A proposito della paura della morte.

A proposito della paura della morte.

 

Finché siamo giovani, la vecchiaia e la morte ci appaiono così lontani che non sembrano riguardarci davvero.

Siamo catturati dal bisogno di esprimere e realizzare noi stessi e l’idea che, prima o poi, dovremo lasciar perdere tutto appare lontana e imprendibile.

Eppure gli anni scappano via uno dopo l’altro e, più rapidamente di quanto non avessimo previsto, ci ritroviamo ad abbandonare la corporeità, per affrontare un evento sconosciuto, angosciante e misterioso. In quel momento, la paura e il dolore rendono difficile comprendere pienamente ciò che accade.

Viviamo fingendo che la morte non esista. Totalmente assorbiti dal raggiungimento di beni materiali e spesso effimeri, non ci fermiamo mai a valutare davvero la portata e il valore della fine dell’esperienza terrena. Corriamo nella vita, evitando di pensare che un giorno avrà termine e, quando si avvicina il momento di lasciare il corpo, scopriamo di essere del tutto impreparati ad accoglierne il significato e la profondità.

Nessuno ci insegna come attraversare quella metamorfosi così definitiva e importante. I programmi scolastici non prevedono la conoscenza del mondo immateriale. La scienza analizza soltanto i dati concreti: il cuore smette di battere, l’elettroencefalogramma è piatto, l’organismo si decompone e, infine, diventa polvere.

Le religioni raccontano che l’anima si sposta in un altro luogo, dove non è possibile raggiungerla (paradiso, purgatorio, inferno, reincarnazione…) e dove Dio, il karma o qualcos’altro, giudicheranno le nostre azioni, destinandoci al premio o al castigo; ma parlano per dogmi e richiedono fede.

La ragione, lacerata tra il bisogno di comprendere e la paura di non farcela, finisce per accantonare il problema, impegnandosi nelle mille imprese che costellano la quotidianità.

È così che, un brutto giorno, scopriamo che è giunto il momento di oltrepassare le Colonne d’Ercole. La fine della vita è arrivata e noi non siamo pronti per accettarla e per attraversare i piani della coscienza, senza lasciarci travolgere dalla paura dell’ignoto.

Tuttavia, il corpo si prepara molto tempo prima di quell’istante conclusivo; comincia a darci i segnali del cambiamento un giorno dopo l’altro, all’inizio quasi impercettibilmente e poi sempre più chiaramente. Sta a noi accordargli la giusta attenzione, fermando il vorticoso meccanismo della distrazione, per accogliere il passaggio in tutta la sua intima e profonda intensità.

La vecchiaia, quel cambiamento progressivo e inesorabile che rende il fisico sempre meno prestante ad affrontare le prove dell’esperienza materiale, corrisponde al formarsi di uno strumento adatto a muoversi nelle forme più rarefatte, in cui la morte ci accompagnerà.

Se osserviamo la decadenza fisica dalla prospettiva immateriale, scopriamo che il “deterioramento” è, in realtà, uno spostamento sui livelli sottili dell’esistenza. Il declino fisico segnala che un altro corpo sta prendendo forma.

Gli animali lo chiamano “fare il bozzolo”, indicando con ciò il trasferimento progressivo della consapevolezza al di fuori dalla dimensione terrena. Per questo, quando arrivano in prossimità della morte, preferiscono isolarsi, lasciando che la natura faccia il suo corso, senza ostacolarla. Nelle loro culture, legate ai ritmi della creazione, la morte non è combattuta con la foga con cui noi l’avversiamo.

Dal nostro punto di vista, carico di superiorità e di giudizio, i loro atteggiamenti possono essere scambiati erroneamente per indifferenza, tuttavia nel loro stile di vita, sempre attento all’ecosistema, la medicina, i farmaci e l’accanimento terapeutico, che caratterizzano la società umana non sono contemplati.

Per le altre specie la morte è un passaggio, a volte doloroso, ma inevitabile. È con questa consapevolezza che lasciano andare i loro simili e se stessi nel momento del trapasso. Proprio come il bruco diventa inutile e, isolandosi, si trasforma in una meravigliosa farfalla, così il corpo perde le sue funzionalità permettendo all’energia individuale di trasferirsi nelle configurazioni necessarie a continuare l’avventura della conoscenza su altri livelli della realtà.

Ecco perché “invecchiare”, dal punto di vista immateriale, indica uno spostamento e non un deterioramento. Se osserviamo la vecchiaia da una diversa prospettiva, scopriamo che è un tempo necessario a prendere confidenza con le leggi che governano i piani impalpabili della coscienza.

Un tempo in cui l’organismo perde le sue capacità, mentre chi lo abita, l’io, l’osservatore, il testimone che ci accompagna silenzioso dal primo all’ultimo giorno della vita, non invecchia. Quella presenza consapevole percepisce che il corpo si sta fermando, ma sa che tu non ti stai fermando, al contrario, stai accelerando!

Ti liberi dalle strettoie del tempo e dello spazio e impari a fluttuare nell’immensità. In quei momenti l’inconscio schiude le sue potenzialità e spalanca le porte dell’eterno presente, mostrando la coesistenza di infinite possibilità. Tutto cambia.

Nel passaggio che conduce alla rarefazione, l’organismo perde la sua funzione di veicolo fisico e l’io si sente sempre più vivo, leggero e pronto ad affrontare una nuova avventura.

Ecco perché gli anziani dormono spesso e si confondono facilmente, scambiano il giorno con la notte, il prima con il dopo, il presente con il passato: ondeggiano nel tempo, mentre imparano a esistere senza il tempo.

Il cervello, che è stato lo strumento principale per decodificare la materialità, diventa inutile a leggere i nuovi codici della rarefazione. Prende forma un’essenza più lieve, capace di planare nelle dimensioni come una farfalla.

Per lo stesso motivo, anche i piaceri che appartengono alla fisicità perdono d’importanza, lasciandoci scoprire appagamenti nuovi. Non più il cibo, la sessualità, il chiasso, le feste, le chiacchiere, le emozioni forti… ma un ascolto intimo e profondo, che conduce fuori dalle passioni nel mondo senza confini della Totalità.

Un mondo che in tanti hanno provato a raccontarci, sia dopo le esperienze di premorte che nei sogni, nelle comunicazioni telepatiche e nel channeling post morte, ma che è così difficile da accettare e da comprendere quando la fisicità fa sentire ancora con urgenza il suo richiamo.

La paura della morte intreccia l’ignoranza sul significato della vita. Aprirsi a una conoscenza che va oltre i cinque sensi per accogliere una realtà intima, fatta di sensazioni, di intuizioni e di un sapere che nasce dentro di sé un attimo prima che sia stata formulata la domanda, permette di comprendere i cambiamenti impercettibili che ci conducono oltre la materialità, creando un ponte tra le dimensioni.

Una cultura nuova abbraccia ciò che attiene alla fisicità e ciò che invece la trascende, aiutandoci a colmare i vuoti che riducono la fine della vita a una perdita d’identità, di valore e di presenza.

Per costruire un mondo migliore è necessario abbattere il pregiudizio che ammanta la morte di tristezza e oltrepassare i limiti dello spazio e del tempo, dando forma a un’unione profonda, fatta di legami autentici e immortali. Solo così si permette all’amore di dispiegare tutta la sua verità.

Carla Sale Musio

Fonte: http://carlasalemusio.blog.tiscali.it/2017/11/01/a-proposito-della-paura-della-morte%E2%80%A6/

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