei tu che respiri, smetti di respirare!”

Fu uno shock decisivo per l’intera mia vita. Facevo l’esperienza che c’è una realtà in me che partecipa all’impossibile, un livello d’essere dove il me non può fare niente. E che quell’impossibile è l’origine stessa della mia vita, della mia esistenza.

Siamo condizionati a cercare l’Essenza in una trascendenza, a cercare l’origine all’esterno. E là per me è stata la scoperta dell’essenza immanente. Questo mi ha immerso in una quiete interiore, in una serenità di cui non avevo ancora fatto l’esperienza. Quando vivete nella pienezza dell’essere, non si pone più la questione del senso della vita, perché ciò che sentite dà un senso. Avevo l’impressione di non aver più rapporto col passato e coll’avvenire. Non c’era che il presente. E questo elimina i rimpianti e le preoccupazioni!

3M.: La comprensione fu immediata. Quella conoscenza subitanea è liberatrice, all’istante. Ma il corso della vita quotidiana riprende e si cominciano a sperimentare i due mondi: quello della personalità con i contorcimenti, le paure, i desideri e il mondo della Natura Essenziale. La coabitazione in noi di quei due mondi genera sofferenza, che è al livello della personalità, poiché è da lì che vengono i giudizi su di sé, le ferite che ci si infliggono. Per esempio ci si dice: “ Per arrivarci occorre una disciplina di meditazione”, ma scopro che non ne sono capace!… Che fare di questa confusione?

J.C.: La personalità è il me psicologico cui siamo identificati. Al momento della nascita viviamo in un me naturale, il nuovo nato è un essere della natura. Fino a quella seconda nascita, la nascita della coscienza di essere un me che è, al tempo stesso, la coscienza del mondo degli oggetti. Sorge allora una sofferenza che l’animale non conosce. Sofferenza di una mancanza, di non essere più quello che si è stati, nostalgia che in fondo si è, ma che si ignora.

Quando si soffre, si cerca di guarire da quella sofferenza. Dopo Freud è soprattutto verso la psicanalisi e la psicoterapia che la persona che soffre si orienta. Oggi si propongono molte varianti terapeutiche, che tutte si propongono lo stesso scopo: guarire il me che soffre.

Ma ciò che mi ha sconvolto, diventando discepolo di Durkheim, è la scoperta di un lavoro su di sé che ha per scopo la guarigione dal sé! E’ QUELLO CHE FA LA DIFFERENZA TRA LE VIE PRAGMATICHE E LA VIA SPIRITUALE.

Fin tanto che tenteremo di guarire il me, saremo sconfitti. Ci saranno sicuramente momenti di benessere, che alterneremo a momenti duri, perché quel livello d’essere, il me è quello dei contrari, dell’opposizione, della dualità.

Le terapie pragmatiche ritengono la guarigione uno stato contrario allo stato di malattia. Ma può esserci un’enorme onda che porta via tutto: un dramma familiare, la diagnosi di una grave malattia, la morte di una persona cara. Si può guarire da questa sofferenza cercando il contrario di…? Come dice un maestro zen, non si può calmare un oceano battendo le onde con dei rami. Ma basta stare sotto il livello delle onde per fare l’esperienza di un gran silenzio e di una grande calma.

A lato delle terapie pragmatiche, che fanno del loro meglio per guarire il me, oggi si fa largo una terapia che ha per scopo guarire dal me, perché il me cui sono identificato è la causa prima della sofferenza.

La nostra via spirituale si colloca ad un altro livello d’essere: la nostra natura essenziale velata dal me mondano. La guarigione dal me lascia il posto allo stato di salute fondamentale di ogni essere umano: la pace interiore, la serenità, la calma, qualità che mancano all’uomo contemporaneo.

Avete ragione, non dura. Sento questo tutti i giorni. Ma niente dura. Il sole stesso è a metà della sua esistenza. Il cammino spirituale non è lineare. Se penso che cominci da A e arrivato a B sia finito, sono nell’illusione. Vedo piuttosto il cammino spirituale come una circonferenza. Bisogna, senza posa, ritornare a quella guarigione dal me. Da qui la necessità di un esercizio quotidiano. Non ci sarà mai un cambiamento definitivo, ma posso sempre, un po’ più in fretta, riprendermi e uscire dalle illusioni del me.

3M.: Quel lavoro quotidiano nutre un richiamo in noi, una vibrazione che si può sentire…

J.C.: Tutti noi abbiamo la nostalgia di quell’altro livello d’essere, la nostra natura essenziale. La via dell’azione, tracciata da Durckheim al suo ritorno dal Giappone, è un lavoro di desegoconcentrazione: staccarsi da quel processo chiuso nel concetto me.

E’ un lavoro di riconoscimento del me – io voglio (cos’è che io voglio? Ciò che non è) .

E’ un lavoro di riconoscimento del me – io non voglio (Cos’è che rifiuto? Ciò che è)

Mille volte al giorno il me giudica. Questo va bene per me, questo no.

Non posso fare niente per giungere quell’altra realtà che è la mia essenza. Quello che posso fare è liberarmi da ciò che vela questa realtà. La via spirituale è un lavoro sull’ego per liberarci dall’ignoranza di ciò che non manca, la nostra essenza.

3M.: Ricordate un lavoro quotidiano. Il lavoro a cui invitate, secondo la vostra esperienza, è quello della seduta. Quando ci si siede, o ci si trova in un momento di calma, la prima cosa che appare è me. Si realizza che i ribollimenti interiori appaiono alla coscienza. Che fare di quel momento?

J.C.: Questa domanda richiede di chiarire cos’è la pratica meditativa. Su quella via spirituale che è lo zen, la pratica della seduta è un esercizio fisico. Il tiro con l’arco, l’arte della spada sono esercizi fisici. L’esperienza dell’essere è una esperienza fisica. La cosa più importante per un occidentale è scoprire una dimensione del corpo cui in occidente non abbiamo accesso.

Durckheim ci aiuta facendo la distinzione tra il corpo che l’uomo ha e il corpo che l’uomo è. Per noi il corpo è un oggetto di funzionamento, come un’automobile. Lo esercito con esercizi fisici il cui scopo è di essere in forma. Chi pratica la meditazione scopre che il corpo non è qualcosa.

Il corpo è azione. Osservate una persona che ha espirato. Il corpo è ben visibile, tutto è ancora lì, tranne l’azione. Se la persona che ha appena espirato potesse manifestarsi ancora con un battito di ciglia, se il suo petto potesse testimoniarsi sollevandosi che respira. Ma no, non c’è il minimo gesto, la minima azione. Il corpo è azione, perché ciò che si chiama la vita, l’essere, è azione.

Finché l’uomo vive, possiamo distinguere due livelli d’azione: le azioni fatte dal me e quelle che vengono dagli effetti naturali dell’essere. Ho imparato a fare molte cose col mio corpo: nuotare, correre, saltare, ecc. Queste sono azioni fatte dal me. Ma quando nella meditazione porto l’attenzione al va e vieni della respirazione, osservo un’azione dell’essere. Questa, che è un effetto naturale dell’essere in potenza e in atto, non può essere fatta dal me.

La piena coscienza del respiro apre la porta alla calma interiore, qualità d’essere che è già presente nel più profondo dell’essere, ma che spesso ignoro perché sono chiuso in quell’altro livello d’essere che è il me inquieto e agitato. Facendo regolarmente l’esercizio della meditazione, rinnovo l’esperienza della calma, sintomo dello stato di salute fondamentale dell’essere umano.

3M.: In occidente l’intelletto è messo su un piedistallo. Il distacco col corpo che si è risulta molto netto, come se si portasse la testa alla fine del braccio, tagliato dalla sensibilità. Proponete un ritorno ad un’attenzione corporea senza che questa attenzione sia volontaria (quindi vuota da ogni attenzione dell’ego). Questa attenzione è un nutrimento per il corpo e per l’anima, un po’ come sentire che quando si ha sete, bere fa bene…

J.C.: Si, l’uomo contemporaneo ha sete di senso. Cerca il senso all’esterno, in un mondo che sarebbe diverso, in una società che sarebbe meglio organizzata, con un’altra politica. Risultato, si annega nel non senso che gli propone il mondo esterno. Però, se guarda nel profondo di sé, troverà in sé il senso.

Se l’intelletto e i suoi prodotti potessero dare il senso, si saprebbe. Consacrare un momento della giornata ad un esercizio che permetta il passaggio dal pensare al sentire, è un dono che ognuno si può offrire. E ciò non vuol dire che il pensiero sia un nemico da abbattere.

3M.: In effetti, si trova spesso l’idea che il pensiero sia il nemico. Forse questo deriva da una confusione tra diversi livelli di pensiero?

J.C.: C’è il pensiero autonomo, l’attività mentale ordinaria, spesso inutile perché non è in relazione con il momento presente. Sono i pensieri che mi fanno correre nel passato o nel futuro. Questa è una malattia della mente umana. La pratica meditativa, l’attenzione alla sensazione vi libera da questa attività mentale incessante.

Tchouang Tseu dice: “Se pensi non percepisci, se percepisci non pensi”. La semplice attenzione al va e vieni del respiro, che si percepisce con la sensazione vi libera istantaneamente da questa malattia mentale. E’ un momento di guarigione.

Traduzione della Dr.a  Luciana Scalabrini.

Jacques Castermane: http://www.centre-durckheim.com/v2/accompagnement.html

Fonte del Post: http://www.revue3emillenaire.com/it/?p=453

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