Jon Kabat-Zinn: Malattia e disagio.

A proposito di malattia e disagio.

“Il mio cuore si consuma a poco a poco; malato di desiderio, legato a un animale destinato a morire, non sa di che si tratti…” W.B. Yeats, Verso Bisanzio

A proposito di malattia e disagio, si può affermare, forse, che il disagio più grande che nasce dalla disattenzione, dalla sconnessione, dalla percezione e attribuzione erronea di cause è l’angoscia tipica della condizione umana: la piena catastrofe, quando la si evita e non la si esamina.

La frase ché apre il fascicolo del nostro “Centro sulla meditazione” parla dei «desideri appena sussurrati del cuore» suggerendo che tutti, in pratica, hanno qualche «desiderio appena sussurrato» più o meno forte, che proviene dal profondo della psiche; tutti hanno una vera vita segreta, una vita piena di sogni e di possibilità che di solito tengono nascosta. Purtroppo, di solito, anche a noi stessi.

Ne consegue una grande sofferenza: spesso manteniamo il segreto per tutta la vita, senza neanche immaginare di essere complici di un autoinganno, che può essere gravemente autodistruttivo e rovinarci la vita.

Il vero segreto qual è? Che, in realtà, non sappiamo chi o cosa siamo, tante sono le preoccupazioni e finzioni in superficie, tanti sono gli atteggiamenti costruiti, interiori ed esteriori, dietro ai quali ci nascondiamo per mantenere all’oscuro noi stessi e tutti gli altri.

Perché non è vero, forse, che in certi periodi ci si riempie il cuore di una quantità apparentemente infinita di desideri insoddisfatti che lo manovrano, perfino lo tormentano? Desideri grandi e piccoli, a prescindere da quanto successo e agio ci si possa attribuire da fuori? E non è vero che siamo vagamente consapevoli, a un livello sotterraneo della psiche, di essere davvero «legati a un animale destinato a morire »? E che non sappiamo chi e che cosa siamo, in realtà?

In tre righe, Yeats cattura tre aspetti fondamentali della condizione umana: uno, che siamo insoddisfatti e che ne soffriamo; due, che siamo soggetti a malattia, vecchiaia e morte, la legge inesorabile dell’impermanenza e del continuo cambiamento; tre, che ignoriamo la vera natura del nostro stesso essere.

Non è arrivato il momento di scoprire che siamo già più vasti di quel che ci consentiamo di credere? Non è tempo di scoprire che è possibile abitare questa conoscenza più ampia e magari liberarci dall’angoscia profonda dell’abitudine persistente a ignorare ciò che più conta?

Io direi che è tempo, già da un bel po’ e quindi adesso è il momento migliore per questa scoperta.

È vero, ogni tanto potremmo percepire i segni del nostro disagio sotto forma di vaghi turbamenti interiori; ogni tanto (di rado) potremmo perfino averne una visione momentanea, quando ci svegliamo disorientati e spaventati nel cuore della notte o quando una persona cara soffre molto o muore, o quando la nostra vita nel suo insieme ci si rivela all’improvviso in tutta la sua evidenza, come se fino a quel momento l’avessimo sempre e solo immaginata.

Ma non è vero anche che, appena possiamo, ci rimettiamo a dormire, letteralmente e metaforicamente e ci anestetizziamo con un diversivo qualunque?

Questo disagio umano di fondo di cui parla Yeats, questo non sapere chi siamo, sembra troppo enorme per poterlo sopportare; dunque lo seppelliamo nel fondo più segreto della psiche, ben lontano dalla luce della piena coscienza.

Come abbiamo visto, spesso ci vuole una crisi acuta per risvegliarci a esso e alle possibilità di guarire davvero, di liberarci dal buio della paura e della rimozione.

L’allontanamento dai segni più profondi della nostra umanità ci fa soffrire molto nel corpo e nella mente: possiamo sentirci consumati, per usare il termine di Yeats, letteralmente «divorati» e quindi rimpiccioliti (in tanti modi diversi), perché trascuriamo la piena realtà di ciò che siamo o magari non la conosciamo neanche o non ne abbiamo convinzione né chiarezza.

In sostanza, questo disagio, questa malattia dell’inconsapevolezza, del non sapere ciò che è davvero essenziale nella nostra natura di esseri viventi, influisce sulla nostra vita di individui in ogni momento e anche nel corso dei decenni.

Può produrre effetti a breve e a lungo termine sulla salute fisica e mentale; influenza inevitabilmente la vita familiare e lavorativa in modi che spesso non si vedono né si scoprono, se non dopo anni, quando si è già prodotto un certo tipo di danno e si sono seguite senza volerlo vie poco sagge.

La sua presenza si riversa anche sulla società e la influenza, tramite i modi collettivi di considerare se stessi e di agire nella professione; pervade le nostre istituzioni e le forme che scegliamo di dare agli ambienti, interiori ed esteriori, in cui viviamo.

Tutto ciò che facciamo è influenzato, in un modo o nell’altro, dal fatto che ignoriamo il malessere di non sapere chi siamo e come siamo. È l’afflizione suprema, questa, la malattia suprema. In quanto tale, dà origine a molte varianti, a molte diverse manifestazioni di angoscia e sofferenza, a livello del corpo, della mente e del mondo.

Tratto da: “Riprendere i sensi”, di Jon Kabat-Zinn 

Fonte: https://www.meditare.net/wp/meditazione/a-proposito-di-malattia-e-disagio-jon-kabat-zinn/

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