Riflessioni: Verità e Realtà.

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 Verità e Realtà.

Se siamo corretti e onesti, possiamo affermare che la maggior parte di noi esseri umani è profondamente convinta di vedere la realtà e di conoscere alcune verità, come se fosse mai possibile dividere, o parcellizzare, anche la verità.

Mettiamoci subito l’anima in pace; non conosciamo affatto la verità, né, in genere, cogliamo la realtà.

Siamo stati abituati, o meglio, siamo stati addestrati e condizionati a credere ciecamente ai nostri sensi fisici e, più che ad ogni altro, alla nostra vista; così andiamo affermando, da millenni, che, se i nostri occhi vedono un mondo che ci circonda, questo significa inequivocabilmente che, tale mondo, esiste realmente; ma non è affatto così. Con buona pace per tanti, questo è un fatto ormai scientificamente assodato.

I nostri occhi fisici “lavorano” esclusivamente in una ristrettissima gamma di frequenze dello spettro elettromagnetico, mentre tutte le altre, che di fatto sono ugualmente percepibili, sono per noi invisibili e, per tanto, le consideriamo poco significative, teoriche o, peggio, inesistenti, frutto di miti e romanticismo.

I nostri occhi, in realtà, non vedono proprio nulla; chi vede è il cervello. In effetti, nemmeno il cervello vede, nell’accezione che noi attribuiamo al verbo “vedere”. Il cervello, di fatto, produce immagini mentali, punto e basta e la neuroscienza più avanzata lo conferma. La stessa argomentazione vale, altresì, per ciò che le orecchie odono, la pelle tocca, eccetera, eccetera.

E’ ormai risaputo che i nostri occhi non vedono gli oggetti, bensì la luce riflessa da quegli oggetti, quindi, in assenza di tale luce, che è prodotta dal campo elettromagnetico, non vediamo più nulla. Oltre a ciò, c’è da aggiungere che lo spettro elettromagnetico percepibile dai nostri “sensori” è una risicatissima porzione dello spettro stesso, ma, grazie allo sviluppo tecnologico raggiunto ed alla realizzazione di strumenti di indagine e misurazione, alcune porzioni dell’ampio spettro diventano accessibili, almeno nei laboratori. Mi riferisco ai raggi x, all’ultravioletto, all’ultravioletto estremo, ai raggi gamma e ad altro ancora.

Cosa centra questo con la realtà? E’ molto semplice. Se i nostri occhi vedessero ai raggi x, tutti gli esseri umani ci apparirebbero come scheletri che camminano, mentre le pareti, il soffitto e il pavimento della stanza in cui ci troviamo sparirebbero completamente dalla nostra vista, travi di metallo escluse. Se i nostri occhi lavorassero con l’ultravioletto, vedremmo i nostri simili e noi stessi con “corpi” dalle dimensioni enormi, privi, comunque, della forma e della densità materiale con cui siamo abituati a riconoscerci. Se la nostra vista funzionasse all’infrarosso, non un solo colore di quelli che percepiamo sarebbe più tale ed al suo   posto. Questi sono fatti assodati e incontrovertibili.

Quindi, dopo aver detto ciò, la domanda che si pone è: ma che caspita di realtà “vediamo”?

Quasi nulla. In definitiva, siamo ciechi, sordi, muti. Ricorda qualcosa o qualcuno? A me sì.

L’energia è invisibile ai nostri occhi, ma ne possiamo cogliere le manifestazioni. Il fatto di non poter cogliere visivamente l’energia in quanto tale, significa forse che l’energia non esiste?

Il dato appurato dall’astrofisica è che oltre il 90% dell’universo conosciuto sia costituito dalla cosiddetta Materia Oscura, non visibile, non tangibile, non percepibile dai sensi corporei e che sfugge ad ogni legge fisica conosciuta fino ad oggi; questo ci conferma che, effettivamente, siamo proprio ciechi. L’energia oscura pervade ogni cosa, è ubiquitaria, anche in noi, in ogni nostro atomo, ma non vediamo alcunché, non percepiamo nulla, pur essendo completamente immersi nel cosiddetto “campo”, con il quale interagiamo di continuo.

E insistiamo presuntuosamente ad affermare di cogliere la realtà.

Dalle misurazioni scientifiche più recenti, pare che possiamo cogliere, con gli occhi, circa lo 0,005% dell’esistente; e, allora, siamo ancora così sicuri di cogliere la realtà?

Il fatto è che anche la scienza sta iniziando a considerare che è sicuramente più reale ciò che non si vede e non si tocca, che il contrario; non è una svolta da poco, direi.

Dal punto di vista della fisica, quindi, ci possiamo mettere tranquillamente l’anima in pace e renderci conto, nel profondo, che la nostra relazione con la realtà è minima, quasi nulla, alla faccia della nostra supponenza e presunzione.

Oltre a questo, però, c’è un altro fattore fondamentale che ci allontana, quasi immancabilmente, anche da quel poco che possiamo cogliere della realtà; non siamo, quasi mai, aderenti ai fatti, perché non riconosciamo, quasi mai, cosa sia un fatto in quanto tale, visto che, erroneamente, riteniamo che un fatto sia ciò che noi interpretiamo come tale o che sia la descrizione verbale di qualcosa.

Questo è il sonno profondo.

Se piove … piove. Punto e basta, questo è un fatto. Ma se piove e ci diciamo che è una brutta giornata o che il tempo è brutto, ci siamo allontanati dal fatto di miliardi di chilometri; così facendo, non saremo più in relazione con il fatto presente, ma con il nostro vissuto, esperienza, conoscenza,  giudizio, opinione, memoria, tempo al passato.

E che fine ha fatto il fatto? ( perdona il bisticcio di parole ) … Non lo vediamo più.

Ma, giudizio, opinione, esperienza, valutazione, memoria, tempo … cosa sono? Attività mentale, pensiero, sperimentatore, osservatore, pensatore … attività auto-centrata del sé.

Possiamo allora affermare che i limitati sensori – o sensi fisici – che utilizziamo nella quotidianità colgono esclusivamente una porzione infinitesimale della realtà e che l’attività del pensiero ci allontana anche da quel poco che cogliamo; ridimensionarsi un po’ … non sarebbe corretto?

Quanti “io so”, “io conosco”, “io capisco”, “io ho sperimentato”, “io vedo” diciamo in un giorno? Bè, sono tutte fesserie! Rendersi conto di non sapere, di non vedere, di non poter capire è molto più aderente alla realtà, ma estremamente fastidioso per la supponenza dell’ego.

Un altro aspetto fondamentale della relazione che intratteniamo, sia con la realtà, sia con la verità è che tutto ciò che noi crediamo essere vero e reale, diventa vero e reale per noi. Non è un gioco di parole. Se sono convinto che una cosa sia vera, quella cosa diventerà, per me, la verità assoluta. Se sono convinto che una cosa sia reale, quella cosa diventerà assolutamente reale per me; questo comporta che non metterò mai in dubbio tutto ciò che considero vero e reale e, di conseguenza, mi lascerò condizionare nell’uso delle parole, nell’attività del pensiero, nelle azioni che intraprendo dalla mia credenza acquisita e consolidata.

Un esempio: posso certamente credere che Dio esista, anche nel caso in cui non esistesse affatto, così come posso credere che Dio non esista, anche nel caso in cui esistesse veramente. Quindi? Non fa nessun testo ciò in cui si crede, o meglio ancora, credere è l’attività tipica di chi non sa, ma vuole sapere. E per quale motivo si vuole sapere? Se osserviamo attentamente, la risposta è piuttosto evidente: cerchiamo di sapere allo scopo di sentirci più al sicuro, per meglio rispondere alle sfide della vita, per ottenere una posizione più elevata; in altre parole, per provare appagamento. O per te non è così?

Ma per quanto si possa conoscere, il fatto concreto è che resteremo ugualmente ignoranti. Punto.

Ti sentiresti effettivamente migliore del prossimo tuo conoscendo lo 0,000000000002% rispetto al suo 0,000000000001%? Credi che faccia tanta differenza? A me pare proprio di no.

Resta comunque il fatto che ciò in cui credo condiziona ogni aspetto della mia quotidianità, per la semplice ragione che cercherò, in ogni modo, di essere il più aderente possibile all’oggetto della mia credenza. Diventerò così un imitatore, o, magari, un seguace … di una religione, di una pratica, di un maestro, di un partito, di una casta sociale, di una moralità alle quali mi conformerò, con tanti saluti alla libertà.

Perché tirare in ballo la libertà? Mi spiego.

Un essere umano che vuole sapere e che si rivolge ad un altro essere umano per ricevere la sua conoscenza, istantaneamente, si mette in una posizione di sudditanza e di dipendenza psicologica; crea, cioè, l’autorità esterna. L’autorità, in quanto tale, nemmeno esiste, ma la rendiamo esistente e per ciò, reale, nel momento in cui consegniamo ad un altro essere umano la nostra autorevolezza. “Io non so, tu sai: dimmi come devo fare”.

L’autorità si pone immancabilmente su un piedistallo, cioè in una condizione più elevata rispetto a chi autorità non ha; viene così creata una differenza tra chi sa e chi non sa e la differenza, essendo un processo di divisione, crea inevitabilmente conflitto.

Che fine fa, in questo processo, la libertà? Direi che, nel mondo, questo si nota molto agevolmente.

Credere, dunque, è un processo di sudditanza psicologica, di rinuncia alla propria innata libertà e autorevolezza, che conduce inevitabilmente al conflitto; non sembra, vero? Ma così è.

Il mondo è pieno di uomini che affermano di sapere, che affermano di conoscere la verità e di altri uomini che seguono come greggi il loro pastore, proprio perché il pastore sa, mentre loro non sanno … un modo elegante per non dire che sono confusi e che non sanno come fare, da soli; questa è la perdita della relazione con se stessi, che immancabilmente genera paura e, quindi, la necessità di avere fede in una cosa qualsiasi, a patto che ci prometta un benessere e una tranquillità futuri. Come vedi, restiamo ancora nell’ambito psicologico dell’appagamento.

La domanda interessante, ora, potrebbe essere questa: è conoscibile la Verità? E’ possibile conoscere, almeno in parte, la Verità?

La Verità è una, per la ragione evidente che non possono coesistere due verità; una dovrebbe necessariamente essere falsa. Ciò comporta che la Verità è integra ed è integrità, completezza, totalità. Una parte di verità, pertanto, non può nemmeno esistere, perché l’integrità o c’è o non c’è; le vie di mezzo vengono inventate dal pensiero umano, che con la Verità non ha nulla a che fare, dal momento che è sempre limitato, quindi, completamente estraneo all’integrità. Il pensiero, di conseguenza, non può certo essere lo strumento con cui indagare la Verità e se è vero che pensiero e parole sono la medesima cosa, è vero anche che la parola verità non è la Verità. Detto questo, è possibile che la Verità sia descrivibile a parole? Dal momento che pensiero e parole sono limitati, mentre la Verità non lo è, possiamo già dare una risposta: no.

Parola e definizione sono la stessa cosa, ragion per cui la Verità non è nemmeno definibile; ciò che viene definito è statico, memoria, passato, tempo, mentre la Verità è movimento nel presente, che nulla ha a che vedere con il tempo.

Sei ancora dell’idea di vedere la realtà e di conoscere, almeno in parte, la Verità?

A questa domanda puoi rispondere solamente tu… Grazie.

Con affetto, Sid… Love*

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