Raphael: Approccio alla non-dualità. 1di 2.

Terra x Blog + Nero 2015

“Tradizione Primordiale; approccio alla non-dualità”. Prima parte.

Una conversazione con Raphael, tratta da: 3ème Millénaire n. 64-65. Traduzione di Luciana Scalabrini.

Premessa.

Raphael, il fondatore dell’ Ashram Vidya è un Advaitin tradizionale che segue la “via senza supporto”: l’Asparsa yoga. Dopo 35 anni d’insegnamento scritto e orale, ora vive ritirato nel silenzio di un eremitaggio sui contrafforti dei monti Appennini, circondato da alcuni residenti fissi. Autore di numerose opere che trattano la Filosofia Perenne, non fa opera d’erudizione, ma tenta di aprirci alla via della Conoscenza attraverso l’identità, che conduce alla Metanoia e al Nirguna Brahman, dimensione dell’ “Uno-senza-secondo”, che sfugge ad ogni concetto, ma la cui realtà s’intuisce attraverso il cuore. La profonda comprensione che possiede Raphael delle differenti branche della Tradizione, ci offre vaste prospettive rischiarate da folgoranti paralleli tra il pensiero greco, ebraico e vedantico. Il suo molto grande rigore filosofico, così prezioso in questo fine secolo, aperto a tutti i sincretismi dottrinari immaginabili, si esercita attraverso una grande umiltà e compassione. Soprattutto, dividere un momento di Silenzio accanto a lui è forse, ben al di là delle parole che padroneggia con tanta cordialità, il gioiello più prezioso che sia dato ricevere.

Gli intervistatori: Anne e Darrel Newberg.

Intervista.

D: Ciò che chiamate “stato di coscienza” corrisponde a ciò che noi consideriamo come la persona?
R: Tutto in questo mondo è Coscienza, e uno stato di coscienza è un mezzo per scoprire le possibilità che esistono in seno a questa. Così, Raphael è uno stato di coscienza, ma anche voi siete uno stato di coscienza che deve essere scoperto.

D: Insomma, tutto è Coscienza, ma in seno a questa coscienza appaiono differenti movimenti. E’ una buona spiegazione?
R: Possiamo dire che esiste una Coscienza unica, o Una, espressa attraverso i gunas [1]. La capacità dì espressione che possiede la Coscienza è più o meno grande, secondo il grado di perfezione dei suoi gunas. La Coscienza ha una possibilità d’espressione assai piccola in un albero o in un animale. E’ la forma che impone una limitazione a questi stati di Coscienza. La realizzazione permette di rompere queste limitazioni, o strati che restringono la Coscienza e le impediscono di essere svelata in tutta la sua maestà. La Coscienza è dappertutto, fino al regno minerale. Nell’essere umano, essa ha sicuramente una più grande capacità d’espressione. In un Deva [2], cioè in un essere di livello superiore, essa si rivela attraverso Ananda-maya [3] e gode così di possibilità molto più estese.

Secondo il Vedanta, cinque veicoli o strumenti ci rendono possibile il contatto con i diversi livelli dell’Essere. Questi strumenti si stendono dal livello fisico grossolano fino al più sottile che ci sia: Ananda. Tutto questo corrisponde a tutto quello che si trova nel pensiero della Grecia e dell’antico Egitto. Non cambia niente. Solo una denominazione differente è data a questi stati, ma la conoscenza fondamentale è esattamente la stessa. Esiste in Occidente un via metafisica che porta ai Grandi Misteri. Ieri noi parlavamo dell’Unità della Verità. E’ importante fare riapparire la filosofia tradizionale Occidentale (che anch’essa fa parte dei Grandi Misteri), di rimetterla in luce; anche se non c’è niente di nuovo, sicuramente, tutto questo essendo già stato divulgato.

Alcuni Occidentali pensano che la Verità non appartiene che all’Oriente. E’ falso perché una Tradizione è presente anche in Occidente. Tutto quello che dobbiamo fare è permetterle di manifestarsi. Plotino, per esempio, era una grande realizzato, un mistico e un filosofo. Voleva permettere alla Tradizione di riemergere, e creare a sud di Napoli una città, o una cittadella dei filosofi secondo i termini tradizionali. All’epoca dell’imperatore Gallieno, Plotino era uno dei precettori dei suoi figli. Sfortunatamente, a causa di problemi legati alla corte, non fu autorizzato a dar seguito a questo progetto. D’altra parte, Platone voleva fondare in Sicilia (che all’epoca era la Magna Grecia) la sua Politeia o Repubblica. Viaggiava spesso dalla Grecia alla Sicilia per fare vivere questa visione di uno Stato fondato sull’ordine e la giustizia. Per ordine, intendeva corrispondenza con i piani più elevati, con i piani universali. Anche Pitagora aveva fondato questo tipo di scuola, che continuò per molto tempo in Calabria. Di più, creò molti gruppi di studio.

Così, la Tradizione seguita da Platone, Plotino e Pitagora esiste in Italia e dunque in Occidente, naturalmente. Questo per permettervi di comprendere che in Occidente, la Tradizione è stata di natura piuttosto Ksatriya, della natura del guerriero e non contemplativa. Con il Cristianesimo, tutto questo fu completamente spazzato via; certo. Plotino diceva che aveva vergogna di essere in un corpo fisico. A Plotino non piaceva che lo si ritraesse e si nascondeva sempre. Un giorno uno dei suoi discepoli, Amalius, fece venire un artista dalla Grecia e il solo ritratto di lui che abbiamo è questo (Raphael mostra la copertina di un libro). Quest’uomo aveva impresso le fattezze di Plotino nella sua memoria e l’aveva poi dipinto in un gran segreto. Lo si vede qui raffigurato con il suo discepolo Porfirio. Questa immagine, è uscita dalla memoria di un pittore!

D: Sembra che la maggior parte dei ricercatori spirituali occidentali siano più attirati dall’India e dall’ Advaita Vedanta. Sembra anche che diano loro maggior valore che alla propria tradizione. Come spiegate questo?
R: Ci sono stati due avvenimenti principali. Il primo fu il Cristianesimo, che cercò volontariamente di oscurare la filosofia Occidentale. Il Cristianesimo non contiene che i Piccoli Misteri e non i Grandi Misteri. L’Islam ha il Sufismo, che è di una maggiore grandezza e che rinsalda i Grandi Misteri. La Torah, l’Antico Testamento contiene una parte esoterica che è la Kabbala. Il Cristianesimo non ha né questa dimensione metafisica, né questa visione dei Grandi Misteri.

Il secondo avvenimento si riferisce alla tendenza materialistica e positivista dell’Occidente che interpreta e inquadra tutto da questo punto di vista, compresa la filosofia. Questi due fatti hanno oscurato poco a poco i Grandi Misteri e la parte più elevata della filosofia occidentale. Benché Platone, Plotino e Parmenide si siano espressi in maniera molto chiara, i filosofi contemporanei non ammettono che Platone sia stato un grande realizzato. Questi esseri sono considerati unicamente come dei grandi filosofi discorsivi.

D: Raphael pensa che i testi tradizionali greci esprimano la stessa cosa dell’Advaita Vedanta?
R: Quando parliamo dell’ Advaita Vedanta, facciamo riferimento a tre stati dell’essere, più un quarto, Turya o l’Assoluto, che si situa al di là della manifestazione. Platone esprime la stessa idea quando tratta del mondo dell’Essere, che corrisponde esattamente allo stato di Ishwara [4] nell’ Advaita Vedanta. Platone parla dell’ “Uno-Uno”, che è al di là dell’Essere e che equivale al “Nirguna” dell’ Advaita Vedanta. Proprio come nelle due altre Tradizioni, l’albero Sephirotico della Kabbala comporta tre livelli differenti, più uno chiamato Ain Sof situato al di là della manifestazione.

Tutte le differenti branche della Tradizione portano esattamente alla stessa conclusione: esiste qualcosa al di là della manifestazione, e d’altra parte, solo l’Unità è. Si ritrova questa stessa nozione nella filosofia di Parmenide. Il suo insegnamento è molto sintetico perché non ci resta molto. Ma il poco che abbiamo conservato di lui si congiunge esattamente con i testi di Gaudapada o Shankara. Parmenide dice:” L’essere è e non diventa, perciò è Realtà assoluta”, “La manifestazione non è niente altro che apparenza. Essa appare all’orizzonte poi scompare”. E’ precisamente la stessa nozione che quella di Maya [5] nel Vedanta.

Uno stato di coscienza è totalmente impersonale. L’ego o “l’io” appare a partire dal momento in cui c’è identificazione per il gioco di riflesso della Coscienza nel corpo fisico che dice “io sono questo”. Questo “io” dirà:” io sono il corpo” “io sono sentimento”. In Francia, voi avete Descartes con il suo famoso “penso dunque sono”, “dubito, dunque sono”. La Tradizione va in un senso diametralmente opposto a questo punto di vista, che cambia in “sono, dunque penso”. Questo ha creato tante divisioni in Occidente, benché oltretutto Decartes sia stato credente. Se vi identificate con un veicolo, perdete la vostra identità. Proprio come nel mito di Narciso, dove Narciso, riflettendosi nell’acqua, vede la sua immagine e se ne innamora, cade nell’acqua e muore. In Occidente abbiamo dei simboli carichi di significato, molto importanti dal punto di vista della realizzazione. Il racconto del figliol prodigo ha anch’esso un profondo significato tradizionale. Questo si allontana da suo padre, dunque l’Unità, va per il mondo, fa numerose esperienze, di cui molte negative, poi torna da suo padre, dunque all’Unità.

Il Vedanta dice: “Voi non siete questo, voi siete Quello”, “Tat tvam Asi, Quello voi siete”. Questo sembra molto semplice, ma disgraziatamente, è difficilissimo da realizzare, in quanto esiste un inconscio collettivo che attira costantemente al livello delle forme.

Nella storia dell’Occidente, certe correnti sono state il riflesso esatto di questi differenti stati. Durate l’epoca romantica, in Francia come in Italia, si credeva che l’uomo fosse emozione o sentimento. Tutta la società si basava, tra l’altro, nella esaltazione del ruolo della donna come ideale. Alcune di queste correnti risalivano al classicismo greco, e per questo fatto alimentavano un più grande rigore nella società, una maggiore severità quanto al controllo delle energie dell’uomo. Così si intraprese con grande entusiasmo lo studio dei testi classici sia greci che latini. Oggi, nella fase materialista e positivista che noi attraversiamo, diciamo: “Io sono questo corpo fisico e non c’è nient’altro a parte questo corpo fisico materiale”. Questa tendenza è dunque caratteristica di una società nichilista. Attualmente alcuni filosofi propongono d’altronde la tesi del nichilismo. Questo ha dato origine all’esistenzialismo, corrente che si trova in Francia e in Italia, che è diventata una specie di ribellione contro la fase nichilista.

Se si osserva dal punto di vista dell’ “Uno senza secondo”, tutto ciò che succede è al posto giusto. Il movimento dei gunas e l’identificazione dell’ego con questo o quello non possono che dare origine a ciò che succede in questo momento. Un cammino che è nato dai Grandi Misteri, conduce direttamente alla pacificazione del cuore. Diciamo spesso qui che: “Chiunque ha compreso tutto questo, vive nel silenzio che tutto penetra e nell’amore che sa come donarsi, per la sua comprensione profonda”. Gaudapada, nell’ Aspars-yoga dice che “questo Yoga è lo Yoga della non-opposizione”. Non dipende né dalle emozioni né dai sentimenti: discende dal sapere e dalla comprensione che ogni cosa, in uno spazio/tempo dato, è al suo giusto posto.

D: Sembra che una delle maggiori caratteristiche dell’ego sia di mantenersi, costi quello che costi, verso e contro tutto ciò che può presentarsi per spezzarlo.
R: Si, è la forza dell’ego, benché l’ego non sia una Realtà assoluta. Un ego può affermare: “in questo momento io sono felice”, e l’istante dopo, una notizia triste o negativa sopraggiunge e lo porta a dire: “io sono infelice”. Allora Raphael constata: “non capisco veramente quel che succede. State dicendo che siete felice e subito non lo siete più, allora quanto ego avete?”. Ma anche in psicologia, sappiamo ora che esistono più ego sociali, un io che non è utilizzato che in ufficio, un io che è utilizzato in famiglia con il marito o con la donna e così via; possiamo dunque dire che l’ego è un camaleonte… Ma, a dispetto di tutto ciò, la maggioranza delle persone ci si attaccano e ne favoriscono la continuazione nel tempo. L’ego è una causa di conflitto, perché crea la dualità: ego e non ego.

D: Allora perché la gente fa questo?
R: E’ un lato della vita, una modalità offerta dalla vita. Perché, vedete, diverse possibilità sono concesse all’essere umano. Un essere umano può pensare identificandosi al prodotto del suo pensiero, ma può anche pensare senza essere identificato. Non è proibito e semplicemente può accadere. La persona potrebbe persino non pensare affatto; anche questo le è permesso. L’entità o l’essere ha questa libertà, perché noi siamo dei figli dell’Essere, di conseguenza siamo partecipi di questa libertà. Tra tutte le possibilità di scelta concesse, esso può scegliere quella che preferisce, che desidera. Certo, si produrranno differenti effetti, secondo la scelta dell’essere e gli orientamenti presi dall’ego. L’identificazione si radica progressivamente.

D: Voi parlate del risveglio come del resto del movimento del jiva [1]. A cosa si rapporta il jiva e cosa intendete esattamente per questo?
R: Possiamo parlarne in termini Orientali o Occidentali: perché anche i cristiani parlano di corpo, anima e spirito. Platone parla di soma, psiche e pneuma, il Vedanta parla di un corpo fisico denso e grossolano, del jiva o anima – che è un riflesso dell’Atman – fase intermedia tra il livello fisico grossolano, che comprende la mente, il pensiero, i sentimenti ecc., e il puro Spirito. L’anima, secondo Platone, ma anche secondo il Vedanta, può essere orientata sia verso il corpo, sia verso il puro Spirito. Se si identifica con il mondo sensibile, per usare le parole di Platone, inevitabilmente questa avrà dei determinati effetti. Se, al contrario, si rivolge verso la sua controparte divina, cioè verso il livello metafisico, gli effetti sono differenti. E’ perciò importante frenare questo movimento verso il basso e orientarlo verso il trascendente.

Questo terzo stadio della vita che viviamo qui come eremiti, è quello che si applica ad evitare il movimento dell’anima verso il mondo esterno e verso l’identificazione con questo. L’eremita tenta piuttosto di identificarsi con quello che non ha niente a che fare con le emozioni, le sensazioni ecc, cioè con la sua trascendenza; in altri termini, si tratta di un ritorno verso sé. In sanscrito, si chiama uparati: un ritorno interiore e un distacco dai veicoli e da tutto ciò che ci circonda. Platone parla di periagoge (conversione), che significa il distacco dal mondo materiale. Sicuramente non si tratta di una fuga, ma d’una integrazione. Allora, vedete, diciamo tutti esattamente le stesse cose, la Tradizione è Una e unica. Tutte le differenti branche della Tradizione le appartengono.

D: Nel vostro libro “Il Sentiero della non-dualità” voi dite: “L’uno non può essere conosciuto che attraverso un atto di identità. Cosa significa?
R: Secondo Platone e la filosofia greca, esistono differenti gradi di conoscenza. Ed è lo stesso per il Vedanta. Il primo livello di conoscenza opera grazie alle sensazioni e ai sentimenti; per esempio, gli animali apprendono e comprendono per mezzo delle sensazioni che hanno delle cose. Siamo dunque in presenza di una conoscenza per mezzo delle sensazioni. Anche gli esseri umani, a livello istintivo, agiscono così. Esiste anche un altro livello che abbiamo l’abitudine di chiamare conoscenza empirica, che è trasmessa allo spirito attraverso i sensi. Questo tipo di conoscenza è duale, perché implica soggetto e oggetto.

Così abbiamo manas in sanscrito e dianoia in greco, ma questi due termini significano esattamente la stessa cosa: la mente. La scienza, per esempio, si affida molto a manas, perché deve scoprire tutte le differenti leggi che governano i fenomeni, il mondo fenomenico. E questo non pone nessun problema, perché per conoscere i diversi fenomeni, dobbiamo utilizzare manas, la mente che ha quindi la sua importanza. Anche qui, si tratta di un sapere dell’ordine del soggetto-oggetto: un soggetto che conosce un oggetto.

Quando andiamo più in profondità, ci accorgiamo che questo tipo di sapere duale non ha più ragione d’essere. L’insieme della molteplicità diventa allora unità; scopriamo che non c’è niente da conoscere al di fuori di noi stessi. A questo stadio, in termini umani, parliamo di una “Conoscenza per identità” perché “io sono quello che sono” senza secondo. Quando un ricercatore prende coscienza che è la mente che crea la dualità tra soggetto e oggetto, può allora chiudersi a questo tipo di conoscenza e rendersi conto che non esiste che una sola entità al di là di tutto questo movimento. Ecco perché è impossibile ottenere una realizzazione al livello di manas, perché manas proietta un Dio o una Divinità all’esterno di se stesso.

S. Agostino dice: “Dio è in noi “ e Gesù Cristo dice: “Il Regno dei Cieli è in voi”. Sono i preti che dicono che tutto questo è fuori di voi. E a questo stadio, si diventa Conoscenza, quando soggetto e oggetto scompaiono. In sanscrito si parla di Sat, Chit è insieme conoscenza e coscienza, e i due non sono che Uno: In Occidente, abbiamo creato una differenza tra conoscenza e coscienza; abbiamo perciò elaborato due cose distinte a partire da una sola e stessa nozione. Peraltro, in termini orientali come in termini occidentali, abbiamo Chit o Gnosi, che significano conoscenza non duale. In occidente, la nostra mente è piuttosto empirica e vogliamo comprendere l’assoluto grazie a questa mente, che, in realtà è relativa. Uno dei nostri fratelli che ha un manas molto forte, molto potente, vorrebbe comprendere l’assoluto con la sua mente. Non si tratta di sbarazzarsi della mente perché è un veicolo, uno strumento come gli altri. E’ perciò importante comprenderne il giusto valore. Ma per conoscere ciò che si situa al di là di sé, dobbiamo abbandonarci.

D: Cosa intendete per “conoscere, colui che conosce e ciò che è conosciuto ? Devono coincidere perfettamente”?
R: Questa domanda è di nuovo come la precedente; avete la conoscenza, il conoscitore e il conosciuto, esattamente come avevate il soggetto e l’oggetto della conoscenza. Così la risposta alla domanda precedente si applica anche a questa.

D: ci sono però due cose qui: si vuole la liberazione e si vuole la comprensione e forse ci si vuole anche abbandonare. Me nello stesso tempo, una parte di questo processo deve succedere da solo, non possiamo provocarlo, anche avendo la conoscenza di tutto questo processo.
R: Noi abbiamo la facoltà di comprendere e, poco a poco, attraverso gli insegnamenti ecc., arriviamo ad afferrare questa Realtà. Prendiamo l’esempio di qualcuno che mettesse il dito sopra una fiamma. Il desiderio di conoscere l’effetto prodotto da questo gesto esiste per la dipendenza dall’inconscio collettivo, tamas, e altri. Immaginiamo che una persona venga a trovare Raphael e che lui gli spieghi tutte le ragioni per le quali lei si brucerà se mette un dito nel fuoco. Questa persona potrebbe istantaneamente prendere coscienza del pericolo e così non si troverebbe portata a far fisicamente l’esperienza. Oppure, continuerà a voler mettere il dito nel fuoco e a bruciarsi. Ritornerà poi a lamentarsi “Mi sono bruciata, che devo fare per evitarlo?” Raphael risponderebbe: “Ebbene, forse non avete capito? Se lo desiderate, ve lo spiego un’altra volta”. E’ il mondo dell’ego che crea questo genere di dualità. Crea la gioia e il dolore, il conflitto, la sofferenza ecc. Posso indicare il cammino che conduce alla soluzione di questo tipo di conflitto. Se questa persona rimette il dito nel fuoco, cioè nel mondo della dualità, del conflitto e della sofferenza, è naturale che si brucerà di nuovo. Ora, se lo desidera, si può spiegarle tutte le ragioni che l’hanno spinta a ricominciare.

Se il dialogo non avviene tra due intelletti, ma piuttosto tra un Maestro o più precisamente uno stato di coscienza giunto al di là del desiderio di fare delle esperienze e un discepolo, allora è possibile che questo stato di coscienza penetri la coscienza del discepolo e a seconda di tutte le probabilità, una vera comprensione si accenderà in questo senza sforzo. La relazione tra un Maestro e un discepolo è in effetti straordinaria e di grande bellezza, perché è una relazione tra uno che si dona e si abbandona e uno che è lì per aprirsi e ricevere ciò che è donato, al punto che non ci sia più distinzione tra i due e che di due essi diventino Uno. Ma talvolta è difficile giungere a questo livello d’apertura perché c’è una resistenza da parte delle discepolo, come una identificazione con alcuni contenuti psicologici, con manas ed altre esperienze ancora.

Lo stato di coscienza di un essere realizzato non è altro che la possibilità di toccare un altro stato di coscienza che non è ancora risvegliato. Ma sul piano potenziale, noi siamo tutti Quello. Piuttosto che di parlare di un “essere realizzato” forse è preferibile parlare di un “fratello maggiore”. Non c’è che un Maestro ed è Shiva. Il “fratello maggiore” deve toccare lo stato di coscienza dell’altra persona e non i suoi guna.

D: Questo ci porta alla domanda seguente, a proposito degli “esseri realizzati”. Nel vostro libro “Tat Tvam Asi”, descrivete un essere realizzato e ci domandiamo se avete qualche consiglio, consiglio da dare per aiutare a distinguere un essere veramente risvegliato da qualcuno che ha semplicemente alcuni poteri.
R: Non è difficile vedere la differenza; ma naturalmente è indispensabile che la persona che si domanda se l’essere di fronte a lei è realizzato o no, sia essa stessa a un certo livello di comprensione. Si dice che un essere realizzato non possa essere riconosciuto che da un altro essere realizzato. Ma, vedete, quando abbiamo evocato la Tradizione scritta, era molto importante, perché ad ogni momento possiamo apprezzare la persona che ascoltiamo riguardo ai testi tradizionali.

Ricordiamo un esempio semplicissimo che conosciamo tutti: i Vangeli. Qualcun potrebbe venirci a trovare e dire: “Ho realizzato quello stato che è descritto nei Vangeli”. E a questo si potrebbe rispondere: “Molto bene; vediamo allora ciò che Gesù Cristo ha detto nei Vangeli”. Prendiamo per esempio il Cattolicesimo, in cui l’Occidente cristiano, tentando di convertire i popoli alla sua religione, ha causato tante guerre e ha trascinato alla separazione nazionale. Se sono normalmente dotato di intelligenza, mi rivolgo ai Vangeli e provo a capire se Cristo ha veramente detto che quello corrispondeva al modo di portare il Suo insegnamento al mondo. Nei Vangeli Cristo dice: “Amatevi gli uni con gli altri, come io ho amato”. Dice poi: “Pregate Dio perché il sole splenda sui giusti come sugli ingiusti. Cosa conquistate non amando che quelli che vi amano? In verità vi dico, amate quelli che vi odiano”. Allora mi guardo attorno e mi domando spesso se i preti hanno davvero seguito questo pensiero, se l’hanno veramente realizzato. In Europa, abbiamo avuto più guerre di religione che guerre politiche (ridendo), e Gesù dice: “Offrite l’altra guancia!”.

Note:
1) Gunas: “qualità fondamentali”. La creazione si manifesta in conseguenza al disequilibrio trai tre gunas, sattva il puro e il Sottile, rajas, l’attività e tamas, la pesantezza e l’immobilità, mascherando così la realtà di Brahman.
2) Deva: essere risplendente,angelico; divinità, Principi funzionali dei livelli grossolano e sottile.
3) Ananda-maya-kosa: guaina, rivestimento (kosa), fatti di (maya) beatitudine (ananda).
4) Ishwara: personalità divina. Rappresenta ciò che si può chiamare il Dio-Persona. Principio della manifestazione totale e Signore di maya.
5) Maya: ignoranza metafisica; fenomeno; mondo empirico fenomenico. Maya comprende tutte le modificazioni sovrapposte alla pura Coscienza del Sé, al Brahman-Atman. Apparenza, ciò che non è né reale né non reale, ma la cui natura è “cambiamento”.

Fine parte 1.

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Fonte del Post: http://www.sviluppocoscienza.it/Raphael1.htm

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