La mente non coglie la realtà.

Terra x Blog + Nero 2015

Cogliere la realtà non è un lavoro per la mente.

Prima cosa da comprendere: la nostra mente ordinaria lavora in modo discreto. Non nel senso che si fa notare poco, ma perchè lavora su quantità finite, pacchettizzate. Tutta l’attività che essa svolge segue bene o male un percorso definito, basato sull’energia a disposizione. L’azione della mente quindi ha un inizio, raggiunge un culmine e poi, a velocità più o meno grande, ha un termine.

Questo vale in qualunque intervallo di tempo, anche infinitesimale. La nostra struttura mentale ha basi organiche e quindi non scappa da questa regola. In più, si muove secondo un’ottica “digitale”, nel senso che lavora in modo binario. Tutto quello che si trova tra il “si” e il “no” viene generato dall’emotivo. Noi percepiamo questo insieme con il termine “io“; ovvero quella cosa che va dal “no” al “si” passando per il “boh“.

Detto questo, parliamo di quella che viene definita “presenza”. Ovvero l’essere “qui ed ora”. Quando noi percepiamo la realtà, lo facciamo attraverso i sensi. Questi mandano dei segnali elettrochimici al cervello che li interpreta (ecco la mente che entra in azione) e ci fornisce la sua “versione dei fatti”.

La percezione della realtà avviene a scatti, potremmo dire “a pacchetti” di attenzione e viene sempre provocata da una variazione o da una differenza nella nostra percezione. Il sistema sensoriale (e pure quello mentale) sono infatti basati sulla differenza tra uno stato ed un altro. E’ una cosa radicata a tal punto che se azzerate gli stimoli ad un senso qualsiasi, quello prima o poi va in tilt ed inizia ad inviare segnali a caso al cervello. Basta tenere una mano immobile su un tavolo per sperimentare questa cosa. Lasciatela lì per un tempo sufficiente senza muoverla e vederete che dopo pochissimo non sarete più in grado di dire in che posizione è (azzeramento del sistema sensorio). Lasciatela qualche altro secondo e comincerete a sentirla in posizioni diverse: un po’ a palmo in giù e un po’ a palmo in su. Questo avviene perchè il sistema tattile ha iniziato a generare stimoli casuali verso il cervello.

La nostra attenzione non fa differenza, essendo guidata dalla mente, e percepisce la realtà quando in essa (o nella nostra mente) varia qualcosa. In più, quando i nostri pensieri sono sufficientemente sguinzagliati, si rivolge essenzialmente ad essi, perchè sono la più forte fonte di variazione e, proprio come un missile a ricerca di calore, attraggono la percezione più della realtà.

A questo punto abbiamo perso il contatto con i sensi, a meno che gli stessi non vengano investiti da uno stimolo decisamente importante nel qual caso torniamo a rivolgerli all’esterno. Quindi la nostra percezione della realtà è sporadica, mai dedicata al tempo presente in quanto generata dalla mente (che è sempre nel futuro) o dalle emozioni (che sono sempre nel passato). Raramente dal corpo che, alla fine della fiera, è l’unica parte di noi che vive nel presente.

I nostri momenti di presenza sono distanti tra di loro e molto limitati dal fatto che comunque dipendono dai sensi i quali, mediando qualunque informazione ci raggiunga, frappongono sempre e comunque un ritardo, per quanto minimo, tra quello che accade e la nostra percezione relativa.

Tra un momento e l’altro, quello che accade non viene percepito ma elaborato su base statistica. Per usare un termine informatico, l’accaduto viene interpolato tra un istante e l’altro, ricostruito dalla nostra mente in base a quello che ritiene possa essere accaduto. Ecco perchè, per fare un esempio, sul luogo di un delitto le versioni dei fatti sono tante quanti sono i testimoni: ogni persona vede, sente e percepisce in momenti diversi e produce interpolazioni diverse dei momenti di non presenza, sulla base delle proprie esperienze personali.
Ad esempio se prendiamo l’immagine a sinistra, vediamo che ad un certo punto la nostra mente “riconosce” la scena ma quelli che sembrano due pali sul molo, quando l’immagine diventa definita (immagine a destra), si rivelano per quello che sono: due persone. 

La nostra mente ha interpolato la prima immagine su base statistica, dandoci un’impressione ben diversa dalla realtà, che diventa tale quando la mente interrompe (anche se in questo caso semplicemente definisce) il processo di riconoscimento.

Quello che accade è più o meno un “campionamento” della realtà e può essere spiegato proprio con matematica di base.

Immaginiamo di dover calcolare l’area di un cerchio, senza formule, ma usando delle mattonelle quadrate, di cui conosciamo l’area. Possiamo calcolare approssimativamente l’area del cerchio riempiendolo con le nostre mattonelle. Dato che alcune si posizioneranno parzialmente all’interno del cerchio ed altre parzialmente all’esterno, avremo un’approssimazione dell’area che sarà sempre più precisa al diminuire della dimensione delle mattonelle.

Ora immaginate che il cerchio sia la realtà e le mattonelle siano la nostra attenzione. Va da sé che, quando aumenta il numero delle mattonelle, ovvero quello dei momenti di attenzione, e diminuisce la loro dimensione (quindi diminuisce il tempo tra un istante di attenzione e quello successivo), la nostra percezione della realtà si avvicina sempre di più alla verità.

Quand’è che la nostra percezione è perfetta? Quando  la dimensione delle mattonelle sarà nulla e il loro numero infinito. Ma questo come lo vediamo dal punto di vista della presenza?

E’ concettualmente semplice: la nostra percezione diventa realtà quando essa è costantemente puntuale a tempo zero. Impossibile? Certo, ma solo per la mente che, come abbiamo visto dipende innanzitutto dai sensi e in più ha una struttura digitale, ovvero pacchettizzata che le impedisce di funzionare in modo analogico. In altre parole la mente non può fare quell’operazione di passaggio al limite che invece in matematica ci permette di capire cosa accade quando un differenziale tende ad essere nullo.

In sintesi quindi, per arrivare alla presenza al qui ed ora, dobbiamo riuscire ad andare oltre la mente ordinaria. A quel punto la nostra attenzione sarà al contempo istantanea e costante nel tempo, proprio perchè si esercita costantemente per ogni singolo istante temporale (che quindi diventa un istante senza dimensione).

Essere presenti significa proprio questo. Vivere l’attimo, l’istante. Se ci riusciamo, come per esempio ha fatto Eckhart Tolle, accediamo ad un piano di coscienza completamente diverso che ci consente una visione completamente diversa, superiore, della realtà. Tuttavia attenzione: quello che possiamo percepire è ancora mediato dai sensi oppure, in casi particolari, dalla nostra possibilità di comprensione che, pur esulando dalle logiche abituali, resta comunque limitata a quanto è alla nostra portata dal punto di vista interiore.

La ricerca della verità mira ad espandere proprio questa portata, ad includere nel nostro spazio di esperienza una sempre maggior porzione di realtà. Un viaggio meraviglioso che ci ostiniamo a non voler iniziare semplicemente perchè non abbiamo ancora capito che quel viaggio esiste e, per inciso, è anche l’unico che valga davvero la pena di intraprendere, anche se questo indubbiamente non vale per tutti.

Ci si vede in giro!

Fonte del Post: http://www.francescoamato.com/blog/2016/07/11/cogliere-la-realta-non-e-un-lavoro-per-la-mente/


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