Nisargadatta Maharaj: Il percettore del mondo.

Il percettore del mondo.

M.: Maharaji
I.: Interrogante

M.: Il percettore del mondo è prima del mondo, o sorge con esso?
I.: Che strana domanda! Perché la ponete?

M.: Finché non hai la giusta risposta, non hai pace.
I.: Quando mi sveglio, al mattino, il mondo è già li, ad attendermi. È certo affiorato molto prima di me: al più tardi, quando nacqui. Il corpo fa da intermediario tra me e il mondo. Senza il corpo non ci sarei io né il mondo.

M.: Il mondo affiora nella mente; la mente è il contenuto della coscienza; tu sei il testimone immobile e immutevole del flusso della coscienza, eternamente mutevole. La tua assoluta mancanza di cambiamento è così ovvia che neppure la noti. Se ti esamini a fondo, tutti gli equivoci e le incomprensioni si dissolveranno. Come i piccoli organismi che vivono nell’acqua non possono fare a meno di quell’elemento, così l’universo esiste in te e non può farne a meno.
I.: Questo noi lo chiamiamo Dio.

M.: Dio è solo un’idea nella mente, ma il fatto sei tu. L’unica certezza che hai è: “io sono qui-ora”. Rimuovi il “qui-ora”, e resta l'”io sono”, inattaccabile. La parola esiste nella memoria, la memoria entra nella coscienza, la coscienza esiste nella consapevolezza e questa è il riflesso della luce sulle acque dell’esistenza.
I.: Però ancora non capisco come il mondo possa essere in me, quando è incontrovertibile la situazione esattamente contraria, che cioè “io sono nel mondo”.

M.: Anche affermare: “Sono il mondo e il mondo è me”, è un segno d’ignoranza. Ma se coltivo la coscienza della mia identità con il mondo e la riscontro nella vita concreta, mi si attizza dentro un potere che estirpa l’ignoranza, bruciandola completamente.
I.: Non è parte dell’ignoranza, riconoscere: “io sono ignorante”? Come fa il testimone dell’ignoranza a esserne separato?

M.: L’unica cosa che posso affermare con cognizione di causa è: “Io sono”. Tutto il resto posso solo dedurlo. E la deduzione è diventata un’abitudine. Distruggi tutti i pensieri e i punti di vista che erediti dall’abitudine. L'”io sono” è la manifestazione di una causa più profonda, cui puoi dare molti nomi: Essere, Dio, Realtà, eccetera. L'”io sono” è nel mondo, ma è a sua volta la chiave che ti apre la porta per uscire dal mondo. La luna che danza sull’acqua è causata dalla luna nel cielo, benché sembri stare sull’acqua.
I.: Il nodo della questione continua a sfuggirmi. Posso ammettere che il mondo in cui vivo, mi muovo e mi riconosco esistente, sia creato da me e sia la proiezione delle mie immaginazioni sull’ignoto, su quel mondo di “materia assoluta” che è quello che è, quale che ne sia la materia. Il mondo creato da me può essere molto diverso da quello reale e finale, così come lo schermo è ben altro dalle immagini che vi sono proiettate. Tuttavia quel mondo assoluto esiste e del tutto indipendentemente da me.

M.: È indipendente da te per la semplice ragione che è te.
I.: E non c’è contraddizione? In che modo la condizione di indipendenza proverebbe quella d’identità?

M.: Basta esaminare l’idea di cambiamento. Ciò che può cambiare mentre tu non cambi, si può dire che sia indipendente da te. Ma ciò che è immutabile deve essere identico a qualsiasi altra cosa immutabile. La dualità, infatti, implica un’interazione; e l’interazione, un cambiamento. In altre parole, l’assoluto materiale e l’assoluto spirituale, l’oggettivo e il soggettivo assoluti, sono identici sia nella sostanza che nell’essenza.
I.: Come in un quadro a tre dimensioni, la luce produce il proprio schermo.

M.: Ogni paragone va bene. Il punto da cogliere è che tu hai proiettato su di te un mondo uscito dalla tua immaginazione, basato su ricordi, desideri e paure, e te ne sei fatto prigioniero. Rompi l’incantesimo e sii libero.
I.: E come lo rompo?

M.: Assevera la tua indipendenza nel pensiero e nell’azione. Tutto, alla fin fine, trae realtà dalla tua fiducia in te, dalla convinzione che ciò che vedi, ascolti, pensi e senti, sia reale. Perché non metti in questione quella fiducia? Senza dubbio, questo mondo è proiettato da te sullo schermo della coscienza e non è altro che il tuo mondo strettamente personale.

Solo l'”io sono”, benché parte del mondo, non gli appartiene. Non c’è sforzo di logica o d’immaginazione che possa convertire l'”io sono” in un “io non sono”. La negazione non fa che affermarlo. Quando ti convinci che il mondo è una tua proiezione, ne sei libero. Non hai bisogno di liberarti da un mondo che esiste solo nella tua immaginazione! Il quadro, bello o brutto, lo dipingi tu, e perciò non ne dipendi. Nessuno ti ci ha costretto, sei tu che confondi l’immaginario con il reale(1). Vedi l’immaginario per quello che è, sottraiti alla paura.

Come i colori in questo tappeto risaltano per la luce, ma la luce non è il colore, così il mondo è causato da te, ma tu non sei il mondo. Quello che crea e sostiene il mondo puoi chiamarlo Dio o Provvidenza, ma in ultima analisi la prova che Dio esiste sei tu e non viceversa. Infatti, prima che si possa porre alcuna domanda su Dio, devi essere tu a porla.
I.: Dio è un’esperienza nel tempo, mentre lo sperimentatore è fuori del tempo.

M.: Anche lo sperimentatore è secondario. Anzitutto, c’è l’espansione sconfinata della coscienza, l’eterna possibilità, il potenziale incommensurabile di tutto ciò che era, è e sarà. Quando guardi una cosa, vedi l’assoluto, ma ti figuri che sia ciò che appare secondo il suo aspetto immediato, una nuvola, un albero, eccetera(2).

Impara a guardare senza immaginare, ad ascoltare senza distorcere. Smetti di assegnare nomi e forme a ciò che è intrinsecamente senza nome e senza forma, persuaditi che ogni modalità di percezione è soggettiva e che ciò che è visto o udito, toccato od odorato, sentito o pensato, atteso o immaginato, è nella mente, non nella realtà. Allora conoscerai la pace e la libertà dalla paura.

L'”io sono” è pura luce e senso dell’essere messi insieme. L'”io” c’è anche senza il “sono”. Perciò, che tu dica “io” o no, resta pura luce. Diventa consapevole di quella pura luce e non la perderai. L’esseità nell’essere, la consapevolezza nella coscienza, l’interesse in ogni esperienza, tutto ciò non è descrivibile e, ciò nonostante, perfettamente accessibile, perché non c’è nient’altro(3).
I.: Parlate della realtà in modo esplicito: come la causa prima onnipervasiva, onnipresente, eterna, onnisciente, onniravvivante. Altri maestri rifiutano categoricamente di parlarne. La realtà sarebbe oltre la mente, mentre qualsiasi argomentare avviene nei limiti della mente, che è la dimora dell’irreale. Il loro punto di vista è negativo; precisano che cos’è l’irreale, per trascenderlo.

M.: La differenza sta solo nelle parole. Ad esempio, quando parlo del reale lo descrivo come non-irreale, senza spazio, senza tempo, senza causa, senza inizio e senza fine. Il risultato è lo stesso. Purché conduca all’illuminazione, il lato verbale della faccenda è irrilevante. Come se non importasse spingere o tirare il carro, fin tanto che rotola lo si lascia rotolare.

Una volta sarai attirato verso la realtà, un’altra volta sarai respinto dal falso; non sono che umori alterni e peraltro necessari per la perfetta libertà. Puoi seguire varie strade: ogni volta sarà quella giusta in quel momento; seguila con tutto il cuore, non sprecare tempo in dubbi ed esitazioni. Molti cibi diversi occorrono al bambino per crescere, ma l’atto di mangiare è identico.

Teoricamente, tutti gli approcci sono buoni. In pratica, la strada su cui cammini in un dato momento non può che essere unica. Presto o tardi scoprirai che, se vuoi davvero trovare, devi scavare in un solo posto: dentro(4).

Né il corpo né la mente possono darti ciò che cerchi: essere e conoscere te stesso e la grande pace che li accompagna.
I.: Certamente, in ogni approccio c’è qualcosa di valido.

M.: Il valore sta sempre nel farti avvertire il bisogno di cercare dentro. Il trastullarsi con l’uno o l’altro può dipendere da una resistenza a inoltrarsi, dal timore di dover abbandonare l’illusione di essere qualcosa o qualcuno in particolare. Per trovare l’acqua, non scavi piccole buche qui e là, ma perfori il terreno a fondo in un punto. Così, per trovare te stesso, non puoi fare a meno di esplorarti. Quando scopri di essere la luce del mondo, scopri anche che ne sei l’amore; che conoscere è amare e amare è conoscere.

Di tutti gli affetti il primo è quello rivolto a se stessi. L’amore per il mondo è un riflesso dell’amore per se stessi, perché il tuo mondo è creato da te. Luce e amore sono impersonali, ma si riflettono nella mente sotto forma di conoscere se stessi e augurarsi il proprio bene. Siamo immancabilmente benevoli verso di noi, ma non sempre saggi. Lo yoghi è un uomo la cui buona volontà è alleata alla saggezza.

Tratto da: “Io sono quello”, di Nisargadatta Maharaji

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