Nisargadatta Maharaj: Come vi siete realizzato?

Terra x Blog + Nero 2015

Come vi siete realizzato?

 

I. = Interrogante   M. = Maharaj

I.: Ditemi, per favore, come vi siete realizzato.
M.: Incontrai il mio maestro a 34 anni e mi realizzai a 37.

I.: Che cosa accadde, che cosa cambiò?
M.: Piacere e dolore persero la presa su di me. Fui libero dal desiderio e dalla paura. Colmo, senza bisogno di nulla. Vidi che nell’oceano della pura consapevolezza, sulla superficie della coscienza universale, le onde dei mondi fenomenici si levano e si abbassano senza inizio e senza fine. Come coscienza, sono tutte me. Come eventi, sono tutti miei. C’è un potere misterioso che li governa: la consapevolezza, il Sé, la Vita, Dio o comunque lo chiami. È il fondamento, l’ultimo sostegno di ciò che è, come l’oro è la base di tutti i gioielli. È così intimamente nostro! Sottrai ai gioielli il nome e la forma, e l’oro diventa ovvio. Sii libero dal nome e dalla forma, dai desideri e le paure che essi comportano. Che resterà?
I.: Niente.
M.: Resta il vuoto. Ma è pieno fino all’orlo. È il perenne potenziale, mentre la coscienza è il perenne attuale.

I.: Per “potenziale” intendete il futuro?
M.: Passato, presente, futuro; e infinitamente di più.

I.: Se il mondo è vuoto, serve a poco.
M.: Come puoi dirlo? Senza una continuità continua come può esserci rinascita? O rinnovamento senza la morte? Anche la tenebra del sonno ristora e rinnova. Senza la morte, saremmo confitti in un’eterna senilità.

I.: L’immortalità esiste?
M.: Vedere la vita e la morte come gli aspetti di un unico essere, essenziali l’una all’altra, è immortalità. Scorgere la fine nel principio e il principio nella fine è l’indizio dell’eternità. Senza dubbio, l’immortalità non è una continuità. Solo il mutamento è continuo. Nulla perdura.

I.: La consapevolezza ha una durata?
M.: La consapevolezza non è nel tempo. Il tempo esiste solo nella coscienza. Oltre la coscienza, dove sono il tempo e lo spazio?

I.: Nel campo della coscienza c’è anche il corpo.
M.: Certo. Ma l’idea “il mio corpo”, come diverso dagli altri, non c’è. Per me è: “il corpo”, non “il mio corpo”; “la mente”, non “la mia mente”. La mente bada al corpo e io non devo interferire. Tutto è come va fatto, normalmente e naturalmente. Puoi non essere al cento per cento cosciente delle tue funzioni fisiologiche, ma quando risali ai pensieri e ai sentimenti, ai desideri e alle paure, l’autocoscienza diventa automatica. Per me, quell’insieme è largamente inconscio (1). Mi vedo dire e fare cose al modo giusto, ma non partecipo. Come se la vita fisica di veglia si svolgesse meccanicamente, con reazioni spontanee e intonate.

I.: Questa risposta spontanea è un risultato di realizzazione o di allenamento?
M.: Di tutt’e due. La dedizione allo scopo ti fa vivere una vita pulita e ordinata, tesa alla ricerca della verità, e al bene altrui. A sua volta la realizzazione la rende facile e spontanea (2), rimuovendo per sempre gli ostacoli dei desideri, delle paure e delle idee errate.

I.: Non desiderate, non temete ormai più?
M.: Il mio destino era di essere un uomo semplice, un comune commerciante, umile e poco istruito. La mia vita era proprio ordinaria, con desideri e paure ordinarie. Quando la fede nel maestro e l’obbedienza alle sue parole mi fecero incontrare il vero me stesso, mi lasciai alle spalle la mia natura umana, che badasse pure a se stessa finché il suo destino si è esaurito (3). Di quando in quando una vecchia reazione, emotiva o mentale, riaffiora, ma è subito circoscritta e abbandonata. Dopotutto, finché si è legati alla persona, si è esposti alle sue idiosincrasie e ai suoi rigetti.

I.: Temete la morte?
M.: Sono già morto.

I.: In che senso?
M.: Sono morto due volte: al corpo e alla mente.

I.: Proprio non sembrerebbe!
M.: Lo dici tu. Come se conoscessi il mio stato meglio di me!

I.: Non capisco. Dite di essere senza corpo e senza mente, ma vi vedo vivissimo e ragionante.
M.: Sei forse cosciente dell’ininterrotta attività del cervello e del corpo? No di certo. Eppure, a chi guardi da fuori, tutto sembra svolgersi con intelligenza e in vista di un fine. Perché non ammettere che l’intera vita personale possa sprofondare al di sotto della coscienza, e tuttavia procedere nella veglia sensatamente e scioltamente?

I.: È normale?
M.: Che cosa lo è? La tua vita, ossessionata dai desideri e dalle paure, punteggiata di lotte e tensioni, priva di significato e di gioia, è forse normale? È normale la coscienza acuita che hai del corpo, o l’essere straziato dai sentimenti e assillato dai pensieri? Un corpo e una mente sani non pretendono di essere notati dal loro possessore. Solo un dolore o un disturbo improvviso lo costringono a occuparsene. E allora, perché non estendere questo atteggiamento all’intera vita personale? Si può funzionare a proposito, con risposte intonate, senza coinvolgere per forza la consapevolezza. Quando l’autocontrollo diventa una seconda natura, la consapevolezza sposta il suo fuoco a livelli più profondi di esistenza e di azione.

I.: E si diventa un robot?
M.: Che male c’è nel rendere automatico ciò che è iterativo e abituale? Automatico già lo è, ma è anche tanto caotico, affligge e pretende attenzione. Lo scopo di una vita pulita e ordinata è liberare l’uomo dalla schiavitù del disordine e dal laccio del dolore.

I.: Sembrate a favore di una vita automatizzata.
M.: Che c’è da ridire su una vita senza problemi? La personalità è solo un riflesso del reale. Perché il riflesso non dovrebbe essere identico all’originale, aderente come un dato di fatto? La persona ha davvero bisogno di piani proprio suoi? Sarà la vita, di cui è un’espressione, a guidarla. Appena comprendi che la persona è solo un’ombra della realtà, e non la realtà in sé e per sé, cessi di logorarti e di farne un problema. Accetti di essere guidato dall’interno, e la vita si trasforma in un viaggio nell’ignoto.

Dialogo tratto dal libro: Io Sono Quello, di Nisargadatta Maharaj.

Fonte del Post: http://franic.lima-city.de/htm/franic.htm?/mistica/nm/nm012.htm


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