Jon Kabat-Zinn: Connettersi con se stessi.

Connettersi con se stessi.

Si parla sempre di connessione, di potenzialità di collegamento; e il collegamento con noi stessi?

Stiamo diventando così connessi con tutti gli altri, da non trovarci mai lì dove siamo in realtà? In spiaggia con il cellulare all’orecchio: siamo davvero in spiaggia? Per strada con il cellulare all’orecchio: siamo davvero per la strada? Al volante, a parlare al cellulare: siamo davvero al volante? Di fronte all’accelerazione del ritmo di vita e alle possibilità di collegamento istantaneo, dobbiamo proprio lasciar fuori dalla finestra la possibilità di stare nella nostra vita?

Che ve ne pare dell’idea di non collegarsi con nessuno, nei momenti di intervallo? E anzi, dell’idea che, in realtà, non c’è proprio nessun momento di intervallo? Che ve ne pare dell’idea di essere in contatto con colui o colei che si trova a questo capo della linea, non all’altro capo? Dell’idea di invocare un cambiamento e verificare, vedere, se siamo pronti a farlo? Che ne dite di essere semplicemente in contatto con come ci sentiamo, anche nei momenti in cui magari ci sentiamo confusi o sopraffatti o annoiati o sconnessi o ansiosi o depressi o « abbiamo ancora un’altra cosa da fare »?

Che ve ne pare dell’idea di essere collegati al nostro corpo e all’universo di sensazioni tramite il quale percepiamo e conosciamo il panorama esterno? Di soffermarci più a lungo, che non il solito attimo distratto e automatico, consapevoli di tutto ciò che sorge nella mente in ogni specifico momento: emozioni e umori, sensazioni e sentimenti, pensieri, convinzioni?

Che ve ne pare di soffermarci, non solo sul loro contenuto, ma anche sul « tono », sull’effetto che fanno, sulla loro realtà di energie e avvenimenti significativi nella nostra vita, come enormi serbatoi di informazioni per comprendere noi stessi, per trarre davvero sostentamento da ciò che conosciamo e capiamo?

Che ne dite di coltivare un quadro più ampio, che comprenda noi stessi a tutti i livelli, anche se l’immagine è sempre un work in progress, sempre approssimativa, sempre mutevole, che emerge oppure non riesce a emergere, a volte con chiarezza altre no?

Per la maggior parte del tempo, la nostra recente connettività tecnologica non è al servizio di uno scopo reale, ma è mera abitudine e sposta più avanti i confini dell’assurdo, come nella vignetta pubblicata sul New Yorker:

Chi sono? Ah già, l’avevo quasi scordato: siamo tutti noi. Che c’è di male a salire in treno o a scenderne senza comunicare questo frammento vitale di informazione? Non c’è più nessuno che si limiti a scendere dall’aereo o ad andare a una festa nel vecchio modo, che usi il cellulare per i casi di bisogno? Se non stiamo attenti, fra poco succederà che « Adesso sono in bagno. Ora mi sto lavando le mani ». C’è proprio tanto bisogno di saperlo?

Se lo dicessimo a noi stessi, potrebbe essere solo un’annotazione consapevole della nostra esperienza, piuttosto utile per coltivare la consapevolezza dell’esperienza che si concretizza e si svolge nel momento presente. Sto salendo in treno, e lo so. Sto scendendo dal treno, e lo so. Sto andando in bagno, e lo so. Sento l’acqua scorrere sulle mie mani, e lo so. Mi rendo conto della provenienza dell’acqua pulita, l’apprezzo, so quanto sia preziosa. Questa è consapevolezza incarnata.

Con la pratica possiamo arrivare a vedere che il pronome personale « io » non è poi così necessario: si tratta solo di salire, scendere, andare, sentire, sapere, sapere, sapere…

Tratto da: “Riprendere i sensi”, di Jon Kabat-Zinn

Fonte: http://zeninthecity.org/letture/autori-vari/jon-kabat-zinn-connettersi-con-se-stessi/

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