A mente aperta: Il diritto alla Felicità.

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Il diritto alla Felicità.

Intendo iniziare questo scritto con una precisazione: parlare di diritto alla felicità o di meritare la felicità ha ben poco senso se, prima, non si fa un po’ di chiarezza su cosa possa essere, o non essere, la felicità.

Se si ponesse la domanda “Cos’è, per te, la felicità?” a diverse persone, con ogni probabilità le risposte più gettonate potrebbero essere: “un’auto nuova… una bella casa… una persona che mi ama… un buon lavoro sicuro… un considerevole conto in banca… l’illuminazione”, eccetera. Qualora anche tu intendessi la felicità come un qualcosa da possedere, da conquistare, da mantenere… bé, allora… qui non troverai nulla di conforme a tale visione. In caso contrario… sii il benvenuto, ora possiamo cominciare.

Se la felicità dovesse dipendere da qualcosa di esterno, quali le contingenze del momento, le persone presenti o assenti, il denaro abbondante o scarso, la posizione sociale più o meno elevata o che altro, mi dispiace tanto, ma l’infelicità non potrebbe proprio fare a meno di venirci a trovare, bussando impudentemente alla nostra porta. Questo perché nulla, su questa terra, dura per sempre e, di conseguenza, il giorno in cui le condizioni “favorevoli” dovessero mutare, ci ritroveremmo a piangere, con il sedere per terra. Esatto, proprio così, nulla dura per sempre. Oltre a ciò – ce lo dice la parola stessa – dipendere da qualcuno o da qualcosa ci rende inevitabilmente condizionati, subordinati, dipendenti e, in ultima analisi, schiavi di ciò da cui dipendiamo… inconfutabile, vero?

Se la felicità fosse un qualcosa da conquistare nel tempo e con il tempo, si aprirebbe una sorta di “stagione di caccia”, cioè un conflitto armato tra quello che c’è al momento – l’infelicità – e quello che si vuole ottenere – la felicità – di là da venire. E nel frattempo? Resterebbe al comando l’infelicità. Oltre a ciò, sarebbero necessari sforzi, obbiettivi, valutazioni e, appunto, una quantità X di tempo. Come ti suona?

Sento però che manca ancora qualcosa…

Se poniamo la felicità fuori di noi, è ovvio che perdiamo sia il nostro potere personale, sia la nostra responsabilità, in favore di qualcuno o di qualcosa che non è detto che abbia molto a cuore il nostro benessere; inoltre, un essere umano privato della propria responsabilità e del proprio potere personale, diviene inevitabilmente una banderuola che si agita in ogni direzione, a seconda di come tira il vento. Ti torna?

Detto ciò, mi pare chiaro che sia molto più sensato cercare di rendersi effettivamente conto di che cosa la felicità, di sicuro, non sia, piuttosto che immaginare quello che potrebbe essere.

Ricapitolando, la felicità non è qualcosa che si possa trovare fuori di noi, non può dipendere da qualcuno o da qualcosa che non sia “noi”, non può essere trovata in nulla di materiale, né grazie ad “altri”, non può essere posseduta né mantenuta a piacimento nel tempo e, di sicuro, non possiamo obbligarci ad essere felici o sforzarci per diventarlo.

Ma, allora, qual è l’origine della felicità? Oppure… qual è l’origine dell’infelicità?

Come ti sarai già sentito ripetere milioni di volte, l’unica vera ed inesauribile sorgente della felicità si trova esattamente dove sei tu, adesso. Non è diversa da Quello che sei, ma, allo stesso tempo, “tu” non puoi fare nulla per ottenerla, dal momento che essa è te. Poco chiaro? Cercherò di spiegarmi, al meglio delle mie capacità.

Anziché dire: “tu meriti la felicità”, potrei affermare che ognuno di noi merita ed ha il sacrosanto diritto di vivere gioiosamente… forse non farà una grande differenza, a prima vista, ma se ci riflettiamo un po’ su, vedrai che si manifesteranno degli spunti interessanti.

Ogni essere vivente, dunque, ha il diritto e merita di vivere gioiosamente. Questo non significa che la vita debba essere tutta rose e fiori e profumo di lillà, ma che potrebbe comunque essere “governata” da un sentimento di gratitudine, di Amore, di pienezza e colma di significato, cosa che le conferirebbe comunque un senso di gioiosità. E ora ti chiedo: è così che vive la maggior parte di noi umani? Forse no. Ma perché questo accade?

Se ti dicessi che accade perché, in fondo in fondo, ci sentiamo in colpa? Se ti dicessi che nei più reconditi meandri della mente si è installato un giudice arido e crudele, che ci accusa di non essere abbastanza, di non essere meritevoli, di non essere innocenti, di non essere “puliti”… insomma… di essere colpevoli?

Lo riconosci quel giudice? Lo hai mai sentito giudicare spietatamente tutto e tutti, ma soprattutto “te”? Sono certo che tu lo conosca molto bene. E come potresti mai essere felice, o vivere gioiosamente, sentendoti sporco, colpevole, immeritevole, incapace e non abbastanza? Posso rispondere io? Non potresti.

A questo punto, sarebbe fin troppo facile dare la colpa di questa condizione mentale a genitori, educatori, società, sistema, religione o a chi ti pare… ma non è così che stanno veramente le cose. La colpa è presente nei nostri pensieri, nei processi della nostra mente, ammesso che la mente possa essere qualcosa che appartiene a noi. In effetti, non ci appartiene affatto, ma questa è un’altra storia.

Il giudice arido e spietato, dunque, si cela nella memoria, nel passato, nel modo in cui le esperienze vissute sono state catalogate e commentate dal pensiero, conscio o inconscio che si voglia. Non è là fuori, anche se non si potrà fare a meno di vederlo là… semplicemente, perché la cosiddetta “realtà” ci corrisponde, nel senso che corrisponde a ciò che è annidato nei processi della mente.

In poche parole, si è verificato un errore di valutazione iniziale: lo strumento mente si è identificato con lo strumento corpo e, interpretando i fatti con le sue limitate capacità, ha affermato: “questo corpo sono io”. Da qui tutto è andato a rotoli e la felicità è diventata un incubo.

La prima conseguenza di questo errore è stata la percezione della separazione e dei limiti, da cui è derivata la paura per la propria sopravvivenza, dopo di che sono sorte la rabbia ed il rifiuto nei confronti di una condizione ritenuta ingiusta e priva di Amore… e la gioia, nel frattempo, dove è andata a finire? E chi lo sa!

Non ti chiedo di credere a queste parole, anzi, semmai il contrario… Ti chiedo invece di ascoltarle in silenzio, interiorizzandole, lasciando che scavino in profondità, senza la volontà o il desiderio di giungere ad una qualsiasi conclusione… non serve e non è così che funziona. Lascia che vadano dove vogliono, non ti curare di capire o meno… sarebbe solo mente e non ce ne facciamo proprio nulla. Silenzio. Vuoto. Fermezza.

E’ questo errore, o Ignoranza, che smantella la felicità e nutre il giudice crudele! Null’altro. Riesci a sentirlo dentro di te? O vuoi tentare di arrivarci con la mente e le parole? Credimi… non è possibile.

Se da bambino, diciamo di 3 o 4 anni, ti avessero strappato dalla tua famiglia… credi che ti saresti sentito minacciato? Se poi ti avessero abbandonato lungo una strada buia… credi che avresti provato un pochino di paura? E, qualora fossi sopravvissuto da solo, crescendo, credi che avresti nutrito un po’ di rancore per quanto ti era accaduto? Sii sincero… direi di sì. Ecco, vedi? … Potremmo non esserne consapevoli, ma questa è la storia sepolta in ognuno di “noi”, è il fraintendimento della percezione che, da un certo momento in poi, ci ha ritenuti e ci ritiene esseri separati da tutto ciò che ci circonda, abbandonati, minacciati, limitati, soli di fronte all’immensità dell’ignoto… e poi vorremmo anche essere felici? Vorremmo anche vivere gioiosamente, pienamente e con significato? Ma quando mai!

Vedi, se ci fosse stata attenzione piena, presenza, consapevolezza nei momenti di felicità che indubbiamente hai conosciuto durante la tua vita, avresti notato che in quei momenti “tu” non c’eri. Quello che chiami “me” o “io”, in quei momenti, era indistinguibile dalla felicità stessa, era esattamente la stessa cosa, la stessa “sostanza”. E in quei momenti nulla aveva il potere di interferire con quella gioia, con ciò che profondamente sentivi dentro di te… stavi vivendo gioiosamente, nonostante il fatto che la “realtà” ti ponesse di fronte la solita quotidianità, con le sue beghe, le sue difficoltà, il solito lavoro, gli stessi denari… eppure… Cosa credi che significhi ciò?

Bene… se queste parole sono entrate profondamente in te, allora non cercherai più fuori di te, né la felicità, né la pienezza, né il significato di nulla, perchè “Tu” sei l’Origine di ogni cosa e a te ogni cosa corrisponde, momento per momento.

Per quanto “mi” riguarda… Ogni essere Vivente merita ed è degno di ogni bene, di ogni bene-dizione, di ogni beati-tudine, di vivere nella Gioia, nel Benessere, nell’Abbondanza, nella Libertà, nell’Amore…

E tu? Credi di poterlo meritare?

A questa domanda, come sempre, puoi rispondere solamente tu.

Con affetto, Sid… Love*

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