Riflessioni: Siamo Vittime o Responsabili?

Big-Bang-21

Siamo Vittime o responsabili?

La Vita è relazione e movimento, cosa che, in altre parole, si potrebbe “descrivere” come il movimento della relazione, che è Vita. La relazione è rapporto, contatto, ovvero, interrelazione; una relazione viene in essere nel momento in cui avviene un contatto tra “soggetti diversi” ed è sempre bi-direzionale.

Siamo quotidianamente in relazione con molteplici soggetti, nonché oggetti, eventi e situazioni; dal contatto con essi, scaturiscono le sensazioni che, sottoposte al giudizio ed alla valutazione dell’attività pensante, fanno emergere in noi delle emozioni. Queste emozioni sono la diretta conseguenza del dialogo interiore che teniamo con “noi stessi” e, di conseguenza, sono talvolta riportabili alla nostra consapevolezza; accade altresì che tali emozioni si inneschino senza un apparente dialogo interiore, ma questo dipende dal fatto che il dialogo, a volte, si presenta con una tale velocità, da passare inosservato alla coscienza di veglia.

Si dice spesso che la mente si presenta suddivisa in due “entità” distinte, che vengono definite come il conscio e l’inconscio; questa definizione, tanto per cambiare, non rappresenta altro che l’ennesimo punto di vista frammentario e frammentato con cui osserviamo e valutiamo ogni cosa. Preferisco quindi parlare di una mente verbale o verbalizzante – nonché verbosa – ed una mente silente, non verbale; la mente non verbale risulta pressoché inintelligibile da parte di quella verbale, abituata ed addestrata a riconoscere esclusivamente quei simboli che chiamiamo parole.

E’ noto a tutti, infatti, che le parole sono simboli, dietro i quali soggiacciono numerose realtà o presunte tali; in ogni caso, le parole non sono che un processo della memoria, una convenzione, senza la quale ogni simbolo resterebbe incomprensibile a chiunque.

La memoria denomina “esperienza” la relazione con un qualsiasi aspetto, o manifestazione, della vita. L’esperienza viene immagazzinata ed etichettata come piacevole o spiacevole, vera o falsa, importante o insignificante, giusta o sbagliata; il pensiero, dunque, associa un “colore” od un “sapore” caratteristico ad ogni esperienza e stocca questi dati, come un file sul computer, in cartelle di sistema, con tanto di “proprietà”.

Ogni volta che una relazione si presenta alla nostra porta, il processo associativo si innesca, a partire dalla sensazione che deriva dal contatto in questione. Questo meccanismo non presenta alcuna eccezione alla regola; che il dialogo interiore sia cosciente o meno, l’attività meccanica dell’associazione è comunque la stessa, dal momento che un software non può funzionare ora in un modo, ora in un altro, ma esclusivamente secondo uno schema ben preciso, ripetitivo, programmato.

Precisato questo – che, come sempre, è possibile notare solo se osserviamo con attenzione il processo del pensiero in noi – si apre una serie di considerazioni molto interessanti.

Come si suol dire, viviamo immersi in una realtà densa o fisica; questa realtà è fuori di noi, tutt’intorno, e, a nostra volta, siamo presenti in essa come soggetti che, quotidianamente, fanno esperienza. In questa realtà, abbiamo un corpo, una mente pensante, emozioni, sentimenti, desideri, volontà, progetti per il futuro, timori, sogni ad occhi aperti e chiusi. In questa realtà ci troviamo a vivere in un mondo di uomini e donne, sulla superficie di un pianeta che chiamiamo Terra e condividiamo con qualsiasi altro essere umano la stessa visione e percezione fisica.

A questo punto, però, si può già notare qualcosa.

La maggior parte degli esseri umani, almeno fino ad ora, ritiene che quella appena descritta sia la realtà inconfutabile, che la vita che conduciamo e il mondo in cui viviamo non possano essere che così come sono, senza nutrire alcun dubbio in proposito. Un’altra parte di esseri umani, sempre fino ad ora, sente, invece, che questa non è affatto la realtà, ma semplicemente un simbolo di essa, trasposto su un piano materico; in parole diverse, riconosce di “camminare” in questo mondo fisico, ma sente di non appartenere ad esso. Non è una differenza da poco.

Nella quotidianità accadono cose, cioè avvenimenti, e si fanno incontri, ovvero si entra in relazione, ma, a seconda della percezione, la risposta a ciò che c’è, sarà completamente diversa. Questo perché la relazione è governata da una legge fondamentale che recita: ciò che crediamo essere vero o reale, diventa vero o reale per noi… anche un’illusione; sarebbe veramente utile ricordarlo sempre.

Se, quindi, le cose nel mondo accadono così come accadono, non ci resta che prendere quello che viene, cercando di adattarci nel miglior modo possibile; che la cosa ci piacciano, oppure no, diventa il nostro problema, nonché la base di partenza per la nostra azione individuale.

Se, ad esempio, una guerra scoppia da qualche parte del mondo, sempre che sia lontana da noi, prendiamo la notizia con rammarico, ringraziamo per non esserne coinvolti direttamente e ci dispiacciamo per l’insana tendenza dell’umanità a perpetrare questo atteggiamento millenario … ma, in fin dei conti, che cosa ci possiamo fare? Nulla; questa è la risposta che, in simili casi, ascoltiamo con maggior frequenza. Ma non è affatto detto che sia così.

Se crediamo che il mondo sia fuori di noi e diverso da noi, che siamo solo piccoli ed insignificanti individui isolati, non ci resta che prendere atto di quello che accade, indipendentemente dalla nostra volontà che accada o meno e dal nostro gradimento. La diretta conseguenza di questa “visione” è una totale mancanza di potere personale, per la semplice ragione che le cose accadono là fuori e noi non ci possiamo fare nulla.

Ritenere di non avere nessun potere personale, per logica, comporta anche il non avere alcuna responsabilità al riguardo; in altre parole, se ci crediamo privi di potere personale e, conseguentemente, di responsabilità, non possiamo che percepirci come “vittime”, cioè subordinati, nei confronti di qualcosa, o di qualcuno, più grande, più potente e con maggiori responsabilità rispetto a noi.

Ma se le cose non stessero affatto così?

Se ognuno di noi fosse un fiore, che profumo farebbe?
Se fossimo animati da rabbia, odio, conflittualità, competizione, se, cioè, questo fosse il nostro contenuto, la nostra “essenza”, non potremmo che essere un fiore che emana questo inconfondibile profumo e chiunque ci venisse vicino, inevitabilmente, lo respirerebbe. Saremmo quindi responsabili di spandere nell’aria il nostro aroma caratteristico.

In effetti, è proprio questo che accade; siamo completamente responsabili del “profumo” che emaniamo. Qualora, poi, componessimo miliardi di fiori nel bouquet dell’umanità, l’odore che ne risulterebbe non potrebbe in alcun modo essere indipendente dal prodotto dei singoli fiori; più fiori dall’odore nauseabondo aggiungiamo al bouquet, più l’aroma complessivo ne verrà influenzato. Questa mi pare una considerazione del tutto logica e scontata.

Risulta pertanto evidente che, da una parte, siamo completamente responsabili di ciò che emaniamo e, dall’altra, che costringiamo l’umanità intera a condividerlo con noi. Anche questo mi pare un fatto assodato.

Pertanto, in accordo con tale fatto, l’essere consapevoli di cosa ci portiamo dentro – a livello di emozioni, sentimenti, atteggiamenti, pensieri, parole e azioni – diventa la nostra responsabilità primaria nei confronti dell’intera umanità; per conseguire tale consapevolezza, come già visto precedentemente, tutto ciò che ci occorre è la pura e semplice osservazione di noi stessi, ripulita da giudizi, giustificazioni, conclusioni, considerazioni, valutazioni, paragoni, misurazioni, eccetera, eccetera. Non occorre niente altro.

Nel momento in cui riconosciamo la nostra completa responsabilità – riguardo la qualità della nostra interiorità – e ne osserviamo le implicazioni effettive sul tessuto collettivo dell’umanità, è possibile che perveniamo ad uno stato di angoscia o pena, poiché non possiamo più ritenerci estranei allo scempio umano ed ambientale che abbiamo davanti agli occhi. Questo può far sì che la nostra responsabilità venga percepita come più “pesante”, spingendoci a non differire oltre il lavoro necessario alla presa di consapevolezza di come, effettivamente, siamo e di ciò che contribuiamo a determinare globalmente.

Questo atteggiamento è, di per sé, una vera e propria rivoluzione epocale; da misere vittime, innocenti e senza alcun potere, condizionati e dipendenti da tutto ciò che si muove fuori di noi, ci “trasformiamo” in esseri umani pienamente responsabili delle proprie azioni, del proprio modo di pensare e delle proprie emozioni, impregnati del grandissimo potere di co-determinare ogni relazione che intratteniamo con la Vita.

Un altro aspetto interessante è che, se da una parte ci sono delle vittime, dall’altra, necessariamente, devono esserci dei colpevoli. Vediamo molto bene, tutt’intorno a noi, che questa è la visione più diffusa tra gli uomini.

Se le cose vanno “male” è sempre colpa di qualcuno; è colpa del governo, di Dio, dei preti, dell’economia, degli avversari politici, della nazione canaglia di turno, del marito, della moglie, dei genitori, dei figli e così via. Se, dunque, la colpa viene vista fuori di noi, ovviamente, noi possiamo definirci innocenti. Questo è veramente molto comodo. Ma, al di là dell’ovvia comodità, resta il fatto che, interpretando così la realtà, ci dividiamo immancabilmente in buoni e cattivi, in giusti ed ingiusti, in evoluti e primitivi; questa è la solita divisione, il solito inevitabile conflitto e, purtroppo, la solita realtà che vediamo intorno a noi. Direi che anche questo è un fatto, o no?

E chi sarebbe il responsabile di tutta questa divisione? E’ il nostro metro di giudizio, espresso dal pensiero, che è sempre arbitrario, frammentario, condizionato, mutevole e limitato, quindi assolutamente non aderente al vero, cioè falso.

Oltre a ciò, sarebbe sicuramente utile tenere a mente che ogni schema mentale è condizionante in toto, mai parzialmente.

Se, per esempio, in noi è all’opera lo schema di: giudizio>accusa>colpevolizzazione>punizione, sarà inevitabile che questo meccanismo agisca sia verso l’esterno, sia verso l’interno; in pratica, se da una parte vediamo dei colpevoli, dall’altra, prima o poi, ci sentiremo in colpa, come pure, se da una parte giudichiamo gli altri, dall’altra, prima o poi, ci sentiremo giudicati. Tutto questo non può generare ne’ libertà, ne’ pace, ne’ giustizia, ma certamente genera conflittualità, che è infelicità.

E’ possibile, dunque, che non siamo affatto vittime, bensì esseri pienamente responsabili e coautori della fenomenologia a cui assistiamo?

A questa domanda puoi rispondere solamente tu… Grazie.

Con Affetto, Sid… Love*

WooshDe7Torna Su