La Via del Dharma: Muoversi con lo Spirito.

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La Via del Dharma: Muoversi con lo Spirito.

Per accedere al movimento dello spirito nella sua purezza dobbiamo lasciare che le cose accadano. Prima di “fare”, dobbiamo imparare a “non fare”. Anche se questo può sembrare assurdo e arzigogolato, in realtà ciò che non facciamo è l’esatto modo di fare le cose…

Secondo l’insegnamento del nobile ottuplice sentiero, prima di avvicinarci a ciò che dobbiamo fare, dovremmo necessariamente imparare a non fare. Anche se questo può sembrare assurdo e arzigogolato, in realtà ciò che non facciamo è l’esatto modo di fare le cose. Il fare è meccanicistico, cervellotico e nevrotico, nel fare diveniamo automi, in quanto impariamo il movimento automaticamente, al pari della macchina. Essere in ciò che si fa invece è completamente diverso: richiede dedizione, movimento amorevole, una mente meditativa totalmente presente. Il fare acquista una valenza ritualistica e il movimento diviene rivoluzionario. Ecco il motivo per il quale le pratiche orientali come il Qi Gong, il Tai Chi Chuan e molte altre stanno prendendo piede in Occidente.

Un esempio lampante viene dalla pratica della contemplazione. Ciò che in quanto “pratica” viene spiegato ricade molto facilmente nel fare e nel momento in cui “facciamo la contemplazione” in realtà siamo lontanissimi dalla contemplazione stessa. Il fare ci stanca, perchè richiede concentrazione, mentre invece la concentrazione non chiede nulla: concentrarsi è qualcosa che accade quando non siamo più concentrati a cercare di fare qualcosa esattamente come crediamo che dovrebbe essere.

Il vero obiettivo da raggiungere.

La meditazione, ad esempio, non può esistere se ci proponiamo il modo di farla. Nella pratica della meditazione esiste solo ciò che esiste e non si aggiunge nulla di superfluo, in essa si stabilisce un legame profondo con la natura delle cose, ciò significa che non può esserci sforzo. Nel tempo si arriva a capire che tutti i nostri sforzi per accedere ad uno stato interiore di benessere non avranno alcuna ricompensa, il movimento non è stato altro che un costante lavorio finalizzato al raggiungimento di qualcos’altro. Lo stesso discorso vale per ogni cosa che facciamo con lo scopo di raggiungere un obiettivo.

Per raggiungerlo è necessario uno sforzo sostenuto: indica che stiamo cercando di raggiungere un punto nel futuro, tramite uno sforzo nel presente e l’insieme di questo movimento, nel fare, ci fa perdere di vista il vero obiettivo. Qual’è dunque l’obiettivo da raggiungere? L’obiettivo è ovunque… Si misura in maniera esponenziale, fino a raggiungere l’intersezione con la natura di ciò che si manifesta nel momento presente. L’obiettivo quindi è il presente, è realizzare ciò che sei adesso, il resto non è altro che una conseguenza.

Il Buddha si accorse che la terra – in quanto legge naturale – e il corpo contengono la chiave per accedere al Nirvana; ma lo spazio che intercorre tra questa esperienza e il punto di partenza, deve essere coltivato con pazienza, fino alla totale estinzione dello sforzo. In tutto ciò che nella pratica buddhista viene automaticamente integrato, non c’è il bene e non c’è il male e soprattutto non c’è più l’atto di fare qualcosa. Nella pratica non esiste il soggetto, non c’è un io che compie l’azione di fare e di conseguenza non c’è l’azione del fare. Prima di comprendere ciò, bisogna comprendere la natura stessa della materia, in quanto “impermanente”, sorretta da un “io” inconsistente, con il quale ci identifichiamo.

L’identificazione è alla base di tutti i nostri mali.

La forma si identifica in altre forme o immagini che evocano altre forme; l’ego, in quanto non corporeo, nasce dall’identificazione con ciò che reputiamo corporeo e nel farlo gli affibbiamo un valore superiore alla natura che lo governa. La natura che governa la forma è ciò che si può definire “non manifestato”, la negazione di ciò che, ad una prima occhiata, con estrema facilità, identifichiamo come unica realtà manifesta. L’errore sta quindi nel valore che inconsciamente diamo alla forma delle cose: maggiore è il valore, maggiore sarà l’identificazione.

La meditazione è, di conseguenza, l’esatto opposto, la negazione della forma e del fare: da essa si sprigiona la consapevolezza, che non ha nulla a che fare con la forma e con il fare qualcosa allo scopo di ottenere qualcos’altro. La consapevolezza è pura, estatica manifestazione della realtà non manifestata; chi riesce ad identificarsi con ciò che non ha forma, accede spontaneamente allo stato di intuizione e quindi si ritrova nel vuoto dello spirito, la stessa sostanza di cui è fatto l’amore.

È dunque meditando che impariamo a lasciare andare le cose nel loro corso e, per farlo fino in fondo, dobbiamo smetterla di fare e cominciare ad essere. Essere significa non identificarsi con nulla, partendo principalmente dal proprio corpo, per arrivare all’oggetto che si relaziona con esso. Essere è la parola alla quale si lega l’anima incorporea, perchè solo nel momento in cui emerge l’essere possiamo ri-conoscerci per quello che siamo.

Tutte queste parole sembrano non arrivare a nulla, se in esse ci vediamo solo una pura filosofia dell’astratto; in realtà non c’è nulla di più pratico e funzionale dello spirito. Lo spirito ci collega naturalmente alle leggi che governano l’Universo, seguire queste leggi non ha nulla a che fare con l’azione, è infatti nella non azione che ci muoviamo verso il centro, mossi da una forza naturale che ci comunica tramite l’intuizione. Di conseguenza, impariamo a non fare nulla meccanicamente e, nel momento in cui la “macchina” non ha più il sopravvento su di noi, diveniamo spirituali e il movimento in quanto azione si compie spontaneamente, senza alcuno sforzo. Ecco manifestarsi la praticità dello spirito, la concretezza di Dio, la ricchezza spirituale e materiale.

Lasciare che le cose accadano.

Per avvicinarsi al movimento dello spirito nella sua purezza dobbiamo lasciare che le cose accadano, mettendoci dalla parte di chi osserva e, contemporaneamente, muovendoci con tutto ciò che è osservato. Per una mente grezza il concetto di non azione è inconcepibile, come anche inconcepibile è l’idea di muoversi in un movimento invisibile che ci porta in una direzione inevitabile. Ciò nonostante, chi ne fa esperienza può confermare la realtà tangibile che si muove sotto il nostro naso e davanti ai nostri occhi. Tangibile perchè impossibile da non riconoscere, come la forza di un’onda che ci travolge dopo aver tentato di sfidarla senza seguirne il flusso dall’alto verso una direzione già scelta.

L’esercizio spirituale vuole allenare la mente a riconoscere il movimento nella sua autenticità. Ciò significa togliere gli strati che rendono opaca la superficie dalla quale osserviamo i fenomeni transitori. Man mano che la mente si affina, cominciamo a lasciar cadere ogni resistenza e, di conseguenza, ogni reazione; ciò che ne consegue sarà un’azione pulita, non contaminata, finalizzata al bene comune; un’azione intuitiva che non appartiene all’immagine costruita di chi siamo, ma semplicemente una conseguenza del flusso naturale dello spirito. Questa azione diviene la negazione stessa dell’azione, quindi una “non azione” questo perchè non siamo più noi ad agire, ma è la vita stessa che si muove tramite noi. Questa osservazione, che mi spinge in profondità, è il frutto di una visione interiore basata sull’esperienza spirituale, il che dovrebbe portarci a non vedere ciò come assoluto, ma come un punto d’osservazione che ha come osservatore l’insieme delle energie che ne sono attratte. Lo scopo è quindi quello di manifestare un’ispirazione concreta che possa muoversi dall’interno verso l’esterno, senza alcun motivo e senza alcun desiderio; il fine ultimo è appunto quello del movimento in relazione con ciò che io sono in questo momento.

Allinearsi al movimento dello spirito.

Il cuore pulsante della non azione in relazione al movimento spirituale è – e deve mantenersi tale – una forma di pura intuizione divina. In essa non deve esserci il desiderio di raggiungere un punto nel futuro come realizzazione di un’idea che altera la visione che ho di me stesso in questo momento. Di conseguenza, ci possiamo allineare al movimento dello spirito solo se rinunciamo completamente all’idea che abbiamo di noi stessi in relazione a ciò che inconsciamente abbiamo programmato per il futuro. Questa scelta radicale determina una nuova qualità dell’azione e un nuovo modo di percepire la realtà, dove come pensiero promotore abbiamo sostituito il “noi” all’”io” in proporzione alla moltitudine che percepiamo nel momento presente e dalla quale assorbiamo informazioni.

Mentre camminiamo possiamo allinearci al nostro passo, al battito del cuore e alla frequenza della respirazione: dalla respirazione passiamo all’intera struttura fisica, mentre ci spostiamo nella direzione del nostro destino come se fosse una scelta consapevole e, allo stesso tempo, un semplice spostamento naturale. Spostandoci con il movimento diveniamo coscienti del movimento stesso e, di conseguenza, liberi di abbandonarci ad esso con estrema fiducia, come un’aquila che si libra nell’aria ad una straordinaria altezza. Nel movimento acquistiamo fiducia delle nostre capacità che ci permettono di esistere su un piano di consapevolezza superiore: mentre acquistiamo fiducia in noi stessi riconosciamo la vera funzione della nostre azioni.

Maggiore sarà la consapevolezza e più nitida sarà la visione d’insieme che c’è tra l’azione, il movimento dello spirito e la nostra personale realizzazione. Osservando con grande determinazione apparirà chiaro che l’azione in relazione con la nostra personale realizzazione non è altro che movimento dello spirito. Da questa consapevolezza è possibile accorgersi che la felicità è la conseguenza di una rinuncia totale e, contemporaneamente, una scelta profonda in linea con le leggi dell’Universo.

Rinuncia e consapevolezza.

Non dobbiamo vedere la rinuncia come un completo disfacimento; in essa si anima la costante possibilità del presente: ciò significa che mentre rinunciamo al desiderio (bramosia), stiamo accogliendo in noi la possibilità di godere il presente nella sua forma naturale, senza alcun tentativo di cambiarlo. Verrà da sè, come conseguenza, l’alchimia della realizzazione: nel rinunciare alla felicità, abbiamo creato la possibilità concreta di esserlo.

L’intero movimento che realizza l’atto creativo dello scrivere – e quindi l’insieme dei concetti che si susseguono in quello che state leggendo in questo momento – è esso stesso frutto di un movimento che ha come unico fine quello di risuonare all’interno dell’universo di chi legge. Sono quindi consapevole di essere guidato nell’atto creativo di scrivere e, nel farlo, mi realizzo in armonia con il movimento dello spirito. Sono oltretutto consapevole che l’essere in armonia con lo spirito determina le conseguenze di una ricompensa che, misteriosamente, coinciderà con la realizzazione dei nostri sogni.

È quindi rinunciando completamente al desiderio e ai nostri sogni nel cassetto che ci allineiamo al movimento dello spirito; e nel farlo veniamo mossi nella direzione che farà emergere i nostri talenti, le nostre capacità e la gioia di vivere semplicemente. Questa è la realizzazione di un sogno, il sogno di essere liberi di essere come siamo. Mentre ci liberiamo dai nostri condizionamenti sprigioniamo di conseguenza il nostro intero potenziale.

Maurizio Falcioni

Fonte del Post: http://www.karmanews.it/13254/muoversi-con-lo-spirito/

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