Chi e’ il Miracoloso Sri Sri Babaji?

Chi e’ il Miracoloso Sri Sri Babaji, Protettore di tutti i Kriyaban, sulla terra.

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Tratto da: “Autobiografia di uno Yoghi”, di Paramahansa Yogananda.

Babaji e l’Occidente.

“Maestro, avete mai incontrato Babaji?”.

Era una calma sera d’estate a Serampore; le grandi stelle dei tropici scintillavano sopra di noi, mentre sedevo accanto a Sri Yukteswar sul balcone al secondo piano dell’eremitaggio.

“Sì”. Il Maestro sorrise alla mia domanda senza preamboli. Gli occhi gli si accesero di reverenza. “Tre volte sono stato benedetto dalla vista dell’immortale Guru, Il nostro primo incontro avvenne ad Allahabad, in occasione di un Kumbha Mela”.

Le feste religiose che si svolgono in India da tempi immemorabili sono conosciute col nome di Kumbha Mela; esse hanno mantenuto le mète spirituali costantemente presenti agli occhi delle moltitudini. I devoti indù si riuniscono a milioni ogni sei anni per incontrarsi con migliaia di sadhu, yoghi, swami e asceti d’ogni genere. Molti sono eremiti che non abbandonano mai i loro solitari rifugi se non per partecipare ai mela e impartire la loro benedizione agli uomini e alle donne del mondo.

“All’epoca del mio incontro con Babaji non ero ancora uno swami”, continuò Sri Yukteswar, ma avevo già ricevuto da Lahiri Mahasaya la iniziazione Kriya. Egli m’incoraggiò a partecipare al mela che doveva aver luogo ad Allahabad nel gennaio 1894. Fu la mia prima esperienza di un Kumbha; mi sentivo un po’ stordito dal clamore e dall’incalzare della folla. Cercando, mi guardavo intorno, ma non scorgevo alcun illuminato volto di Maestro. Attraversando un ponte sulle rive del Gange notai un mio conoscente che, in piedi lì accanto, tendeva la ciotola dell’elemosina.

– Oh! questa festa non è altro che un caos di rumori e di mendicanti, pensai deluso. – Mi chiedo se gli scienziati occidentali che pazientemente ampliano i campi della conoscenza per il bene materiale dell’umanità, non siano più graditi a Dio di questi fannulloni che professano idee religiose, ma in realtà si concentrano solo sulle elemosine.

“Le mie silenziose ma appassionate riflessioni sulle riforme sociali furono interrotte dalla voce di un sannyasi d’alta statura, che si fermò dinanzi a me.

Signore, – disse, – un Santo vi chiama.

– Chi è?

– Venite, e lo vedrete.

“Esitante, seguii il suo laconico consiglio e ben presto mi trovai accanto a un albero dai grandi rami, sotto la cui ombra sedeva un guru circondato da un attraente gruppo di discepoli. Il Maestro, una luminosa e insolita figura dagli occhi scuri scintillanti, si alzò al mio arrivo e mi abbracciò.

Benvenuto, Swamiji – disse affettuosamente.

Signore, – risposi con enfasi, – non sono uno swami.

Coloro a cui io, per divino comando, concedo il titolo di swami, non lo rifiutano mai. – Il Santo si rivolgeva a me con semplicità, ma una profonda convinzione di verità vibrava nelle Sue parole; fui travolto da una subitanea ondata di beatitudine spirituale.

Sorridendo alla mia subitanea elevazione all’antico Ordine monastico, mi inchinai ai piedi di quell’ovviamente grande e angelico essere in forma umana, che così mi aveva onorato.

“Babaji – poiché era proprio lui – mi fece sedere, accanto a sé sotto l’albero. Era forte e giovane, e somigliava a Lahiri Mahasaya; eppure questa rassomiglianza non mi colpí, pur avendone spesso sentito parlare. Babaji ha in sé un potere che può impedire a qualsiasi pensiero specifico di sorgere nella mente di una persona. Evidentemente il grande Guru voleva che io fossi perfettamente spontaneo in sua presenza e non turbato dalla conoscenza della sua identità.

Che cosa pensi del Kumbha Mela?

Ne sono rimasto assai deluso, Signore, – dissi, ma aggiunsi subito, fino al momento in cui ho incontrato voi. Mi sembra che i santi e tutta questa confusione non vadano d’accordo.

” – Figliolo, – disse il Maestro, sebbene io dimostrassi il doppio della sua età, – per colpa dei molti non giudicare il tutto Ogni cosa sulla terra ha un duplice carattere, come un miscuglio di sabbia e zucchero. Sii come la saggia formica che sceglie solo lo zucchero e non tocca la sabbia. Benché molti dei sadhu che si trovano qui errino ancora nell’illusione, pure il Mela è benedetto dalla presenza di alcuni uomini dalla realizzazione divina.

“In considerazione del mio incontro personale con questo grandissimo Maestro, mi dichiarai subito d’accordo con Lui.

” – Signore, – confessai, – stavo pensando agli scienziati occidentali, di gran lunga più intelligenti della maggior parte delle persone qui riunite, che vivono nella lontana Europa e nelle Americhe, professano fedi diverse e ignorano i valori di una festa come questo Mela. Sono uomini che potrebbero trarre grande profitto da un incontro con i Maestri dell’India. Ma, sebbene avanzatissimi nelle cose intellettuali, molti occidentali restano abbarbicati a un sorpassato materialismo. Altri uomini, eminenti nelle scienze e nella filosofia, non riconoscono l’unità essenziale insita in tutte le religioni. I loro vari credi erigono barriere insormontabili che minacciano di separarli da noi per sempre.

” – Avevo notato che ti interessi all’Occidente come all’Oriente! – Il volto di Babaji era raggiante di approvazione. – Ho sentito l’angoscia del tuo cuore che è abbastanza grande per accogliere tutti gli uomini. Ecco perché ti ho chiamato qui.

” – Oriente e Occidente, – egli continuò, – devono creare un’aurea via di mezzo, fatta di attività e spiritualità combinate. L’India ha molto da imparare dall’Occidente nel campo del progresso materiale; in compenso l’India può insegnare i metodi universali, mediante i quali l’Occidente potrà basare le proprie credenze religiose sulle incrollabili fondamenta della scienza yoga.

” – Tu, Swamiji, avrai una parte da svolgere nel futuro armonico scambio tra Oriente e Occidente. Fra qualche anno ti manderò un discepolo che potrai allenare al compito di diffondere lo yoga in Occidente. Come una marea, giungono a me le vibrazioni di molte anime alla ricerca spirituale laggiù. Sento che vi sono, in America e in Europa, molti santi in potenza che attendono d’esser risvegliati”.

A questo punto del suo racconto, Sri Yukteswar mi guardò dritto negli occhi.

“Figlio mio”, disse sorridendomi nel chiaro di luna; “tu sei il discepolo che anni fa, Babaji promise di mandarmi”.

Fui lieto di sapere che Babaji aveva diretto i miei passi verso Sri Yukteswar; tuttavia mi riusciva difficile vedermi nel remoto Occidente, lontano dal mio amato Guru e dalla semplice pace dell’eremitaggio.

“Babaji quindi parlò della Bhagavad Gita”, riprese a dire Sri Yukteswar.

“Dalle poche parole di lode che mi rivolse, appresi con stupore ch’egli sapeva che avevo scritto delle interpretazioni di vari capitoli della Gita.

” – Ti prego, Swamiji, fai per me un’altra cosa ancora, – disse il grande Maestro: – Vuoi scrivere un breve libro sull’unità basilare esistente fra le Scritture cristiane e quelle indù, unità ora trascurata dalle differenze settarie create dagli uomini? Dimostra con riferimenti paralleli che gli ispirati figli di Dio hanno detto le stesse verità.

” – Maharaj , – risposi sfiduciato, – quale ordine mi date! Sarò io mai in grado di eseguirlo?

“Babaji rise dolcemente. – Figlio mio, perché ne dubiti? — mi rassicurò. Di Chi tutto questo è opera e Chi è l’Esecutore d’ogni azione? Tutto quello che il Signore mi ha ispirato di dire non può non diventare realtà.

“Mi sentii investito di un nuovo potere dalla benedizione del Santo, e accettai di scrivere il libro. Con riluttanza, sentendo che era giunta l’ora della separazione, mi alzai dal mio verde sedile di foglie.

“- Conosci Lahiri’? – chiese il Maestro. – E’ una grande anima, non è vero? Digli del nostro incontro! – E mi diede un messaggio per Lahiri Mahasaya.

«Dopo che mi fui inchinato umilmente per congedarmi, il Santo mi sorrise benignamente. – Quando avrai terminato il tuo libro ti farò una visita – promise. – Arrivederci, per ora.

“Il giorno seguente partii da Allahabad per Benares. Giunto dal mio Guru, gli raccontai subito tutta la storia dello straordinario Santo del Kumbba Mela.

” – Oh! ma non l’hai riconosciuto? – Negli occhi di Lahiri Mahasaya brillava il riso. – Vedo che non potevi riconoscerlo, perché egli te lo ha impedito. E’ il mio incomparabile Guru, il celestiale Babaji!

” – Babaji! – ripetei, stralunato. – Babaji, lo Yoghi-Cristo, L’invisibile e visibile Salvatore Babaji! Oh! se potessi richiamare il passato ad essere di nuovo alla sua presenza per porre tutta la mia devozione ai suoi sacri piedi di Loto!

” – Non fa nulla, – mi confortò Lahiri Mahasaya, – ha promesso di rivederti!

” – Gurudeva, il divino Maestro mi ha incaricato di portarvi un messaggio: “Di’ a Lahiri”, mi ha detto, «che la sua riserva di energia per questa vita sta diminuendo, è quasi finita!”.

“Mentre pronunziavo queste enigmatiche parole, la figura di Lahiri Mahasaya tremò come se fosse stata toccata da una scarica elettrica. In un istante tutto in lui fu silenzio, la sua sorridente espressione si fece incredibilmente grave. Come una statua di legno, cupo e immobile al posto in cui cra seduto, il suo corpo si scolorò. Ne fui allarmato e sconvolto. Mai in vita mia avevo visto quell’anima gioiosa assumere una così tremenda gravità. Anche gli altri discepoli presenti lo guardavano allarmati.

“Passarono tre ore in assoluto silenzio; poi Lahiri Mahasaya riprese il suo aspetto semplice e gaio e parlò con affetto a ognuno dei suoi chela. Tutti respirammo di sollievo.

“Compresi dalla reazione del mio Maestro che il messaggio di Babaji era stato per Lahiri Mahasaya un indubbio avviso che il Suo corpo ben presto si sarebbe separato da Lui. Il Suo spaventoso silenzio provava che il mio Guru aveva istantaneamente controllato il proprio essere e tagliato l’ultimo legame che l’univa al mondo materiale, per rifugiarsi nella sua eterna identità con lo Spirito.

Le parole di Babaji erano state il suo modo di dirgli: – Sarò sempre con te!

“Benché Babaji e Lahiri Mahasaya fossero onniscienti e non avessero bisogno di me, o di qualsiasi intermediario per comunicare fra loro, i grandi accondiscendono spesso ad assumere una parte nel dramma umano. Occasionalmente essi trasmettono le loro profezie in modo comune servendosi di un messaggero, perché più tardi la conferma delle loro parole possa infondere in una vasta cerchia d’uomini che apprenderanno l’accaduto, una più grande fede in Dio.

” Presto lasciai Benares, e a Serampore cominciai il lavoro sulle Scritture comandatomi da Babaji. Non appena iniziato lo studio, fui ispirato a comporre un poema dedicato al Guru immortale. I versi fluivano naturalmente melodiosi dalla mia penna, sebbene mai prima di allora avessi tentato di scrivere poesie in sanscrito.

“Nel silenzio della notte studiavo, comparando la Bibbia e le Scritture del Sanatan Dbarma. Citando le parole del benedetto Signore Gesù, dimostrai che i Suoi insegnamenti erano essenzialmente tutt’uno con le rivelazioni dei Veda. Per la grazia del mio Paramguru il mio libro, “La Sacra Scienza”, fu ultimato in un tempo assai breve. I vari capitoli furono pubblicati dapprima nel giornale Sadhusambad, e in seguito stampati privatamente e raccolti in volume da uno dei miei discepoli di Kidderpore”.

Il Maestro continuò: “La mattina che seguì la fine del mio sforzo letterario, andai al Rai Ghat per bagnarmi nel Gange. Il ghat era deserto. Rimasi lì tranquillo un poco a godermi la pace piena di sole; poi, dopo un tuffo nelle acque scintillanti, ripresi la via di casa. Nel grande silenzio non s’udiva che il fruscìo delle mie vesti bagnate, che si agitavano ad ogni mio passo. Oltrepassato un grande albero di banyan accanto alla riva, un invincibile impulso mi costrinse a voltarmi indietro. Là, all’ombra dell’albero sedeva, circondato da alcuni díscepoli, il grande Babaji.

” – Salute, Swamiji! – La bellissima voce del Maestro risuonò alta per assicurarmi che non stavo sognando. Ho visto che hai completato con successo il tuo libro. Come avevo promesso, eccomi qui a ringraziarti.

“Col cuore che mi batteva forte, mi prostrai ai suoi piedi. – Paramguruji, – implorai – non volete, con i vostri chela, onorare della vostra presenza la mia casa qui accanto?

” Il grande Guru declinò sorridendo l’invito. – No, figliolo, rispose siamo gente che ama la protezione degli alberi; questo luogo è comodissimo.

“- Vi prego, soffermatevi ancora un poco, Maestro, – continuai con sguardo supplichevole. – Sarò subito di ritorno con dei dolci speciali.

“Quando dopo pochi minuti tornai con un piatto di dolciumi, il maestoso albero di banyan non copriva più con la sua ombra il gruppo celestiale. Guardai in giro per tutto il ghat, ma in cuor mio sapevo che il gruppetto era già volato via su ali eteree.

“Ne fui profondamente ferito. – Anche se c’incontrassimo un’altra volta, non vorrei neppure più parlargli – assicuravo a me stesso. – E’ stato scortese a lasciarmi così all’improvviso. – Questa, naturalmente, era collera amorosa e nulla più.

“Alcuni mesi dopo visitai Lahiri Mahasaya a Benares. Quando entrai nel suo salottino, il Guru mi sorrise per darmi il benvenuto, e mi chiese:

« – Non hai incontrato Babaji proprio ora sulla soglia della stanza?

” – No davvero, – gli risposi sorpreso.

” – Vieni qua. – Lahiri Mahasaya mi toccò lievemente la fronte e subito scorsi accanto alla porta la figura di Babaji, fiorente come un loto perfetto.

“Ricordando la mia antica ferita, non m’inchinai. Lahiri Mahasaya mi guardò con stupore.

Il divino Guru mi fissò coi suoi impenetrabili occhi. – Tu sei in collera con me.

” – Signore, come potrei non esserlo? Col vostro magico gruppo veniste dall’aria, e nell’aria svaniste.

” – Ti dissi che sarei venuto a trovarti, ma non ti dissi quanto tempo sarei rimasto. – Babaji rise dolcemente. – Eri tanto eccitato! Ti assicuro che fui quasi soffiato via nell’etere dalle raffiche della tua agitazione!

“Questa spiegazione poco lusinghiera per me, mi calmò subito. Mi inginocchiai ai suoi piedi. Il grande Guru mi batté gentilmente sulla spalla.

” – Figliolo, – mi disse, – devi meditare di più. Il tuo sguardo non è ancora perfetto; non potresti scorgermi se io mi nascondessi dietro la luce del sole. – Con queste parole, dette con la voce di un flauto celestiale, Babají sparì celandosi nel segreto splendore.

“Questa fu una delle ultime visite che feci a Benares per vedere il mio Guru”, concluse Sri Yukteswar. “Come aveva predetto Babají al Kumbha Mela, l’incarnazione del capofamiglia Lahiri Mahasaya si approssimava al suo termine. Durante l’estate del 1895 il suo vigoroso corpo sviluppò un piccolo ascesso sulla schiena. Egli non volle farlo incidere; nella sua carne egli consumava il cattivo karma di alcuni discepoli. Alla fine le insistenze dei chela si fecero molto vive; il Maestro rispose enigmaticamente:

” – Il corpo deve trovare una ragione per potersene andare. Vi lascerò fare tutto ciò che volete.

“Poco dopo, l’incomparabile Guru abbandonò a Benares la sua spoglia terrena. Ora non ho più bisogno di cercarlo nel suo salottino; ogni giorno della mia vita è benedetto dalla sua onnípresente guida”.

Molti anni dopo appresi dalle labbra di Swarni Keshabananda’, un discepolo assai progredito, molti meravigliosi particolari sul trapasso di Lahiri Mahasaya.

“Pochi giorni prima che abbandonasse il suo corpo”, mi disse Keshabananda, il mio Guru si materializzò dinanzi a me, mentre sedevo nel mio eremitaggio di Hardwar.

– Vieni subito a Benares, – mi disse, e scomparve.

“Partii immediatamente per Benares. A casa del mio Guru trovai riuniti molti discepoli. Per ore, quel giorno , il Maestro spiegò la Gita; poi si volse a noi con semplicità:

” – Me ne vado a casa.

“Singhiozzi d’angoscia eruppero dai nostri petti come un torrente irrefrenabile.

” – Consolatevi; risorgerò. – Dopo questa dichiarazione Lahiri Mahasaya si alzò dal suo sedile, rigirò il suo corpo tre volte in circolo; quindi, rivolto a Nord e assunta la posizione del Loto, gloriosamente entrò nel mahasamadhi finale.

“Il bellissimo corpo di Lahiri Mahasaya, tanto caro ai suoi devoti, fu cremato al Manikarnika Ghat sul sacro Gange, coi riti solenni dovuti a un capofamiglia. Il giorno seguente alle dieci del mattino, mentre ero ancora a Benares, la mia stanza si riempì di una grande luce e dinanzi a me, in carne e ossa, comparve la figura del Maestro. Sembrava il suo stesso corpo, ma con un aspetto più giovane e radiante. Il divino Guru. mi disse:

” – Keshabananda, sono io. Dagli atomi disintegrati dei mio corpo cremato ho fatto risorgere una forma nuova. Il mio compito di padre di famiglia nel mondo è finito; ma non lascio completamente la terra. D’ora innanzi trascorrerò un periodo di tempo con Babaji sull’Himalaya e con Babaji nel cosmo.

” Con poche parole di benedizione il trascendente Maestro svanì.

Una miracolosa ispirazione mi riempì il cuore. Fui elevato nello Spirito come i discepoli del Cristo e di Kabir, quando ebbero veduto i loro Guru viventi dopo la morte fisica”.

E Keshabananda continuò: “Quando tornai al mio solitario eremitaggio di Hardwar, portai con me una parte delle sacre ceneri del mio Guru. Sapevo che egli è fuggito dalla gabbia del tempo e dello spazio; l’uccello dell’onnipresenza è liberato. Nondimeno per il mio cuore era un conforto custodire i suoi sacri resti”.

Un altro discepolo che fu benedetto dalla vista del suo Guru risorto fu il santo Panchanon Bhattacharya .

Feci una visita a Panchanon nella sua casa di Calcutta e ascoltai deliziato la storia dei molti anni da lui trascorsi col Maestro. Per concludere, mi raccontò l’avvenimento più straordinario della sua vita.

“Qui a Calcutta”, disse Panchanon, “alle dieci del mattino dopo la sua cremazione, Lahiri Mahasaya mi apparve in tutta la sua gloria vivente”.

Swami Pranabananda, il Santo dai due corpi, mi confidò pure lui i particolari della soprannaturale esperienza da lui vissuta.

“Pochi giorni prima che Lahiri Mahasaya abbandonasse il suo corpo, mi raccontò Pranabananda quando venne a visitare la mia scuola a Ranchi, “ricevetti da Lui una lettera che m’invitava a recarmi subito a Benares. Fui trattenuto e non potei partire immediatamente.

Mentre ero nel bel mezzo dei preparativi per il viaggio, verso le dieci del mattino, fui a un tratto sopraffatto da un senso di gioia nel vedere la luminosa figura del mio Guru.

” – Perché precipitarti a Benares? – disse Lahiri Mahasaya sorridendo. Non mi ci troverai più.

“Quando mi balenò il significato delle sue parole, lanciai un grido disperato, credendo di vederlo solo in una visione.

Il Maestro mi si avvicinò per confortarmi. – Ecco, tocca la mia carne disse. – Sono vivo come sempre. Non lamentarti. Non sono forse con te in eterno?

Dalle labbra di questi tre grandi discepoli è emersa la testimonianza di una verità miracolosa: alle dieci del mattino, il giorno dopo che il corpo di Lahiri Mahasaya era stato affidato alle fiamme vicino al sacro Gange, il Maestro, risorto in un corpo reale, ma trasfigurato, apparve contemporaneamente dinanzi a tre discepoli che stavano, ognuno, in una città diversa.

“Poiché bisogna che questo corpo corruttibile rivesta l’incorruttibilità, e che questo mortale rivesta l’immortalità. E quando questo mortale rivestirà l’immortalità, allora si avvererà la parola che è scritta: E’ stata assorbita la morte nella vittoria. 0 morte, dov’è la tua vittoría? Dov’è, o morte, il tuo pungiglione? “.

Fonte: http://www.amadeux.it/forum/topic.asp?TOPIC_ID=20023

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