Riflessioni: La certezza di esistere.

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La certezza di esistere.

La certezza di esistere – esperienza comune a tutti – a ben osservare, deriva, in primo luogo, dalla percezione sensoriale, cioè da quell’infinità di stimoli, sensazioni, emozioni e sentimenti che il corpo e il sistema nervoso portano alla “nostra” attenzione. Osservando ancora, noi giungiamo alla convinzione di esistere anche grazie alla mente, o, in parole più dirette, grazie al pensiero che, ininterrottamente, “riempie” la nostra testa – il cosiddetto dialogo interiore – e che, continuamente, afferma: “io, mio”. In effetti, la celebre frase “Penso, dunque sono” riassume perfettamente tutto questo.

Dunque, la nostra certezza di esistere deriva dal corpo, in primis, e dall’attività del pensiero, poi, senza, con questo, voler indicare, o stabilire, due distinti momenti in cui ciò accade. Direi pertanto che non è azzardato affermare che siamo certi di essere una persona, cioè un corpo pensante, secondo lo schema: “io sono il pensatore che dimora nel corpo, che, ovviamente, è il mio personalissimo corpo”; la certezza che ci fa dire “io sono vivo”, in definitiva, nasce esclusivamente da quello schema mentale. Tutto il resto, come il mondo, gli altri, l’universo intero, lo collochiamo “fuori” di noi, cioè esternamente al corpo, ritenendo che tutto ciò che è diverso da noi sia preesistente a noi, indipendente e diverso da noi. Questo schema, tra l’altro, sta alla base – cioè è la sorgente – della sensazione di separazione che riscontriamo tra il “me” e tutto ciò che riteniamo diverso dal me. Questo schema è pure all’origine di ogni conflitto, interiore od esterno, che l’umanità abbia mai conosciuto, nella sua tribolata storia.

Pare così anche a te?

Detto quanto sopra, risulta evidente che se non avessimo un corpo non sapremmo di esistere e non sapremmo nemmeno che esiste un universo. Ti torna?

A questo punto, varrebbe la pena porre l’attenzione su alcuni aspetti in comune che hanno sia il corpo, sia il pensiero, sia il mondo esterno al corpo. Da qui in poi, comunque, piuttosto che parlare esclusivamente di corpo, credo sia più aderente ai fatti riferirsi alla percezione – o percezione corporea – ai sensi fisici, insomma.

Che cosa hanno in comune questi tre aspetti, cioè corpo, pensiero e mondo?

Se si osserva – senza commentare ciò che viene osservato – diventa subito evidente che il corpo, il pensiero e il mondo compaiono invariabilmente, tutti insieme, in quello “spazio” che viene definito Coscienza. Con questo intendo affermare che sia il corpo, sia il pensiero e sia il mondo appaiono, contemporaneamente, nello stato che viene definito “coscienza di veglia” e che tutti, o quasi, dovremmo conoscere molto bene; infatti, dopo il periodo del sonno notturno, in cui non siamo coscienti di nulla, interviene il momento del risveglio e, proprio in quel momento, possiamo assistere al sorgere della percezione corporea su cui, come detto poco fa, fondiamo la nostra certezza di esistere, di esserci. Potremmo perfino dire che proveniamo dal nulla indefinibile ed insondabile (del sonno profondo), poi ci ritroviamo a fare esperienza dell’identità, cioè di essere un qualcuno che fa esperienza nel tempo, nello spazio e nella materia, dopodiché torniamo a quel nulla da cui proveniamo (ci addormentiamo nuovamente). Credo che non sia un caso se gli antichi definivano il sonno profondo come la “Piccola Morte”… dove con “Morte” si intendeva semplicemente la “fine del conosciuto e del conoscitore”.

Proseguendo nell’osservazione, diventa altresì evidente che identità, pensiero, corpo e mondo sono tutti, in maniera perfettamente identica, oggetti di coscienza, o se si preferisce, oggetti presenti nel “campo” della coscienza; la coscienza, cioè, contiene “oggetti” di percezione, i quali, a loro volta, diventano coscienza stessa. In altre parole, la coscienza si rivela essere un contenitore, che è, di fatto, la somma dei suoi stessi contenuti, in assenza dei quali, non può esistere esperienza alcuna, da parte di nessuno. Detto questo, credo che diventi estremamente evidente come coscienza e contenuto della coscienza siano la stessa identica cosa.

Ma, allora, nel caso tutto questo fosse evidente, come la mettiamo con il nostro senso di esistere, di esserci, con la nostra certezza che ci fa affermare “io sono”?
E’ chiara la domanda… o non lo è?

A scanso di equivoci, vediamo di proseguire, passo dopo passo.

Se abbiamo “visto” veramente cosa sia la coscienza – la “nostra” stessa coscienza, non un concetto astratto o estrapolato da letture o seminari vari – diventiamo consapevoli degli oggetti che in essa – la coscienza – appaiono e, dunque, che il corpo, il pensiero, il mondo, cioè l’intera percezione sensoriale, non sono che oggetti della coscienza, appunto.

Arrivati a questo punto, potrebbero nascere delle domande… Sì? … No?

Se nello stato di sonno profondo ne’ “noi”, ne’ il mondo eravamo presenti e se all’instaurarsi dello stato di coscienza di veglia ci ritroviamo nuovamente con un corpo fisico, vivi, in un universo altrettanto fisico, che cavolo è successo? Perché, a tratti, ci siamo e poi non ci siamo più? E dove va a finire il mondo, quando noi non ci siamo più? Dal “nulla”, senza alcuna esperienza, al tutto, nell’esperienza, per poi tornare al nulla. Ma che strana storia è mai questa?

Ogni cosa cambierebbe – e cambia veramente – se fossimo abituati ad osservare ed osservarci, cosa che in genere non è.

Se si diviene consapevoli che il corpo è un oggetto… chi o che cosa è il soggetto?
Se si diviene consapevoli che il pensiero è un oggetto… chi o che cosa è il pensatore?
Se si diviene consapevoli che il mondo è un oggetto… chi o che cosa ne fa esperienza e dove caspita sta?

Ma chi è, o cos’è, che afferma: “io sono”?
Non è forse pensiero?
Ma se il pensiero è un oggetto, anche l’affermazione “io sono” – direi che è estremamente evidente – non è altro che un ulteriore oggetto… o no?

E adesso… come la mettiamo? Si è rotto, o inceppato, qualche schemino mentale? Sì? … No?

Supponiamo, per un istante, che non potessimo utilizzare le parole, ne’ per comunicare, ne’ per pensare…

Se tu non potessi affermare “io sono”… esisteresti ancora, o no? Se tu non potessi affermare “io sono un corpo che vive in un mondo”… esisteresti ancora, o no?
Sono certo che esisteresti ancora.
Quindi, il senso di esistere non dipende ne’ dalle parole, ne’ dal pensiero… bensì, le parole e il pensiero “ricoprono” come un velo l’essere (non inteso come l’essere umano, o l’essere questo e quello… bensì “essere” e basta).
Generalmente, non si presta alcuna attenzione al “senso” di essere e basta, mentre si dà la propria intera attenzione agli oggetti della coscienza, identificandosi con un corpo particolare e il flusso del pensiero, ritenendoli entrambi “veri” e assolutamente “reali”.

Questa, in effetti, si potrebbe chiamare: “l’Autorità”… del pensiero, da cui, quasi tutti, dipendiamo e siamo condizionati… altro che condizionamento da parte del sistema o degli illuminati, tanto in voga! In parole diverse, il pensiero afferma qualche cosa e questa cosa viene ritenuta vera e reale… e in base a questo si agisce. Ti torna?

Vorrei tentare di concludere…

Vediamo di collegare insieme tutti i puntini del disegno… magari apparirà un’immagine più chiara.

Il ritmo della vita è scandito e si svolge tra stati di veglia e stati di sonno profondo (al momento lo stato di sonno con sogni non ci interessa). Nel sonno profondo non esiste coscienza alcuna, consapevolezza alcuna (non è proprio così, ma per il momento va benissimo dire così) niente corpo, niente pensiero, niente mondo, niente “io sono”… solo un vuoto… nemmeno… nessuna esperienza… sì, così è più chiaro… nessuna esperienza da parte di nessuno. Poi accade lo stato di veglia, in cui appaiono il corpo, il pensiero, il mondo e l’io sono. In questo stato si può rivolgere l’attenzione un po’ dove si vuole… o, meno poeticamente, dove capita; se la si rivolgesse a se stessi, anziché sugli oggetti esterni, ci si potrebbe accorgere che, in effetti, non esiste differenza alcuna tra ciò che consideriamo esterno e ciò che consideriamo interno – così dentro, così fuori – perché la loro è un’identica sostanza: sono, cioè, tutti oggetti della coscienza, compreso il pensiero che afferma “io sono”.

Se da questa osservazione nascesse una reale consapevolezza, risulterebbe irrimediabilmente persa ogni autorità che il pensiero esercita sulla nostra quotidianità, con i suoi innumerevoli giudizi, valutazioni, conclusioni, bisogno di fare qualcosa, necessità di cambiare questo o quello, eccetera, eccetera. Ma non solo… risulterebbe altresì evidente quanto l’affermazione “io sono nel corpo” sia completamente falsa, come altrettanto false risulterebbero quelle che recitano: “io sono l’autore dei miei pensieri”, o “io sono l’autore delle azioni che svolgo”.

Semmai, è proprio vero il contrario: è il corpo ad essere “dentro” la coscienza, come lo è l’affermazione “io sono il pensatore” o il mondo, che è anch’esso dentro la coscienza. In assenza di coscienza non si potrebbe fare alcuna esperienza, ne’ di sé, ne’ del mondo, in quanto l’esperienza fatta, a ben vedere, risulta, pure essa, avvenire all’interno del campo della coscienza, stoccata come banco di memoria, cioè passato. E’ questa memoria, che altro non è, se non pensiero, che dà l’idea della continuità di ciò che crediamo di essere… “io”.

Ma in tutto questo… dove sta il vero “soggetto”, ammesso che ci sia?
La coscienza, come pure il suo intero contenuto, a chi, o a che cosa, o dove “appare”?
Chi, o che cosa è il “Vivente”?

A questa domanda, come sempre, puoi rispondere solamente tu.

Con affetto… Sid… Love*

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