La Coscienza, come il Fiore di Loto.

Terra x Blog + Nero 2015

Come il Fiore di Loto.

La realtà di una coscienza risvegliata non ha niente a che vedere con il sentimentalismo e la mielosa compassione. Essa induce non ad essere apparentemente gentili, ma a gettarsi nelle fiamme dell’amore del vero, della compassione reale, nel teatro delle relazioni umane, senza paura e ipocrisia. Senza fingere.

In alcune circostanze la compassione ci chiede di dire di no, di esternare la “verità”, di turbare, scuotere… Per questo ci scuote e ci cura. Non è la verità compassionevole che è terribile, ma il reale, in particolar modo quando si cerca di evitarlo. La lucida compassione ci obbliga a non trascurare nessun aspetto delle nostre vite, in specie quelli che ci sembrano i più brutti e inaccettabili.

Questo modo di affrontare direttamente la cruda realtà delle cose, senza titubanze, di gettarci nella confusione per dissolverla, può sembrare una pazzia, mentre invece è il gesto più creativo che ci sia.

Rimuovere il ciò che è, questa è la codardia. Rifiutandolo, esso ritornerà in altre forme spaventose, sotto l’aspetto di altri fantasmi. Si dovrebbe invece tuffarsi totalmente nel ciò che è. Ma noi invece non vogliamo guardare in faccia la realtà. Facciamo piuttosto il possibile, affinché ogni cosa sia in linea alle nostre aspettative e così siamo o diveniamo schiavi del sogno, della speranzosa fantasticheria.

Invece sarebbe importante non rifiutare nulla di quel che è, di quel che siamo. Se siamo irati, lasciamoci ardere dalla rabbia. Questo è il solo modo di osservarne la chiarezza implicita. Gli altri atteggiamenti che ci portano a smorzarla, capirla, mostrarla, ovvero disfarsene e negarla in ogni maniera, ci fanno restare incatenarti ad ogni genere di timore.

Tutti i nostri tentativi per migliorarci, per essere più corretti o giusti, ci allontanano dall’essenziale. Ogni sforzo di migliorare la situazione dove siamo è fuorviante, rischia di farci allontanare dal ciò che è. E, per essere lì con il ciò che è, occorre entrare in una dimensione meditativa. Ma la meditazione, orientata verso uno scopo, ci svia.

Voler cercare la vacuità, la pace, rilassarsi, essere più amorevoli… sono dei modi per evitare di entrare in uno spazio veramente meditativo, per aiutarci ad avere una apertura incondizionata, uno spirito di accettazione. Accettarsi non vuol dire però non cambiare. Ciò sarebbe una interpretazione strumentale egoica, di comodo, della faccenda. Riconoscersi e accettare di essere irosi, per esempio, non significa che si debba indulgere in questa condizione. Vuol dire piuttosto vedersi onestamente per quel che si è, ora, ma anche diventare consapevoli del perché siamo in quel modo. Tutto questo senza colpevolizzarci, senza condannarci.

Dovremmo perdonare e perdonarci, ma non certo per dirci che andiamo bene così. Altrimenti questa sarebbe una pesante distorsione di un messaggio che è in realtà molto più profondo del: è così e basta! Accettare l’ira d’accordo, ma non necessariamente questa esternata e riversata sugli altri. Cosa c’impedisce allora di non riversarla sugli altri? La non consapevolezza, l’umiltà, l’ascolto…

Va ricordato che con la nozione egoica del distacco compassionevole, dell’accettazione mal compresa del proprio negativo… fiorisce il cinismo della mente, se non c’è il cuore aperto ad accompagnarci.

In sostanza, la spiritualità autentica implica un balzo fuori dagli schemi del pensiero ordinario, ci invita a guardare tutto in un altro modo, cioè dal punto di vista del non ego, a superare il senso del “io”. Se non c’è quest’approccio consapevole e aperto con il ciò che è, rischiamo di non entrare in un rapporto autentico con la vita e con il mondo. Perché più forte è il “senso dell’ “io”, più è problematico entrare in relazione con qualsiasi cosa, compresi noi stessi.

Praj

Fonte del Post: http://blog.libero.it/Prajnaram/13192639.html?ssonc=2116938859

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