Matthieu Ricard: La decostruzione dell’io.

La decostruzione dell’io.

 

Per maggiore chiarezza, riprendiamo quest’analisi un po’ più nei dettagli. Il concetto di identità personale comporta tre aspetti: l’io, la persona e l’ego. Questi aspetti non sono fondamentalmente diversi, ma riflettono diverse modalità di conformarsi alla percezione dell’identità personale.

L’io vive nel presente, è lui che afferma: “Ho fame”, oppure “Io esisto”. E’ la sede della coscienza, dei pensieri, del giudizio e della volontà. E’ l’esperienza stessa della nostra condizione attuale.

Il concetto di persona è più vasto e dinamico, esteso nel tempo, che integra i vari aspetti della nostra esistenza sul piano fisico, mentale e sociale. I suoi confini sono vaghi. La persona può far riferimento al corpo (avere un bell’aspetto), a sentimenti intimi (una sensazione estremamente personale), al carattere (una brava persona), alle relazioni sociali (separare la vita personale da quella professionale) o all’essere umano in generale (il rispetto della persona).

La sua continuità nel tempo ci permette di realizzare le rappresentazioni di noi stessi che appartengono al passato e le proiezioni che riguardano il futuro. Il concetto di persona è valido e corretto se lo consideriamo una semplice definizione con la quale indichiamo l’insieme delle relazioni tra la coscienza, il corpo e l’ambiente. Diventa inadeguato e nocivo se gli attribuiamo un’esistenza autonoma.

Infine c’è l’ego. Quello che consideriamo il centro del nostro essere. Siamo soliti concepirlo come un tutto indivisibile e permanente che ci caratterizza dall’infanzia alla morte. Non si tratta soltanto della somma dei nostri arti, dei nostri organi, della nostra pelle, del nostro nome, della nostra coscienza, ma anche del loro esclusivo proprietario.

In effetti, parliamo del “nostro braccio” e non di una “estremità allungata del nostro essere” e, anche se ci viene amputato, il nostro ego non ne rimane mutilato. Un uomo senza gambe si sente sminuito nella propria integrità fisica, ma non in quella del proprio ego.

Se dovessimo tagliare il nostro corpo a fettine, in quale momento l’identità comincerebbe a disgregarsi? Percepiamo l’ego finché manteniamo la facoltà di pensare. Arriviamo così al celebre motto cartesiano che, nel pensiero occidentale, sottende qualsiasi concetto di identità: “Cogito, ergo sum”: penso, dunque sono.

Ma il fatto di pensare non può certo essere considerato una prova dell’esistenza, poiché l’io è il contenuto momentaneo del nostro flusso mentale, che cambia a ogni istante. Come spiega il filosofo buddista Han de Wit: “Partiamo dal presupposto che l’esperienza implichi la presenza di un io che sperimenta (…). Ma l’idea ‘io sto sperimentando qualcosa’ non prova affatto l’esistenza di una persona che sperimenta qualcosa”.

In effetti, non è sufficiente percepire qualcosa, o averne un’idea, perché questa cosa esista concretamente. Un miraggio e un’immagine illusoria ci sembrano frutto di una percezione corretta, eppure sono entrambi privi di realtà. Han de Wit conclude: “L’ego è il prodotto di un’attività mentale, che crea e ‘mantiene in vita’, nella nostra mente, un’entità immaginaria”.

L’idea che l’ego potrebbe essere solo un concetto si oppone alla maggior parte del pensiero occidentale. A tale proposito Cartesio è ancora una volta categorico: “Quando considero la mia mente, oppure considero me stesso in quanto cosa che pensa, non posso distinguere in me nessuna parte, sono una cosa unitaria e integra”.

Il neurologo Charles Scott Sherrigton rincara la dose: “L’ego è unitario (…). Si considera tale e gli altri lo trattano in questo modo. Ci si rivolge a lui come a ‘una’ entità, tramite un nome al quale risponde”.

Ognuno di noi ha la percezione istintiva di un io unitario, eppure, nel momento in cui tentiamo di definirlo, ci sfugge di mano.

Tratto da: “Il gusto di essere felici”, di Matthieu Ricard

Fonte: http://www.rebirthing-milano.it/brani-traduzioni/dal-libro-gusto-felici-matthieu-ricard-saggezza-benessere-momento-della-vita/

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