Jean Klein: Raggiungere cosa?

Raggiungere cosa?

“L’idea che ci sia attualmente qualcosa da raggiungere è profondamente radicata, perciò continuiamo a vivere nel processo del divenire, proiettando energia per prendere e per conservare qualcosa.

Ma un ascolto senza motivazione ribadisce la convinzione che qui non c’è realmente nulla da guadagnare o da perdere; allora il condizionamento cade dalla mente, l’agitazione si placa e si fa la tranquillità.

Diventate allora come il pescatore che non controlla né il pesce né l’acqua. Egli si limita ad essere attento. E giunge a sentire che ogni cosa è contenuta in questa attenzione, in questo sguardo silenzioso, che non vi è nulla oltre a ciò.

È allora che vi trovate sulla soglia del vostro vero essere. Ma non c’è sforzo di volontà che vi ci possa condurre.”

Jean Klein

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“In certi momenti, soli con noi stessi, sentiamo una grande carenza interiore. Questa è la motivazione-madre, che genera le altre. Il bisogno di colmare questa carenza, di estinguere questa sete, ci spinge a pensare, ad agire.

Senza neppure soffermarci a interrogarla, fuggiamo da questa insufficienza, cerchiamo di ammobiliarla talora con un oggetto, talora con un progetto e poi, delusi, corriamo da una compensazione a un’altra, di fallimento in fallimento, da un dolore ad un altro, da una guerra all’altra. È il destino al quale son votati i mortali comuni, coloro i quali si rassegnano a questo stato di cose, e che lo ritengono inerente alla condizione umana.

Vediamolo un po’ più da vicino. Ingannati dalla soddisfazione che ci forniscono gli oggetti, constatiamo che finiscono col darci sazietà e persino indifferenza, che ci fanno contenti un istante, ci portano alla non-carenza, ci fanno tornare a noi stessi e infine ci stancano; essi hanno perduto la loro magia evocatrice.

La pienezza che abbiamo sentito non si trova dunque negli oggetti, ma in noi e noi concludiamo, a torto, che essi siano stati gli artefici di quella pace. L’errore sta nel considerare questi ultimi come condizione “sine qua non” di quella pienezza.

In quei momenti di gioia, questa esiste di per se stessa, null’altro è là. In seguito, rievocando quella felicità, le sovrapponiamo un oggetto che crediamo ne sia stato la causa e, così facendo, oggettiviamo la gioia.

Se constatiamo che questa prospettiva che ci siamo costruiti non può portarci altro che una felicità effimera, che essa è incapace di darci quella pace durevole che si trova in noi stessi, finiremo col capire che nel momento in cui saremo pervenuti a quell’equilibrio esso non è stato provocato da alcun oggetto; e che la contentezza definitiva, gioia ineffabile e inalterabile, senza motivo, è da sempre presente in noi. Essa ci era soltanto velata.”

Jean Klein

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Domanda: Personalmente trovo che ho sempre meno energia per fare uno sforzo in una qualsiasi direzione.

J.K.: “Lei non può fare uno sforzo senza una tensione. Ma perché fare uno sforzo? Soltanto perché lei mira ad un risultato, a qualcosa che è fuori di lei. Ma quando sa veramente che quello che cerca è la sua vera natura, allora si libera dall’impulso di sforzarsi.

Prima di tutto, osservi dunque che lei sta costantemente facendo uno sforzo. Quando lei sarà consapevole di questo processo, si troverà fuori di esso. E potrà arrivare alla percezione originale di essere lei stesso davvero silenzio.”

D.: Ma questo vedere non richiede nessuno sforzo?

J.K.: “No. Questo vedere è il vostro stato naturale. Siate soltanto consapevoli del fatto che non vedete. Diventate più consapevoli del fatto di essere continuamente in reazione.

Vedere non richiede sforzo, perché la vostra natura è vedere, essere silenzio. Quando non cercate più un risultato, non cercate di criticare, di valutare o di concludere, ma osservate soltanto, allora potete percepire questa reazione e non esserne più complici.”

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Fonte: https://www.facebook.com/jeanklein.italia/

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