Mauro Bergonzi: Auto-indagine e non-separazione.

Auto-indagine e non-separazione.

Domanda: Vorrei sottolineare il fatto che la liberazione dal me separato deve in qualche modo passare per forza attraverso una sorta di auto-indagine, di percorso esperienziale. A tal proposito mi viene in mente il tuo incontro con Nisargadatta.

È necessario uno sforzo di qualche natura per liberarsi dall’io separato? Altrimenti, come sarebbe possibile? Per ‘sforzo’ intendo auto-indagine esperienziale, osservazione di sé, ecc.

Io, oggi, sono arrivato al punto di rendermi conto che tutto ciò che accade è in qualche modo ‘visto’, cioè ne sono consapevole. Questo mi conferma il fatto che io sono lo ‘schermo’ su cui e in cui tutto accade, senza divisioni nette e visibili: niente appare diviso, tutto si manifesta come un’esplosione indivisa.

Come l’occhio non può vedere se stesso, io, che vedo tutto, non vedo me stesso perché SONO me stesso: la coscienza senza forma.

Mauro: Per anni hai letto, studiato e approfondito concettualmente il non-dualismo e hai svolto un’accurata investigazione del sé (attraverso la domanda: “Chi sono io?”), giungendo a una comprensione che ti sembra intellettualmente valida. Non credi che, se ci fosse veramente una via, un metodo, una strategia per ‘raggiungere’ la non-separazione, a quest’ora l’avresti già realizzata?

Se la libertà dell’Assoluto è ‘incondizionata’ (cioè non condizionata o causata da niente), pensare che esistano speciali condizioni che la possano in qualche modo causare o semplicemente facilitare sarebbe contraddittorio, in quanto così non sarebbe più ‘incondizionata’, non credi?

Persino l’investigazione del sé, come la comprensione concettuale, è pur sempre una forma sottile di ricerca, destinata inevitabilmente a rinforzare l’idea di un io separato che si sente incompleto e deve cambiare se stesso per ‘raggiungere’ una completezza (di fatto già presente).

Ogni volta che poni una relazione di causa/effetto fra una qualsiasi azione (da parte del miraggio di un io separato) e il raggiungimento della non-separazione, escludi automaticamente che la meta possa essere l’incondizionato: causa/effetto presuppongono il tempo, mentre l’Assoluto è il Senza-tempo.

D.: Ma se oggi la tua comprensione della realtà è approdata al non-dualismo, sarà pur passata attraverso una ricerca e uno sforzo. I sat-sang dovrebbero servire a questo, non credi?

Mauro: Certo, per tanti anni ho cercato, investigato, studiato, praticato meditazione, fino ad avere una ‘comprensione’ della realtà in chiave non-dualista. Ma questa comprensione non è la chiarezza che emana dalla Sorgente e non ha il potere di dissolvere l’illusione dell’io separato.

Come dice Tony Parsons, quando c’è la comprensione, sei una ‘persona che comprende’, ma resti pur sempre una persona. E finché c’è un io separato, la ricerca continua. Quando la ricerca svanisce (e con essa il ‘cercatore’), ti rendi conto che non c’è mai stata una causa precedente: accade da sé, spontaneamente e inevitabilmente, perché prima o poi ogni illusione svanisce alla luce della verità di ciò che è.

Quindi, nella vita di ciascuno, si può sempre raccontare una ‘storia’ che si svolge nel tempo come una catena di eventi: nel mio caso, ricerca, studio, meditazione, incontro con Nisargadatta, ancora meditazione, fine della ricerca. Ma non c’è alcuna connessione causale fra tali eventi ed è questo che appare evidente quando svanisce il cercatore.

Nella vita di qualcun altro, la fine della ricerca potrebbe essere preceduta da eventi completamente diversi, anch’essi senza alcuna connessione causale con essa, proprio come in un film che stai guardando al computer, gli eventi della trama concatenati secondo causa/effetto (per es. il criminale compie un misfatto e perciò il poliziotto gli dà la caccia) non hanno alcun rapporto causale con lo schermo del computer in cui appare tutto il film.

Ogni azione che il miraggio di un io separato intraprende per raggiungere la non-separazione è parte del suo miraggio, inevitabilmente confinata in esso e perciò serve solo a rinforzare l’illusione della sua apparente esistenza, proprio come tutte le azioni intraprese dal protagonista di un sogno, per uscire dal sogno, non fanno che prolungarne l’illusione.

Ma allora, ti chiedi, a che serve il sat-sang? Non ‘serve’ assolutamente a niente! A che serve cantare sotto la doccia? A che serve giocare? A che serve danzare?

Il sat-sang non è un insegnamento, non è un ‘messaggio’ per migliorarsi, per comprendere, per diventare diversi da ciò che si è. E’ più simile al canto degli uccelli, alla risacca del mare, al fruscio delle foglie quando soffia la brezza. Non ha niente, assolutamente niente da offrire all’io separato in cerca sempre di qualcosa.

E’ semplicemente una condivisione della meravigliosa risonanza dell’essere, che ovunque canta la sua canzone ed è udita sempre da tutti nel profondo, ‘dietro’ il miraggio della separazione.

La mia comunicazione non è dunque un insegnamento: parlo della non-separazione, non per salvare il mondo o per aiutare gli altri a diventare diversi da come sono, ma soltanto perché non ne posso fare a meno: quando il cuore è colmo, trabocca attraverso le parole, come fa un innamorato che non può trattenersi dal magnificare a chiunque la bellezza dell’amata.

Mauro Bergonzi

Fonte: https://docs.google.com/viewer?a=v&pid=sites&srcid=ZGVmYXVsdGRvbWFpbnxpbHNvcnJpc29kZWxsZXNzZXJlfGd4OjY1NDlhN2UyZDA4YTM0MmQ

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