Jiddu Krishnamurti: Sincerità.

Sincerità.

C’era una piccola striscia di prato verde, con fiori variopinti ai suoi margini. Era un praticello ben tenuto, al quale si prestavano le maggiori cure, perché il sole faceva del suo meglio per bruciare l’erba e far avvizzire i fiori. Oltre quel delizioso giardino, al di là di molte case, si stendeva il mare azzurro, che scintillava al sole e vi navigava una vela bianca. La stanza si affacciava sul giardino, dominava le case e le cime degli alberi e dalle sue finestre, al mattino presto e nella prima sera, il mare era bello a guardarsi. Durante il giorno le sue acque si facevano dure e rilucenti; ma c’era sempre una vela, anche di pieno mezzogiorno. Il sole tramontava nel mare, formandovi un rosso sentiero sfavillante; non c’era crepuscolo. L’astro della sera pendeva basso sull’orizzonte e scompariva. Il falcetto della luna neonata catturava la sera, ma poi essa pure spariva nel mare inquieto e le tenebre calavano sulle acque.

Egli parlò lungamente di Dio, delle sue preghiere del mattino e della sera, dei suoi digiuni, dei suoi voti, dei suoi ardenti desideri. Si esprimeva con molta chiarezza e precisione, non esitava a scegliere la parola adatta; la sua mente era bene addestrata, poiché la sua professione lo esigeva. Era un uomo sveglio, dagli occhi lucenti, sebbene ci fosse una certa rigidezza nei suoi modi. Ostinazione nel perseguire i suoi scopi e una certa mancanza di duttilità apparivano nel modo in cui teneva il corpo.

Egli era ovviamente spinto da una straordinaria forza di volontà e, sebbene sorridesse facilmente, la sua volontà era sempre vigile, stava sempre all’erta, era predominante. La sua vita quotidiana era un modello di regolarità ed egli abbandonava le sue abitudini stabilite solo per forza di volontà. Senza volontà, diceva, non poteva esservi virtù; la volontà era essenziale per abbattere il male.

La battaglia tra il bene e il male era perenne e la volontà, sola, poteva tenere a bada il male. Aveva tuttavia anche un lato gentile, perché amava ammirare il prato e i fiori gai e sorrideva; ma non permetteva mai alla sua mente di vagare al di là del quadro fissato dalla volontà e dalla sua azione.

Sebbene evitasse accuratamente parole aspre, ira e scatti d’impazienza, la sua volontà lo rendeva violento in modo strano. Se la bellezza s’accordava al quadro dei suoi propositi, allora l’accettava; ma faceva sempre capolino il timore della sensualità, il cui rodimento egli si studiava di contenere. Era colto e civile e la sua volontà lo accompagnava come la sua ombra.

La sincerità non può mai essere semplice; la semplicità è il terreno di coltura della volontà e la volontà non può scoprire i modi dell’io. La conoscenza di se stesso non è il prodotto della volontà; la conoscenza di sé viene in essere attraverso la consapevolezza delle risposte, momento per momento, agli stimoli della vita.

La volontà esclude queste risposte, o reazioni, spontanee, che sole rivelano la struttura dell’io. La volontà è l’essenza medesima del desiderio e, per la comprensione del desiderio, la volontà diviene un ostacolo. La volontà sotto qualunque forma, sia della mente superiore sia dei desideri profondamente radicati, non può essere mai passiva; ed è soltanto nella passività, nel silenzio vigile, che la verità può essere.

Il conflitto avviene sempre tra desideri, a qualunque livello si trovino i desideri. Il rafforzarsi di un desiderio, in opposizione agli altri, non fa che generare una resistenza ulteriore e questa resistenza è la volontà. La comprensione non può mai venire attraverso la resistenza. Ciò che importa è comprendere il desiderio, non annientare un desiderio con un altro.

Il desiderio di conseguire, di ottenere, è la base della sincerità; e questo stimolo, sia superficiale che profondo, opera in conformità, che è il principio della paura. La paura limita la conoscenza di sé allo sperimentato, per cui non c’è possibilità di trascendere lo sperimentato. Così limitata, la conoscenza di sé coltiva soltanto una più ampia e profonda coscienza di sé, l’ «io», ponendosi sempre più a differenti livelli e a periodi differenti; onde il conflitto e il dolore continuano.

Possiamo deliberatamente obliarci o perderci in qualche attività, coltivando un giardino o un’ideologia, fomentando in tutto un popolo un rabbioso desiderio di guerra; ma siamo ora il paese, l’idea, l’attività, il dio. Più grande l’identificazione, più il nostro conflitto e il nostro dolore sono nascosti, onde la lotta perenne per identificarci con qualche cosa.

Questo desiderio di unificarci con un oggetto prescelto porta al conflitto della sincerità, la qual cosa nega all’estremo la semplicità. Potete ricoprirvi il capo di ceneri, o cingere un perizoma, o vagabondare come mendicante; ma questa non è semplicità.

La semplicità e la sincerità non possono mai andare insieme. Colui che s’identifica con qualche cosa, non importa a quale livello, può essere sincero, ma non è semplice. La volontà di essere è l’antitesi stessa della semplicità. La semplicità viene in essere con la libertà dall’impulso acquisitivo del desiderio di conseguire.

Conseguire è identificazione e l’identificazione è volontà. La semplicità è la coscienza sollecita e passiva, in cui lo sperimentatore non registra l’esperienza. L’analisi dell’io si oppone alla coscienza negativa; nell’analisi c’è sempre un motivo: essere liberi, comprendere, guadagnare e questo desiderio non fa che accentuare la coscienza di sé. Parimenti, le conclusioni introspettive arrestano la conoscenza di se stessi.

Tratto da: “La mia strada è la tua strada”, di Jiddu Krisnamurti

Fonte: https://www.pomodorozen.com/zen/sincerita-jiddu-krishnamurti/

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